Coloro che miravano alla pace hanno tentato sin dall’inizio del conflitto russo-ucraino di circoscriverne i termini: Donbass, Crimea, rapporto con la Ue, ingerenza della Nato. L’obiettivo era la soluzione di concreti problemi – politici, strategici, economici, militari – risolvibili in un negoziato.
Ma già allora è emerso uno schema interpretativo che si è andato imponendo: quello del nuovo scontro di civiltà fra democrazie e autocrazie. Se in quei primi giorni sembrava uno schema astratto e artificioso, oggi ne appare chiara la funzione. È infatti l’argomento principale a cui ricorrono i propugnatori della guerra a oltranza. Non appena si apre uno spiraglio di pace spunta qualche atlantista militante pronto a riattizzare il fuoco.
Ma in che cosa consiste questa nuova invenzione? Non aveva già causato abbastanza danni Samuel Huntington con l’immagine di due blocchi monolitici, l’Occidente e l’Islam, che si fronteggiano? Per i teorici del nuovo scontro di civiltà tutto il mondo è diviso fra regimi autocratici e paesi democratici. Lo scontro assume dimensioni temporali indistinte e contorni spaziali cosmici. Da un canto il Male e dall’altro il Bene.
Gli autocrati sarebbero i veri colpevoli di tutti gli eventi negativi che stanno devastando il pianeta. Eredi ed emuli dei grandi dittatori del Novecento, da Hitler a Stalin, non sono legati fra loro da una stessa ideologia politica, né da una salda alleanza militare, ma operano come un agglomerato di aziende. Il nesso che li tiene insieme è la determinazione assoluta a preservare il proprio potere e la propria ricchezza lottando contro il loro nemico comune: le democrazie. Più precisamente il fronte democratico sarebbe costituito da Unione Europea, Nato e “Occidente”, a cui si aggiungono i dissidenti interni, coloro che, pur vivendo in un regime repressivo, si richiamano ai principi liberali. L’area dell’autocrazia si estende invece dalla Cina all’Iran, dalla Corea del Nord al Venezuela, da Cuba all’Angola e a un’altra trentina di Stati canaglia. Ma la madre di tutte le autocrazie è la Russia di Putin, l’ex membro del Kgb ed epigono dello stalinismo.
Per i teorici del nuovo scontro – da Christopher Coker ad Anne Applebaum – la profezia di Francis Fukuyama sulla “fine della storia” si è rivelata un bluff. Ormai è evidente che la democrazia liberale non si afferma autonomamente, perché molti la osteggiano. Il riconoscimento di ciò segna l’ingresso in una nuova epoca. Ma a provocare lo scontro sarebbero gli autocrati che detestano e, anzi, temono tutto ciò che ha a che fare con la democrazia, in particolare il diritto di parola e la libertà. Non si tratterebbe, dunque, di competizione geopolitica o concorrenza economica, bensì appunto di “civiltà” (non meglio specificata).
La prima guerra aperta di questa nuova epoca sarebbe quella scatenata dalla Russia in Ucraina il 24 febbraio 2022. L’invasione è stata pianificata in questo spirito da Mosca, con l’intento di mostrare che le vecchie regole non valgono più. Non sarebbe dunque una questione di territori e di sicurezza. Il piano russo, escogitato già da tempo, sarebbe finalizzato a minare la rete del diritto internazionale, edificato dal 1945, e a distruggere l’ordine europeo creato dopo il 1989. Ma soprattutto avrebbe come scopo ultimo quello di distruggere la reputazione degli Stati Uniti e dei loro alleati democratici. Lo scontro di civiltà riguarda dunque l’ordine mondiale, anzi cosmico.
La storia recente dell’Europa viene riletta in questa luce. L’indice è puntato in particolare contro la politica tedesca che, da Willy Brandt ad Angela Merkel, nei decenni del dopoguerra ha promosso un’apertura a est all’insegna dello scambio economico. Per fortuna che il Nord Stream 2, il gasdotto che ha rappresentato l’apice del connubio con la Russia, è stato reso inservibile da una carica esplosiva il 26 settembre 2022. Guai a pensare ancora che si possa promuovere la democrazia con il commercio! Piuttosto bisogna difenderla armi in pugno. O meglio, farla difendere per procura.
Non importa che gli ucraini siano esausti, che non ne possano più di una guerra ormai persa, che siano prostrati dinanzi alle macerie di un paese distrutto, perché comunque dovranno andare avanti a combattere “per la nostra libertà”. Non proprio solo contro la Russia, bensì contro tutto il fronte delle autocrazie di cui la Russia è la punta avanzata. E, certo, prima o poi dovremo affiancarli. I democratici uniti dovranno far fronte a questa sfida epocale.
In questo quadro diventano problematici i regimi ibridi come Turchia, Singapore, Ungheria, che perciò vengono chiamate “democrazie illiberali”. È prevista un’eccezione anche per le monarchie arabe come Arabia Saudita ed Emirati, che non insidierebbero più le democrazie (ma l’Islam non era in nemico numero uno?).
Si riconosce poi che le democrazie non sono perfette – ragione in più per difenderle. Come? Se non si esporta più la democrazia a suon di bombe, la si sostiene con i missili. Ma anche – e soprattutto? – con l’informazione, che è il vero ultimo fronte. Già da tempo gli autocrati ne colgono l’importanza e con una potente propaganda su canali televisivi, giornali, reti di comunità virtuali, mirano a suggestionare gli ingenui cittadini delle democrazie occidentali. Così molti si sono bevuti le loro fake news descrivendo una parte degli ucraini come nazisti e l’Ucraina stessa come un fantoccio governato dalla Nato.
Per ovviare a ciò i democratici, Stati Uniti & Co., hanno preso provvedimenti. La buona informazione non basta più e i vecchi modelli sono inefficaci. Occorre prevenire con un pre-bunking, uno smascheramento preventivo. È così che nel 2023 il GEC (Global Engagement Center) del Dipartimento di Stato si è attivato con il proposito di svelare e smascherare le campagne pianificate dalla Russia prima che abbiano luogo.
Ma che ne è allora dei dissidenti all’interno delle democrazie occidentali? A questa (ingenua) domanda i teorici del nuovo scontro rispondono senza indugio. Evidentemente quei “dissidenti” o sono degli sprovveduti incapaci di un fact-checking, la necessaria verifica dei fatti, oppure – peggio! – sono dei putiniani, anzi dei propagandisti da sbugiardare. Il fronte dello scontro passa anche da qui. Non importa poi che con questa grottesca contorsione si rischi di svuotare del tutto la democrazia. L’importante è poter contare su un efficace schema interpretativo che, quando emergono le ragioni della pace, possa giustificare la guerra a oltranza.
Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2024