di Alessandro Orsini
Molti si domandano come finirà la guerra in Ucraina, ma la risposta è scontata: la guerra finirà con una cessione territoriale in favore della Russia. Scartata l’ipotesi di una guerra diretta con la Nato, gli esiti possibili della guerra sono infatti soltanto tre.
Il primo è la vittoria della Russia, che prenderebbe i territori che gradisce.
Il secondo è la sconfitta della Russia che userebbe l’arma nucleare tattica per prendere i territori che preferisce.
Il terzo esito è la sconfitta della Russia e il suo ritiro dall’Ucraina senza fare uso dell’arma nucleare. In questo caso, la Russia si prenderebbe alcuni anni per ricaricarsi sotto la spinta di un nazionalismo spaventoso e invaderebbe nuovamente l’Ucraina dopo un certo numero di anni in base allo schema già seguito in Cecenia. Come ho spiegato nel mio libro Ucraina. Critica della politica internazionale (Paper First), la Russia perse la prima guerra cecena sotto Eltsin combattuta dal 1994 al 1996. Andata in bancarotta nell’agosto 1998, si ricaricò e vinse la seconda guerra cecena con Putin, combattuta tra il 1999 e il 2009.
Una superpotenza che combatta una guerra esistenziale contro un Paese infinitamente più debole può essere sconfitta soltanto con la sua invasione e la sostituzione della sua leadership con una classe dirigente amica dei nemici. Detto più semplicemente, per sottrarre l’Ucraina alla morsa della Russia, gli americani dovrebbero invadere Mosca e sostituire Putin con un presidente filo-americano secondo il modello seguito con Hideki Tojo, primo ministro del Giappone dal 1941 al 1944, arrestato dai soldati americani in casa propria e impiccato per crimini di guerra, il 23 dicembre 1948. Quello schema offensivo dell’Occidente non è ripetibile con la Russia del 2023 perché le superpotenze possono arrestare le invasioni con l’arma nucleare. Siccome Putin non può essere rovesciato e sostituito con un presidente filo-americano, l’Ucraina, come ho detto sin dal primo giorno di guerra, è “fondamentalmente persa”. Per questo motivo, occorre mediare.
Uno dei problemi di Ursula von der Leyen e dei direttori dei principali quotidiani italiani è la loro arretratezza culturale e militare. La loro riflessione si muove dentro l’orizzonte culturale della Seconda guerra mondiale. A loro dire, Putin può essere processato per crimini di guerra e magari condannato, ma – domando basito – quale americano andrà a Mosca per arrestare Putin se la Russia non può essere né invasa, né colpita con la bomba agostana di Hiroshima? Se è vero che la Russia sta impiegando in Ucraina le tecniche di combattimento della Prima guerra mondiale è altrettanto vero che i direttori dei principali quotidiani italiani applicano gli schemi di risoluzione dei conflitti del 500 avanti Cristo. Ecco perché non riescono ad andare oltre lo slogan: “Soltanto armi, nessuna diplomazia”. Ecco perché vanno avanti da dodici mesi a campagne di demonizzazione, diffamazione e denigrazione. Questo modo di procedere era tipico della propaganda della Seconda guerra mondiale. A partire dalla mia relazione in Senato sulla Russia del dicembre 2018, ho cercato di far capire che l’Occidente avrebbe dovuto lavorare per dirimere la controversia con la diplomazia sapendo bene che, una volta invasa, l’Ucraina sarebbe stata schiacciata e, alla fine, smembrata. I primi a infilare i denti nel collo degli ucraini sono stati i falchi d’Occidente con le loro politiche espansive sconsiderate.
Il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2023