Alessandro Orsini sfata il mito dell’ingresso “aperto e democratico” dei paesi nella NATO, descrivendolo invece come un processo guidato dagli interessi strategici degli Stati Uniti. Orsini illustra un processo in quattro fasi: selezione di paesi che aumenterebbero il potere globale degli USA a scapito di Russia e Cina; costruzione di rapporti strategici attraverso la vendita di armi e esercitazioni militari; persuasione degli altri membri della NATO a accettare il nuovo ingresso, ricorrendo se necessario a incentivi, ricatti e minacce; e infine, l’ingresso ufficiale, presentato dai media come una decisione libera e spontanea, nonostante in realtà rifletta gli interessi americani. Orsini critica duramente la narrazione prevalente nei media italiani, esemplificata da testate come Corriere della Sera e Repubblica, evidenziando come l’Italia, nonostante il suo contributo significativo al realismo politico, sembri ingenuamente cadere preda della retorica del potere.
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Dopo l’ultima puntata di Piazza Pulita condotta da Corrado Formigli, voglio spiegare come avvenga l’ingresso di un Paese nella Nato, perché questo non è stato mai spiegato bene in Italia. Mi guideranno Machiavelli, Mosca, Michels, Pareto e Gramsci, la migliore tradizione del realismo politico italiano. La tesi, ripetuta pappagallescamente da Corriere della Sera, Repubblica, Libero, Foglio, la Stampa e Giornale, è che l’ingresso nella Nato avvenga con una semplice richiesta. Basta fare domanda. Così come il privato cittadino spedisce una raccomandata recandosi alle poste, gli Stati entrano nella Nato bussando alla sua porta con un modulo firmato. È la politica delle “porte aperte” della Nato, celebrata da Stoltenberg. Ma tutto questo è falso.
L’ingresso di un Paese nella Nato avviene secondo un processo in quattro fasi.
Nella prima fase, la Casa Bianca individua un Paese che, una volta assorbito nella Nato, aumenterebbe le quote di potere mondiale degli Stati Uniti ai danni di Russia e Cina.
Nella seconda fase, la Casa Bianca costruisce rapporti strategici con il Paese prescelto attraverso la vendita di armi e le esercitazioni militari. La documentazione storica mostra che Svezia e Finlandia sono diventate membri di fatto della Nato molto prima di diventarne membri ufficiali partecipando alle più importanti esercitazioni militari dell’Alleanza e acquistando armi dagli Stati Uniti. Nell’ottobre-novembre 2018 la Svezia e la Finlandia hanno partecipato a “Trident Juncture”, l’enorme esercitazione della Nato in funzione anti-russa che si svolse in Norvegia, Svezia e Finlandia. “Trident Juncture” è stata un’esercitazione sotto “scenario articolo 5”, l’articolo sulla difesa collettiva, applicato poco dopo all’Ucraina.
Nella terza fase, la Casa Bianca persuade gli altri Paesi Nato a trattare il prescelto come un consociato e a votare per il suo ingresso. Se un membro si oppone, la Casa Bianca ricorre agli allettamenti. Se questi non funzionano, la Casa Bianca passa ai ricatti e alle minacce. È accaduto di recente con Viktor Orbàn. Siccome il premier ungherese si opponeva ai 50 miliardi di euro richiesti da Biden per l’Ucraina, i Paesi europei della Nato hanno detto a Orbàn che avrebbero aggredito la sua economia se non avesse ritirato il veto.
Nella quarta fase, il Paese prescelto entra nella Nato ufficialmente. A questo punto, Corriere della Sera, Repubblica, Libero, Foglio, Stampa e Giornale affermano all’unisono che l’inclusione è stata libera e spontanea. Siccome la Nato accoglie tutti, l’ingresso è avvenuto senza intoppi. In realtà, la Nato non accoglie tutti, altrimenti Israele sarebbe suo membro da anni. La Nato include soltanto i Paesi che la Casa Bianca reputa utili ai suoi progetti espansivi. Nel mio libro Ucraina. Critica della politica internazionale (Paper First, 2022), ho mostrato che l’Ucraina è stata trasformata in un membro di fatto della Nato attraverso una decisione unilaterale degli Stati Uniti, peraltro avversata da Francia e Germania nel meeting della Nato del 2008 a Bucarest. I ministri Tajani e Crosetto affermano che l’ingresso nella Nato dipende dal richiedente, per nascondere la vergogna di essere sottomessi alla Casa bianca.
Il realismo politico invita a guardare ciò che si nasconde dietro la retorica del potere partendo dall’assunto che i governanti ambiscono ad apparire migliori di quel che sono. È incredibile che l’Italia, pur avendo dato un contributo di smisurata importanza al realismo politico, sia diventata un Paese così credulone, facile preda degli inganni retorici dei media dominanti.
Il Fatto Quotidiano, 17 marzo 2024