Quello che sta succedendo tra Israele e Gaza è l’ennesima dimostrazione plastica di un potere che si muove senza alcun freno, forte del sostegno incondizionato della più grande potenza mondiale, gli Stati Uniti, e della vigliaccheria complice di una politica europea che non osa nemmeno alzare un sopracciglio. Netanyahu, nel suo eterno gioco da illusionista della politica, annuncia senza troppi giri di parole di voler spegnere la vita a Gaza: niente acqua, niente cibo, niente medicinali, e adesso pure niente elettricità. Un embargo totale, un assedio medievale con tecnologie moderne. Poi arriva la telefonata di un emissario di Trump – sì, proprio quel Trump che si spaccia per uomo di pace ma che su Israele fa persino peggio di Biden – e gli dice di “fare un passo indietro”. Risultato? Netanyahu invece di ritirarsi rilancia, come fa sempre. Perché sa benissimo che gli Stati Uniti non gli diranno mai di no, che il cosiddetto “lobby” lo protegge da ogni responsabilità e che può tranquillamente ignorare ogni convenzione internazionale senza pagare il minimo prezzo.
Israele non è un alleato strategico degli Stati Uniti, è un peso morto, un fardello che porta solo problemi. Eppure continua a ricevere miliardi di dollari di aiuti e armi, anche violando leggi federali americane che vieterebbero il sostegno a Stati impegnati in crimini di guerra. Il segretario di Stato Antony Blinken, per esempio, mente sotto giuramento al Congresso per far passare una fornitura d’emergenza di 4 miliardi di dollari di armamenti a Israele, fingendo che ci sia una crisi esistenziale. Perché? Perché tanto nessuno lo chiamerà a rispondere. Nessuno dirà la verità. I giornali americani – il New York Times, il Washington Post, il Wall Street Journal – dipingono Israele come l’eterna vittima, nascondendo o minimizzando ogni evidenza del massacro in corso. È sempre stato così e continuerà a esserlo.
Nel frattempo, ci si chiede: c’è una resistenza nel mondo arabo? La risposta è desolante. Gli Stati arabi sono stati bravissimi a vendere la causa palestinese quando gli faceva comodo e a gettarla sotto il tappeto quando il prezzo da pagare diventava troppo alto. Iran, Hezbollah e i ribelli Houthi sono gli unici attori a mostrare una qualche opposizione reale, ma il loro peso è limitato. Gli altri? Grandi proclami, zero azioni. L’Egitto, ci dicono, sta ammassando carri armati nel Sinai. Bene, e poi? Pensiamo davvero che Al-Sisi, un autocrate che deve la sua sopravvivenza politica all’appoggio occidentale, si metterà in guerra con Israele? La Giordania? Nemmeno a parlarne. La Turchia di Erdogan? A parole sempre pronto alla crociata anti-Israele, nei fatti un pragmatista che non si butterà mai in un conflitto diretto. E comunque, come ricorda Mearsheimer, la storia è chiara: Israele ha già vinto tutte le guerre campali contro gli eserciti arabi. Lo rifarebbe senza problemi.
Ma veniamo alla seconda parte della farsa: l’Ucraina. Zelensky si ostina a credere in una vittoria che non arriverà mai. Gli Stati Uniti, che lo hanno usato come pedina nel grande gioco geopolitico contro la Russia, ora stanno facendo marcia indietro. Trump, che si prepara a tornare alla Casa Bianca, vuole chiudere la partita, trattare con Putin e lavarsi le mani del pasticcio ucraino. E Zelensky? Non può accettare la pace perché significherebbe riconoscere la sconfitta, la perdita di territori e, probabilmente, la fine del suo potere. Quindi tira dritto, nonostante sia ormai chiaro a tutti che l’Ucraina da sola non può reggere l’urto dell’esercito russo.
E l’Europa? Sempre la solita Europa: patetica, confusa, incapace di una politica estera autonoma. A Londra si riuniscono i leader di alcuni paesi per annunciare un ridicolo piano di aiuti all’Ucraina da 2 miliardi di dollari, basato su un fantomatico prelievo degli interessi sui beni russi congelati. E per completare il quadro surreale, spuntano fuori pure le truppe britanniche e francesi che dovrebbero entrare in Ucraina come “peacekeepers”. La Russia ha già detto chiaramente che se dovessero farlo, verrebbero trattati come nemici. Ma questo non interessa a nessuno: l’importante è fare la solita recita, fingere di essere dalla parte dei “buoni”, mentre la guerra continua a mietere vittime.
Eppure il quadro è chiaro: l’America vuole uscire dal pantano ucraino, Trump è deciso a chiudere i rubinetti, i repubblicani lo seguono, i democratici no. L’Europa si aggrappa disperatamente a una guerra che non può vincere. E nel frattempo, in Medio Oriente, Israele fa quello che vuole, contando sulla totale impunità garantita dall’alleato americano. Due scenari diversi, un’unica certezza: la politica estera occidentale è un grottesco teatro di burattini.