È iniziato il gioco dello scaricabarile sulla debacle in Ucraina
“Io non ho paura di Trump, non ho paura di Putin, ho paura di noi stessi.” Volodymyr Zelensky non l’ha mai detto, ma avrebbe potuto. D’altronde è l’unico che ha davvero qualcosa da temere: mentre gli altri giocano a scaricabarile, lui rischia il destino di chi, nella Storia, ha perso il tavolo e la sedia. Il copione che si sta consumando sotto i nostri occhi ha il sapore delle tragedie greche, quelle dove il protagonista lotta fino all’ultimo respiro contro un destino già scritto.
Donald Trump, appena rientrato nella Casa Bianca per il suo secondo mandato, non ha perso tempo: “Basta assegni in bianco all’Ucraina, abbiamo speso troppo.” Parole che gli europei hanno ascoltato con una finta indignazione e un autentico sollievo. Da tempo, infatti, la guerra in Ucraina è diventata un problema che nessuno vuole più sostenere, ma nessuno ha il coraggio di dichiararlo apertamente. Si aspetta, dunque, il “cattivo” di turno per poter dare la colpa a qualcun altro.
La narrativa è già pronta: Zelensky è stato troppo intransigente, gli europei troppo deboli, gli americani troppo distratti, i russi troppo spietati. L’importante è non riconoscere il fallimento della strategia occidentale, basata sulla convinzione che Mosca potesse essere sconfitta con sanzioni, propaganda e forniture militari a singhiozzo. “Il tempo è dalla nostra parte”, ripetevano nelle cancellerie di Bruxelles e Washington. Ora quel tempo è scaduto e la realtà presenta il conto.
Il segnale inequivocabile è arrivato il 4 marzo con il congelamento degli aiuti militari da parte degli Stati Uniti, seguito, il giorno successivo, dalla sospensione della condivisione di intelligence. Di fatto, Zelensky è stato lasciato cieco e sordo in mezzo al campo di battaglia. Poche ore dopo, i leader europei si sono precipitati a Londra per giurare il loro eterno amore all’Ucraina. Emmanuel Macron ha parlato di un “impegno incrollabile”, Keir Starmer ha evocato “una coalizione di volenterosi”. Ma la condizione è sempre la stessa: “Con il supporto degli Stati Uniti.”
Ecco la farsa, servita su un piatto d’argento. L’Unione Europea non è mai stata capace di prendere decisioni strategiche senza l’ombrello americano. Ursula von der Leyen annuncia ambiziosi piani di riarmo, ma sa perfettamente che dipendono dai veti di paesi come l’Ungheria e la Slovacchia, già pronti a sabotare qualunque ulteriore aiuto a Kiev. Così, mentre in pubblico i leader europei parlano di resistenza e valori, in privato ammettono che la guerra è ormai persa.
Nel frattempo, Zelensky continua a recitare il suo ruolo nel dramma. Di fronte alla disillusione dell’opinione pubblica ucraina, cerca di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per ottenere il sostegno occidentale. “Abbiamo bisogno di garanzie di sicurezza”, ripete incessantemente. Parole che suonano come una condanna, perché proprio la mancanza di quelle garanzie ha spinto Kiev, nell’aprile 2022, a rifiutare l’accordo negoziato a Istanbul con la Russia.
Un altro grande rimosso dalla narrazione occidentale è proprio questo: all’inizio della guerra, un’intesa era possibile. Il Donbass sarebbe rimasto sotto sovranità ucraina con uno statuto speciale, la Russia avrebbe ritirato le truppe, e l’Ucraina avrebbe rinunciato all’ingresso nella NATO. Un compromesso che, alla luce delle devastazioni di oggi, sarebbe stato quasi vantaggioso. Ma allora Londra e Washington spinsero Zelensky a rifiutarlo, convinti che il tempo lavorasse contro Mosca.
Oggi è evidente il contrario. L’Ucraina ha perso territori, infrastrutture e centinaia di migliaia di uomini. Il sogno di riconquistare la Crimea e il Donbass si è infranto contro la realtà di un fronte che arretra, mentre il supporto occidentale si sgretola. Persino i vertici militari di Kiev iniziano a preparare il terreno per la capitolazione: a gennaio, il capo dell’intelligence Kyrylo Budanov ha avvertito che, senza una svolta entro l’estate, le conseguenze per l’Ucraina potrebbero essere “pericolose”.
Trump, nel frattempo, si prepara a far ricadere tutta la colpa sugli altri. “L’Europa non ha fatto abbastanza.” Vero e falso allo stesso tempo: gli europei hanno versato miliardi di euro in aiuti, ma sempre con il terrore di irritare troppo il Cremlino. Macron ha persino ipotizzato di inviare truppe, per poi ritrattare subito dopo. Parole al vento, in un continente paralizzato da un terrore antico: la paura di Putin.
Il risultato è che l’Occidente si prepara a digerire la sconfitta in Ucraina nello stesso modo in cui ha ingoiato quella in Afghanistan: negandola. Quando Kiev firmerà un accordo che formalizzerà la perdita dei territori occupati, ci sarà chi parlerà di “compromesso onorevole”, chi dirà che era “inevitabile”, chi accuserà Trump, chi Zelensky, chi gli europei. Nessuno ammetterà che l’errore è stato pensare che la Russia potesse essere sconfitta con i comunicati stampa e gli hashtag.
L’unico ad aver vinto, ancora una volta, è Vladimir Putin. Non perché sia un genio strategico, ma perché, al contrario dell’Occidente, ha sempre agito con una logica chiara: massimizzare il controllo territoriale e costringere gli avversari a riconoscere la realtà. Mentre le democrazie occidentali si raccontavano favole su una Russia pronta a implodere, il Cremlino accumulava munizioni e uomini.
Ora il sipario sta per calare. L’Europa continuerà a dire di “non abbandonare l’Ucraina”, ma sarà Mosca a decidere le condizioni della pace. Zelensky potrà solo cercare di salvare la faccia, mentre Trump si vanterà di aver chiuso un altro “disastro ereditato dai democratici”. E l’Europa? Continuerà a fare quello che sa fare meglio: fingere che sia tutta colpa degli altri.