di Carmelo Sant’Angelo
Diceva Oscar Wilde, per il tramite di Dorian Gray: “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about” (“C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé”). Nel mondo della comunicazione questa massima è assurta a regola aurea. Un’attività commerciale o professionale o un’associazione che vuole affacciarsi sul mercato ha assoluto bisogno di far parlare di sé, di farsi conoscere, di diffondere il proprio marchio e la propria mission, di ricevere il feedback dei potenziali clienti/utenti/simpatizzanti. Lo stesso vale per un partito, che ha bisogno di far conoscere le proprie iniziative.
A questa regola sembrano, però, sottrarsi i 5stelle. Ho scoperto, infatti, guardando il tg La7, che il Movimento si è ritirato sull’Aventino. Eppure nell’ultima settimana ne sono successe di cose interessanti, ma dai servizi del telegiornale ho desunto che Conte abbia preferito ecclissarsi. Non ha avuto nulla da dire sulla riforma della giustizia; niente sul rinvio a giudizio della Santanchè; il silenzio totale sull’ennesimo decreto che autorizza l’invio d’armi all’Ucraina; nessuna opinione sul caso Almasri. Nel resoconto giornalistico della tv di Cairo l’opposizione è incarnata dagli esponenti del Pd, di Azione-IV e l’immancabile Bonelli. I 5stelle non compaiono; essi solcano lo schermo soltanto come meteore saltuarie, quasi sempre descritti dall’ermetico resoconto della voce narrante e raramente dalla loro viva voce. Poiché i citati argomenti costituiscono il core business del Movimento, indagando meglio, ho scovato alcuni durissimi e sferzanti attacchi sferrati in aula dal M5S per bocca dei suoi rappresentanti: Cafiero de Raho; Lomuti; Iaria; Scarpinato; Appendino; D’Orso…. Evidentememnte costoro vivono nell’etere televisivo “senza infamia e sanza lodo”, per cui il direttore del tg non si cura di loro “ma guarda e passa”.
Per amor di verità, devo riportare che la “condanna all’oblio” non è assoluta perché la grancassa mediatica si scatena ogni qual volta vi sia una gaffe o uno scivolone pentastellato (ad es.: Matteotti confuso con Andreotti o sempre lo stesso Matteotti rapito “a Bologna nel 2026”). In queste occasioni si sfiora il bullismo mediatico. Non voglio in questa sede sindacare il tg di Mentana (che, tra l’altro, è uno dei pochissimi che rifugge dall’infotainment) perché ognuno è libero di fare il telegiornale/giornale che vuole e come gli aggrada – soprattutto se non usa denaro pubblico – così come sono liberi i cittadini di guardarlo/comprarlo. Voglio, invece, richiamare l’attenzione sulla teoria della “spirale del silenzio” elaborata, negli anni settanta, da Elisabeth Noelle-Neumann. La tesi di fondo è che il potere di persuasione della televisione sia in grado di enfatizzare opinioni e sentimenti prevalenti, mediante la riduzione al silenzio delle opzioni minoritarie e dissenzienti. Siamo, cioè, oltre il concetto di omologazione culturale (ampiamente indagato da McLuhan o dal nostro Umberto Eco), poiché la televisione stabilisce le coordinate dell’ambiente sociale, del clima d’opinione in cui gli individui si orientano e a cui reagiscono allineandosi per paura dell’ostracismo sociale.
Questi sono i motivi per cui, nei luoghi in cui si svolgono le relazioni sociali, sia impossibile trattare i temi di attualità senza fare delle doverose premesse: “Esiste un invaso e un invasore”; “C’è stato il 7 ottobre”; “Meloni è brava ed intelligente, ma i suoi ministri non sono all’altezza”; “Giusta l’efficienza energetica, ma il superbonus ha causato un’emorragia nei conti pubblici”; “Il reddito di cittadinanza è un regalo a Poltronesofà”, e infine un evergreen: “I 5 Stelle sono degli scappati di casa”. Di fronte a questi dogmi di fede i telespettatori hanno di fronte a loro due opzioni: abbracciare la posizione maggioritaria oppure tacere per evitare l’ostracismo e la riprovazione sociale. Ed anch’io tacqui come corpo morto tace.
Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2025