“Stiamo facendo la storia.” Quante volte l’abbiamo sentita questa frase da Ursula von der Leyen? Ogni volta che la Commissione Europea firma un nuovo trattato, vara un regolamento, stringe una mano, l’Europa sembra sempre sul punto di entrare nei libri di storia. Peccato che la storia non si scriva con gli slogan e gli annunci in conferenze stampa, ma con la realtà dei fatti. E la realtà, qui, è che l’Unione Europea, con questo grande piano di “rearme”, non sta costruendo nessuna difesa comune, non sta prendendo il controllo del proprio destino, non sta diventando un attore geopolitico autonomo. Sta semplicemente correndo dietro a una crisi che non sa gestire, gettando miliardi nel buco nero di un riarmo che favorirà solo le industrie belliche, e sperando che nessuno si accorga dell’inconsistenza strategica di tutto questo teatrino.
Trump, Putin e la paura
Cosa ha spinto i 27 leader europei a questo scatto isterico? L’ipotesi che Donald Trump, sempre più sbilanciato verso il Cremlino, possa lasciare l’Europa senza la protezione americana. Il grande timore che la NATO si sfaldi e che l’UE debba finalmente difendersi da sola. Panico. “Se Trump se ne va, chi ci proteggerà da Putin?” è il mantra che rimbomba nei corridoi di Bruxelles, Berlino e Parigi. Come se Putin fosse alle porte di Varsavia pronto a invadere tutta l’Europa occidentale.
Il problema è che l’Europa si è abituata a non pensare da sola, a demandare ogni decisione importante a Washington, e ora che l’ombrello americano rischia di chiudersi, si agita come un burattino senza fili. E allora ecco il “bazooka europeo”: 800 miliardi di euro in quattro anni, con 150 miliardi di debito comune, per comprare armi, modernizzare gli eserciti, finanziare l’industria bellica e convincere i governi che questa è la “nuova era” della sicurezza.
Von der Leyen l’ha detto chiaramente: “Investiremo in difesa meglio, più velocemente e insieme.” Parole che suonano bene, ma che non significano nulla. Perché questa corsa al riarmo non è coordinata, non è strategica e non farà dell’Europa un attore più forte.
La grande farsa del riarmo europeo
Chi decide cosa comprare? Chi coordina gli eserciti nazionali? Chi stabilisce la strategia comune? Nessuno. Ogni paese continuerà a fare per conto suo. La Francia punterà sul suo deterrente nucleare e sul ruolo di “gendarme d’Europa”. La Germania, con il suo bazooka finanziario, inonderà la Bundeswehr di miliardi sperando di nascondere anni di negligenza militare. I paesi dell’Est si armeranno fino ai denti con il sostegno di Washington, con o senza Trump. L’Italia, come sempre, seguirà la corrente senza sapere esattamente dove sta andando.
Emmanuel Macron è l’unico che prova a dare un senso a questa farsa, parlando di un “ombrello nucleare europeo”. L’idea è che la Francia potrebbe mettere il suo arsenale atomico al servizio della sicurezza continentale. La Germania, in un colpo di scena senza precedenti, sembra addirittura disposta ad ascoltare. Eppure, la verità è che nessuno vuole davvero una difesa comune. Nessuno vuole rinunciare alla propria sovranità militare. Nessuno si fida degli altri.
Non lo dice nessuno, ma tutti lo sanno: questa non è una “Unione Europea della difesa”. È un’asta pubblica per chi compra più armi nel minor tempo possibile.
L’ipocrisia dell’Europa sulla guerra
C’è un altro punto che nessuno osa affrontare: questo piano di riarmo è presentato come una misura per la pace, ma in realtà è l’esatto contrario. La dottrina ufficiale è la “strategia del porcospino”: armare l’Ucraina così tanto da renderla inespugnabile per i russi. Il problema? Mosca non si fermerà solo perché Bruxelles lo decide. Più l’Europa si arma, più la Russia risponderà. Più l’Ucraina diventa una roccaforte NATO, più Putin la vedrà come una minaccia esistenziale.
Ma il paradosso è che, mentre l’Europa dichiara guerra a Mosca sul piano economico e militare, cerca ancora di fare affari con la Cina, il miglior alleato di Putin. Un doppio standard che dimostra quanto sia fragile la posizione strategica dell’UE.
La guerra è un business
C’è però chi ci guadagna: le industrie militari, ovviamente. Lockheed Martin, Rheinmetall, Dassault Aviation, Leonardo. I giganti della difesa hanno già visto il loro valore in borsa impennarsi dopo l’annuncio del piano europeo. E non è un caso che i politici più entusiasti del riarmo siano quelli più vicini a questi gruppi di potere.
Eppure, la vera domanda resta senza risposta: questo piano di difesa serve davvero a proteggere i cittadini europei? O è solo l’ennesima manovra per spendere soldi pubblici senza una strategia chiara?
Un’Europa più sicura o più debole?
I leader europei ci vendono il riarmo come un passo necessario verso l’autonomia strategica. Ma la verità è che questo piano dimostra esattamente il contrario: l’Europa non è autonoma, non è strategica, non è unita. Si muove per reazione, per paura, per inerzia. E così facendo, non sta diventando più forte. Sta solo accelerando la sua corsa verso il caos.
L’Europa non ha bisogno di più armi. Ha bisogno di una politica estera indipendente. Ha bisogno di smettere di seguire gli Stati Uniti in ogni guerra che decidono di combattere. Ha bisogno di capire che la sicurezza non si costruisce con i miliardi, ma con la diplomazia, la credibilità e la coerenza.
Ma questa, purtroppo, è una lezione che nessuno a Bruxelles sembra voler imparare.