Ci sono crimini di guerra e crimini di guerra, massacri e massacri, genocidi e genocidi. Dipende da chi li commette e da chi deve indignarsi. Se sei russo, iraniano o cinese, la condanna arriva immediata, accompagnata da sanzioni, censure, boicottaggi e tribunali internazionali. Se sei israeliano e hai le spalle coperte da Washington, invece, il massacro diventa un “problema complesso”, la pulizia etnica una “risposta necessaria al terrorismo” e la fame imposta un “effetto collaterale”. Ed ecco che l’Unione Europea si trasforma, ancora una volta, nel solito zerbino, pronta a inginocchiarsi davanti a Netanyahu mentre a Gaza e in Cisgiordania si perpetua l’ennesima carneficina.
Domenica 23 febbraio Israele ha inviato carri armati nei territori occupati della Cisgiordania per la prima volta dopo più di vent’anni. Non contento dei 48.000 morti (stima ufficiale, quella reale è molto più alta) e degli sfollamenti di massa causati dal bombardamento della Striscia di Gaza, il governo israeliano ha deciso di intensificare la sua politica di deportazione forzata, con il ministro della Difesa Katz che ha già chiarito il piano: i palestinesi che sono stati costretti a fuggire da Jenin non torneranno più. In qualunque altro contesto, si parlerebbe apertamente di pulizia etnica. Ma se a farlo è Israele, l’Europa organizza incontri diplomatici, rilascia comunicati di “grave preoccupazione” e poi passa alla voce successiva dell’ordine del giorno: gli accordi commerciali.
Il 26 febbraio, appena tre giorni dopo l’ennesima strage, a Bruxelles si è tenuto il tredicesimo vertice UE-Israele. Un’occasione perfetta per discutere di come uno stato occupante stia cancellando la popolazione palestinese davanti agli occhi del mondo? Macché. L’unica cosa che interessava ai presenti era ribadire l’importanza dei rapporti strategici con Israele, il suo ruolo di partner chiave e la necessità di cooperare in svariati settori, persino nell’agroalimentare. Sì, avete capito bene: mentre Netanyahu trasforma la fame in un’arma di guerra e condanna un’intera popolazione alla morte per inedia, l’UE non trova niente di meglio da fare che lodarlo come partner per un “sistema alimentare giusto e sicuro”. I palestinesi si possono tranquillamente aggiungere alla lista delle vittime collaterali della geopolitica.
Qualcuno dirà che il vertice non è stato del tutto privo di critiche: in fondo, nel documento ufficiale si dice che l’UE “deplora” il numero inaccettabile di civili uccisi, che l’annessione della Cisgiordania è illegale e che l’uso indiscriminato della detenzione amministrativa da parte di Israele è un problema. Ma sono dettagli insignificanti in 28 pagine di sviolinate, dove si ribadisce che “l’UE è pienamente solidale con Israele” e che il rapporto con Tel Aviv è di primaria importanza.
In pratica, lo schema è sempre lo stesso: Israele massacra, l’UE esprime “grave preoccupazione”, Israele continua indisturbato, l’UE rinnova gli accordi economici. E guai a pensare che si possa applicare ad Israele lo stesso metro usato per qualsiasi altro paese: quando i leader di Spagna e Irlanda hanno proposto di rivedere gli accordi con Israele alla luce dell’articolo 2 del trattato di associazione, che vincola la cooperazione al rispetto dei diritti umani, sono stati accolti con lo stesso entusiasmo con cui si accoglie un venditore porta a porta alle sei del mattino. Perché la verità è che nessuno, né in Europa né negli Stati Uniti, ha la minima intenzione di fermare Israele.
Trump, ovviamente, fa il suo gioco. Per ora dice che “non ha preso una posizione” sull’annessione della Cisgiordania, ma ha già lasciato intendere che l’idea non gli dispiace. Nel frattempo, Washington continua a rifornire Netanyahu di armi e a blindarlo con il veto all’ONU, in attesa di trasformare Gaza in una sorta di “Riviera del Medio Oriente”, come l’ha definita il tycoon, ovviamente senza più palestinesi in giro a rovinare la vista mare.
Di fronte a tutto questo, l’Europa avrebbe almeno una scelta: smettere di essere complice. Smettere di ripetere a pappagallo che la soluzione è “due popoli, due stati” mentre finanzia chi di quello stato palestinese non vuole neanche sentir parlare. Smettere di inchinarsi a Israele come se fosse un partner qualsiasi, quando invece è un regime che pratica l’apartheid e usa il terrore come politica di governo.
Ma non lo farà. Continuerà a organizzare vertici, a esprimere preoccupazioni, a firmare nuovi accordi e a guardare da un’altra parte mentre un intero popolo viene cancellato. Perché, alla fine, la regola è sempre la stessa: i diritti umani valgono solo quando è politicamente conveniente. E i palestinesi, per l’UE, valgono meno di un protocollo commerciale con Tel Aviv.