La guerra è spesso vista come una sconfitta, ma non per chi vince. Se i vincitori della Seconda Guerra Mondiale non avessero trionfato, oggi il nazismo sarebbe la norma. La guerra, pur brutale, rivela la vera essenza degli uomini e riduce tutto all’essenziale, attenuando anche le differenze sociali. Sebbene ci siano guerre ideologiche e giuste, il concetto stesso di guerra è cambiato con l’introduzione delle armi da fuoco, fino ai droni che annullano la legittimità del combattente. L’atomica, che doveva essere un deterrente finale, oggi ritorna in forma di minaccia con le nuove atomiche tattiche, in un ciclo senza fine.
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di Massimo Fini
“La guerra è comune a tutti gli esseri, è la madre di tutte le cose. Alcuni li fa dèi, gli altri li fa schiavi o uomini liberi”.
—ERACLITO
Papa Francesco si affanna a dire che la guerra “è sempre una sconfitta”. Certo sarebbe bizzarro che il Sommo Pontefice inneggiasse alla guerra anche se Cristo afferma: “Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra, non sono venuto a mettervi pace, ma la spada” (Matteo, 10,34).
La guerra non è sempre una sconfitta. Lo è per i vinti, non per i vincitori. Se gli Alleati e i russi non avessero vinto la guerra oggi saremmo, a parte qualche eccezione, tutti nazisti e la parola “democrazia” una bestemmia in chiesa. Che poi i vincitori, a volte, riescano a comportarsi peggio dei vinti è un altro discorso.
La guerra ha funzioni positive, anche se è difficile riconoscerlo in quest’epoca di pacifismo, retorico, soprattutto occidentale. La guerra è la prova suprema, per gli Stati ma soprattutto per gli uomini. Ci dice chi veramente siamo. Leo Longanesi ricorda che in guerra impiegatucci cui non avresti dato un soldo si battevano con valore, mentre i gradassi del tempo di pace se la facevano sotto.
La guerra riduce tutto all’essenziale. Ci fa dimagrire in tutti i sensi. Quando si può morire da un giorno all’altro cambia la gerarchia dei valori, restano quelli essenziali mentre tutto l’orpello da cui siamo soffocati in tempo di pace finisce fra gli scarti. Una coppia non si mette a litigare se uno schiaccia il tubetto del dentifricio dall’alto e l’altra dal basso. Un amore va fino in fondo a se stesso in tempo di guerra. Inoltre la guerra ha, come il servizio militare, come il periodo universitario, la qualità del “tempo sospeso”: non devi far nulla, solo aspettare che finisca.
La guerra attenua le differenze di classe, sociali ed economiche, si è più uguali, e soprattutto più solidali in guerra.
Ci sono guerre giuste? Secondo gli Illuministi le guerre “giuste” sono quelle che si fanno per la libertà. Ma attenzione: afferma il generale Lazare Carnot, membro del Direttorio durante la Rivoluzione francese “la guerra è violenta di per sé. Bisogna condurla a oltranza o restarsene a casa. Il nostro scopo è lo sterminio, lo sterminio fino alle estreme conseguenze” e Saint-Just, il giovane “numero due” di Robespierre, ribadisce “le guerre della libertà devono essere fatte con collera”. Sono le guerre ideologiche pressoché sconosciute in passato. Un’esemplare guerra ideologica è stata quella ai Talebani: non ci piacevano i loro costumi, e siccome non ci piacevano abbiamo occupato l’Afghanistan per vent’anni, facendo alcune centinaia di migliaia di morti. È il totalitarismo della democrazia.
Eppure nel 1975, a Helsinki, in un raro momento di saggezza, quasi tutti gli Stati del mondo firmarono un accordo che sanciva il “diritto all’autodeterminazione dei popoli”, cioè ogni popolo ha il diritto di evoluire, e anche di non evoluire, secondo la propria storia, le proprie tradizioni, i propri costumi.
