Il mondo sta regredendo verso una situazione di stallo nucleare, con leader globali che agiscono in modo ipocrita e moralmente doppio. La “conferenza di pace” di Lucerna esclude la Russia, il principale attore del conflitto, e le reazioni della NATO e dei media sono altrettanto confuse. Putin avanza richieste provocatorie per negoziare, sapendo che sono inaccettabili, mentre Zelensky insiste su condizioni irrealistiche. Il vero problema è distinguere tra una resa totale e un compromesso, con il rischio che le attuali posizioni intransigenti portino a una situazione ancora più disperata nel futuro.
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La quotidiana regressione del mondo verso l’età della pietra in versione nucleare ci costringe a non stupirci più di nulla. Non dei Sette Nani del mondo che chiedono una “tregua olimpica” alla Russia dopo averle vietato di partecipare alle Olimpiadi con le sue bandiere e dopo che Zelensky l’ha respinta come un regalo a Putin. Non della cosiddetta “conferenza di pace” di Lucerna, la prima della storia con tutti i Paesi del mondo tranne quello che ha scatenato la guerra e la sta vincendo, perché il “piano di pace” di Zelensky prevede negoziati con tutti fuorché col suo nemico. Non delle reazioni sprezzanti della Nato al “piano di pace” di Putin (“Kiev mi dia le cinque regioni che ho annesso e rinunci alla Nato”), corretto e interpretato dall’alleato cinese (“Kiev e Mosca s’incontrino a metà strada”). Secoli di diplomazia basata su realismo e pragmatismo per interessi superiori spazzati via dall’ipocrisia cavernicola e dalla doppia morale di leader morituri che scambiano i sogni per la realtà, nascondono le cause della guerra e mandano al macello gli ucraini per salvarsi la faccia o il culo (che fra l’altro coincidono). E la stampa sonnambula dietro. Repubblica: “Putin, la pace indecente”. Stampa: “La pace secondo Putin è la resa dell’Ucraina”. Tutti fingono di non capire che quelle richieste, ovviamente inaccettabili, non sono il trattato finale, ma la pistola che l’autocrate poggia sul tavolo per iniziare a negoziare. Lo sa anche lui che il suo piano è irricevibile, così come quello speculare di Zelensky, che ha pure l’aggravante di essere lo sconfitto (“i russi si ritirino da tutti i territori occupati e Kiev entri nell’Ue e nella Nato”). Ma almeno bisognerebbe conoscere la differenza fra una resa (la perdita dell’intera Ucraina) e un compromesso (le cinque regioni reclamate e neppure ancora interamente occupate dai russi sono solo un quinto del Paese).
Il fatto che sempre più insistentemente Putin parli di chiudere la guerra può essere un bluff, ma per scoprire se lo è bisogna andare a vedere. Apparecchiando un tavolo che includa la Russia. Come quello di Istanbul che portò all’intesa con Zelensky nel marzo 2022 e fu fatto saltare dalla buonanima di Johnson. L’alternativa è una sola: che la Nato con i suoi miliardi e armamenti (quasi finiti) e l’Ucraina con i suoi soldati (quasi finiti) riconquistino tutti i territori occupati, pari a metà dell’Italia, e alla svelta, prima che gli ultimi leader superstiti del Partito Unico della Guerra vengano spazzati via dagli elettori. Vasto programma: negli ultimi 14 mesi, Kiev ha liberato l’equivalente della provincia di Prato, mentre ne ha persi e ne sta perdendo molti di più. Oggi il piano di pace di Putin sembra folle, e lo è. Speriamo che, fra un anno, non diventi il piano di pace di Zelensky.
Il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2024