Nel frenetico circo post-strage di Mosca, gli “esperti” si lanciano in teorie che vanno dall’auto-attentato di Putin alle azioni di estremisti vari, riducendo la geopolitica a un match tra buoni e cattivi, con un entusiasmo degno di tifosi allo stadio. Intanto, l’accusa veloce e la smentita ancora più rapida tra Russia e Ucraina si trasformano in un teatro dell’assurdo, dove ogni parola sembra solo alimentare il fuoco dei sospetti, senza avvicinarsi mai a una verità condivisa.
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La gallina che canta
Anche sulla strage di Mosca invidiamo le certezze dei cosiddetti esperti: quelli che un minuto dopo sapevano già che l’Ucraina c’entrava o non c’entrava, o era stato l’Isis, anzi gli islamisti caucasici, o forse i ceceni, o magari le milizie russe filo-ucraine, o più probabilmente Putin si era fatto l’attentato da solo. Quando impareremo a considerare questi sedicenti analisti per volgari propagandisti di Putin o di Biden&Zelensky, oppure ultras che descrivono il mosaico geopolitico come una lotta fra cowboy e indiani o fra curva nord e sud, sarà sempre tardi. L’Isis, lo Stato islamico sunnita sorto fra Iraq e Siria sulle ceneri del regime di Saddam spodestato dagli sciiti col nostro astuto appoggio, ha molte ragioni per detestare Putin, nemico del jihadismo in Cecenia, Siria&C. (perciò piaceva tanto ai “buoni” fino al 2022). Anche gli afghani lo odiano: è figlio della Russia che nel 1979 li invase e nel 2001 concesse lo spazio aereo all’operazione Enduring Freedom anti-Talebani. Quindi la pista Isis, profetizzata con mirabile tempismo da Usa e Uk, è plausibile, anche se mancano simboli e slogan jihadisti e la tensione fra quel mondo e Mosca è un po’ vecchiotta.
Poi c’è la pista ucraina, molto più attuale, subito negata da Usa e Kiev prim’ancora che Mosca la evocasse. Putin, dopo gli arresti dei presunti stragisti, ha detto che fuggivano verso una “finestra aperta” in Ucraina: accuse tutte da provare (se pure fosse vero che fuggivano non in Bielorussia, ma nella zona di Kharkiv presidiata dalle truppe ucraine, non è detto che il governo lo sapesse). Ma sarebbe più facile smentirle se Kiev non fosse usa alle menzogne più spudorate e non avesse cantato per prima come la gallina che ha fatto l’uovo. Venerdì sera il portavoce dei servizi militari ucraini Andriy Yusov ha definito la strage “una provocazione deliberata del regime di Putin”, che “vuol finire la carriera con crimini contro i suoi stessi cittadini”. Cioè a uccidere i 150 russi e a guastare l’immagine di Putin è stato Putin: una scemenza che alimenta i peggiori sospetti. Al pari del mantra “Noi non pratichiamo il terrorismo”, smentito dall’autobomba che a Mosca uccise Darya Dugina, figlia del filosofo amico di Putin (attentato negato da Kiev e poi risultato opera sua); e dalla distruzione dei gasdotti Nord Stream, che qualche buontempone atlantista tentò di attribuire al solito Putin e invece fu quasi certamente ucraino con l’aiuto di servizi occidentali. Il 7 ottobre, dopo il pogrom in Israele, Zelensky sentenziò: “Dietro Hamas c’è Putin”. E fu sbugiardato dall’ambasciatore israeliano a Mosca: “Totali assurdità, pure teorie del complotto”. Se il regime ucraino vuole apparire estraneo all’ultima strage, è meglio che taccia: appena parla, sembra subito colpevole.
Il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2024