Un momento decisivo nella storia della guerra è stata l’introduzione delle armi da fuoco, cioè armi che colpiscono a distanza annullando il valore del guerriero. Esemplare in questo senso è il film di Ermanno Olmi Il mestiere delle armi (2001). I cavalieri, che nel Medioevo avevano il compito di difendere il territorio, si opposero a questo tipo di guerra considerandola ignobile. Ma naturalmente persero la partita.
Poi si è andati ben oltre il fucile. Oggi ci sono i droni che colpiscono a centinaia e a volte migliaia di chilometri di distanza.
Inoltre la guerra, che non viene nemmeno più dichiarata, preferendola chiamarla con altri nomi, “intervento umanitario”, “operazione di polizia internazionale”, “operazione di peacekeeping”, tanto ci si vergogna di farla (anche Putin ci ha copiato chiamando la sua aggressione all’Ucraina “operazione militare speciale”) ha perso ogni regola. Se il nemico non è più uno iustus hostis, prendendo dalla definizione di Schmitt, ma un criminale, se ne può fare carne di porco come abbiamo visto ad Abu Ghraib e tutt’oggi a Guantanamo. È stata legittimata la tortura, fisica e psicologica.
In pratica con gli ordigni attuali non ci sono più combattenti, ci sono solo vittime designate, i civili, con qualche eccezione perché nella guerra russo-ucraina esiste ancora, anche se raro, il corpo a corpo, come nella regione di Kursk dove soldati ucraini si battono contro i soldati russi. Ma, in generale, il drone, cioè la tecnica, ha sostituito il combattente. E il combattente che non combatte perde ogni legittimità e la guerra la sua epica e anche la sua etica: se uno solo può colpire e l’altro solo subire si esce dall’ambito della guerra e si entra in quello dell’assassinio (come è avvenuto in Serbia, in Afghanistan, in Iraq, in Libia). Inoltre, basilari sono i computer e i collegamenti con i satelliti, il soldato, ma sarebbe meglio dire l’ex soldato, è diventato un ingegnere dell’assassinio.
Dal maschio, fuco transeunte, attratto dalla morte per sopperire alla sua impotenza procreativa, la guerra è sempre stata considerata “il gioco di tutti i giochi” perché lo sottrae all’apatia del quotidiano, al mal de vivre. Per le donne vale l’opposto. A loro, che danno la vita, sono sempre sembrate insensate queste carneficine. E sebbene ci siano state coraggiose donne combattenti (Giovanna D’Arco o nella lotta partigiana che però non è esattamente una guerra ma piuttosto una guerriglia) io penso che le donne-soldato non siano una conquista, un’evoluzione ma piuttosto un’involuzione perché è troppo contro natura.
Ma torniamo al “gioco di tutti i giochi”. Alberto Moravia, che pur era un pacifista, ha scritto “la Bomba (atomica) ci ripugna. Perché? Perché essa è la fine della guerra e noi vogliamo fare la guerra, la Bomba… ci priva di un gioco decisivo che noi giochiamo da milioni di anni”. Qual è il senso di questa affermazione? Che l’Atomica, ponendosi come distruzione planetaria, e quindi definitiva, annulla l’essere umano, ogni sua attività e quindi anche la guerra.
Hiroshima e Nagasaki sono state decisive nel formare questo pensiero. Cioè nessuno Stato, per quanto potente che fosse, poteva utilizzare l’Atomica perché si sarebbe contemporaneamente autodistrutto. Quindi l’Atomica serviva solo come deterrente perché nessuno avrebbe mai osato servirsene. Ma adesso, oplà, nell’eterno gioco fra difesa e offesa, si sono inventate le “atomiche tattiche” che avrebbero un raggio limitato. Come la scissione dell’atomo possa avere un limite, distruggendo anche chi le usa e ciò che gli sta intorno e anche lontano, perché le radiazioni non rispettano i confini, io non lo so. E pare che non lo sappiano nemmeno i Potenti della Terra che minacciano di utilizzarle.