Nel periodo in cui ho conosciuto Viktor Orbán, dal 1999 al 2003, l’Ungheria era divisa tra ungheresi della Puszta e quelli di origine austriaca. Orbán rappresentava una visione clerico-fascista che contrastava con l’Europa progressista. Oggi, tuttavia, ci troviamo di fronte a un nuovo fascismo più insidioso: quello delle oligarchie finanziarie che, mascherate da progressismo, dominano le società occidentali. L’azione diplomatica dell’Ue viene demonizzata mentre si propagano dogmi infondati. La vera minaccia non è la Russia, ma il tradimento degli interessi europei da parte dell’élite occidentale. La sinistra progressista di oggi, invece di denunciare come in passato, è diventata portavoce di queste politiche. In questo contesto, solo i movimenti considerati populisti come i 5 Stelle e il gruppo europeo Linke offrono una speranza di ritorno ai valori umanistici.
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di Elena Basile
Ho conosciuto Viktor Orbán in Ungheria dal 1999 al 2003 quando servivo l’Italia come funzionario vicario dell’Ambasciata. Era il rappresentante della Puszta, degli ungheresi che differivano addirittura per l’aspetto fisico, bassini e bruni, rispetto agli alti e biondi di origine austriaca che votavano per i partiti liberale e socialista. Ricordo i suoi discorsi neofascisti, la sua alleanza con la Chiesa, i ricevimenti con più prelati che laici. Erano tempi d’oro per la sottoscritta. Era facile sentirsi parte della maggioranza progressista, liberale e socialista, federalista europea, dalla parte del giusto lontano da una visione clerico-fascista della società. Chi l’avrebbe mai detto che, grazie alla cartina al tornasole di queste guerre, avrei dovuto conoscere un nuovo fascismo, più potente e radicato nelle società occidentali: quello delle oligarchie finanziarie, delle armi e dell’energia, che utilizzano il finto progressismo dei falsi liberali e socialisti odierni per attuare disegni di dominazione sulla scena internazionale, seminando caos e instabilità? Al confronto, ben più ingenuo e meno pericoloso appare persino il neofascismo ruspante di leader come Orbán o Salvini.
Oggi leggo con un masochismo inspiegabile gli editoriali degli analisti “progressisti”, sicuri che il viaggio a Kiev e a Mosca del presidente ungherese di turno dell’Ue, il primo segno di esistenza in vita di un’Europa diplomatica da oltre due anni, sia da condannare. Persone istruite e colte cercano di convincere il lettore di dogmi senza fondamento. Un’azione diplomatica normale – parlare con due capi di Stato per comprendere le possibilità di una mediazione tra interessi opposti – viene demonizzata. Si ripete che il presidente della Russia vuole dividere l’Europa e ha dichiarato guerra alle democrazie. La “pace giusta” è la sua sconfitta, altrimenti occuperà l’Europa. Noi che ci preoccupiamo delle sorti dell’Ucraina, un Paese fallito che ha perso gran parte della sua popolazione e continuerà a far massacrare giovani vite e a perdere territori nella guerra suicida con la Russia, noi che vorremmo un’Ucraina sviluppata economicamente, democratica e neutrale, noi veri filo-ucraini siamo chiamati filo-putiniani. Ecco, questo è il mondo orwelliano che distrugge la logica, mistifica la realtà, proclama dogmi senza fondamento. La Russia minaccia l’Europa come i vietnamiti sarebbero sbarcati a Los Angeles. La differenza è che al tempo della guerra in Vietnam la sinistra progressista denunciava la politica statunitense di stampo mafioso, mentre oggi se ne fa portavoce.
Non posso ripetere le domande di Ipazia rimaste senza risposte, né ritornare alle ricostruzioni di una strategia statunitense che nel mio libro L’Occidente e il nemico permanente ho cercato di ben documentare. Posso solo esprimere lo sgomento di molti di noi, della maggioranza della società civile consapevole, di fronte al tradimento della pace, degli interessi dei popoli europei da parte della cosiddetta élite cosmopolita e illuminata occidentale. Non posso credere che la cultura di cui intellettuali e analisti dispongono non generi analisi razionali, ma propaganda indecente, demonizzazione del nemico, slogan ipocriti. A molti di noi sembra di vivere in un incubo, in cui cominciamo a dubitare della nostra integrità morale e intellettuale. Come mai ci sentiamo depositari della verità, com’è possibile che non riusciamo a trovare un fatto, un solo fatto, che possa giustificare la narrativa criminale della Nato? E ripetiamo: l’Ucraina neutrale e democratica, l’architettura di sicurezza europea e la convivenza tra Europa atlantica ed Eurasia sono un bene comune. La Russia non ha la potenza, non ha i tassi demografici crescenti su scarse superfici territoriali, non ha la fame di materie prime per accarezzare sogni di conquista territoriale a casa nostra. È l’Europa continentale e mediterranea che sta tradendo i propri interessi, sostituiti da quelli statunitensi. La crisi economica della Germania ne è l’emblema. La prevalenza degli aut aut dei servizi segreti rivela l’influenza sulla politica europea del deep State americano: Cia, Pentagono, complesso militare-industriale, blob neoconservatore.
In questo orizzonte buio che ci spinge all’impotenza è chiaro che le differenze tra centrosinistra, centrodestra e destra radicale sono soltanto nei diversi mezzi di intrattenimento. Difficile rallegrarsi per la vittoria dei laburisti e del Pd se la loro politica economica ed estera non si distingue da quella della destra se non per dettagli che non fanno veramente la differenza. Sono invece felice che i 5 Stelle abbiano aderito al gruppo europeo Linke. È in questa sinistra, considerata populista perché contraria ai poteri costituiti, che possiamo intravedere in fondo al tunnel la tenue luce di un ritorno ai valori umanistici di pace e rispetto della dignità umana.