Elena Basile, nel suo articolo per Il Fatto Quotidiano del 23 marzo 2024, presenta una riflessione critica della persistente tensione geopolitica tra l’Europa e la Russia, sottolineando la necessità di un cambio di paradigma nella politica estera europea. Basile contrappone la retorica bellicista e la mobilitazione generale propugnata dal Consiglio europeo e dai neoconservatori, alla voce più ragionevole di Charlie Kupchan, ex consigliere di Obama, che invita a riconoscere la realtà della Russia e a lavorare per una soluzione negoziale. L’articolo critica la strategia di sostenere l’Ucraina militarmente come mezzo per ottenere una posizione di forza nei confronti della Russia, indicando come questa politica abbia finora portato solo a maggiori sofferenze senza avvicinare alla pace. Basile propone invece di porre fine alla logica di Guerra fredda, suggerendo che la cessazione delle ostilità e l’inizio di negoziati in buona fede, accompagnati dalla caduta delle sanzioni, potrebbero portare a una ritirata russa e a una nuova architettura di sicurezza europea. L’articolo mette in discussione l’assenza di un mediatore nel conflitto e critica la narrazione occidentale sull’imperialismo russo, invitando a una riflessione più profonda sui veri interessi in gioco e sulle possibili vie verso la pace.
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Il negoziato è possibile, basta volerlo davvero
di Elena Basile
Mentre il Consiglio europeo ci fa accapponare la pelle, affermando di voler preparare i cittadini allo scontro frontale con la Russia e disquisisce di economie di guerra e mobilitazione generale, l’ex consigliere di Obama, Charlie Kupchan, entra nel dibattito per esprimere parole di buon senso: Mosca resterà nel nostro orizzonte geopolitico; dobbiamo accettare la Russia per quel che è e non per quello che vorremmo che fosse. Evidentemente Kupchan spara fuoco amico sui compagni di avventura neoconservatori che questa guerra l’hanno voluta senza tener conto della realtà.
Non prendiamo in considerazione la tesi più radicale che vorrebbe la sconfitta della Russia e un cambio di regime, che peraltro è oramai sconfessata dalla situazione sul campo. Interloquiamo con i più saggi che sostengono l’esigenza di armare e finanziare l’Ucraina per fermare la controffensiva russa e pervenire ai negoziati da una situazione di forza. È un ritornello che abbiamo ascoltato già nel 2023 e che finora ha massacrato un’intera generazione di giovani e distrutto le infrastrutture del Paese.
Questa postura ha spinto il Cremlino a raddoppiare gli sforzi bellici. Non è possibile un negoziato con chi lo utilizzerebbe solo per meglio armarsi e perseguire obiettivi ostili. Se si vuole negoziare bisogna decretare la fine di una politica che si è dimostrata perdente. Per convincere Mosca a non continuare nella sua offensiva per altri cinque anni, durante i quali avrà, riguardo a munizioni, uomini e armamenti, una relativa superiorità, bisogna uscire dalla logica di Guerra fredda che dalla Svezia ai Baltici alla Polonia ha ormai infestato l’Europa. L’alternativa è la prosecuzione della guerra, come affermano gli esponenti del Blob statunitense, per i prossimi 10 anni, con rischi inusitati e traguardi non scontati e con la discesa di truppe Nato sul campo. Se oggi si cessasse il fuoco e si avviassero negoziati in buona fede, facendo cadere le sanzioni, nell’ambito di una nuova architettura di sicurezza europea, Mosca potrebbe ritirarsi dai territori occupati, cui andrebbero garantite autonomie regionali e linguistiche. Una svolta a 360 gradi della politica europea, ritornando alla cooperazione e a un modello di sviluppo economico vincente.
La strategia opposta, oltre a condannarci alla crisi economica e ai rischi di conflitto nucleare, stabilirà una frontiera coreana con la Russia e renderà instabile la sicurezza di tutti noi. LaRussia ha territori immensi, risorse cospicue e una popolazione in calo demografico. Questi tre parametri dovrebbero essere presi in considerazione dai nostri analisti per poter comprendere che Mosca non ha mire imperialistiche in Europa. Vuole non essere minacciata alle sue frontiere. Se gli atlantisti potessero spiegarci perché la neutralità dell’Ucraina non è un interesse europeo, ucraino oltreché russo, saremmo loro grati. Siamo quindi passati dalle armi a Kiev per una vittoria contro la Russia e la riconquista dei territori occupati, alle armi a Kiev per evitare che la Russia conquisti altri territori. Data la netta superiorità militare russa sul campo, che non può essere mutata dagli aiuti europei o da patetici accordi bilaterali, che legano di fatto contro le Costituzioni nazionali le democrazie europee a un Paese in guerra, questa strategia è destinata a spingere Mosca ad avanzare. I perdenti sono il popolo ucraino e i suoi martiri. Il perdente è la classe lavoratrice europea. Le guerre finirebbero all’istante se coloro che le sostengono dovessero essere conseguenti e partire per il fronte.
L’altro dogma sul quale si insiste con una certa ipocrisia è che non c’è bisogno di un mediatore. Saranno gli ucraini, al momento giusto, a negoziare. Quali ucraini? Le madri che hanno perso i loro figli? Oppure una classe dirigente nazionalista e di estrema destra che è eteroguidata dai servizi anglo-americani e che nel marzo del 2022 era già pervenuta a una mediazione con i russi, poi rinnegata su input di Boris Johnson? Purtroppo si inculca nel lettore distratto l’assurda nozione che siano Paesi piccoli e deboli a gestire le relazioni internazionali e non i loro potenti sponsor. L’Europa, dopo l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, è divenuta più insicura. Anche i migliori editorialisti trasformano la realtà. Dicono che la Russia ammassa le truppe al confine con la Finlandia: ecco svelata la sua aggressività. Ci si dimentica di avvertire il lettore che si tratta di una risposta alla modifica di equilibri della Guerra fredda quando la Finlandia era rimasta neutrale. Povera Europa baltica! Siamo ormai nelle mani dell’estone Kaja Kallas. In Russia si è liberi di non votare, ancora di più lo si è nelle comunità russe all’estero. L’affluenza massiccia è stata storica. La nostra propaganda ha convinto persino i dissidenti che è il momento di stringersi intorno al presidente e alla Patria.
Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2024