I somari dell’impunità

La destra rivuole l’immunità parlamentare. Ma è così somara da non avere la più pallida idea di cosa fosse: pensa che fino alla riforma del ’93, gli eletti fossero immuni da ogni indagine penale.

di Marco Travaglio

La destra rivuole l’immunità parlamentare. Ma è così somara da non avere la più pallida idea di cosa fosse: pensa che fino alla riforma del ’93, gli eletti fossero immuni da ogni indagine penale. Come se i Padri costituenti avessero scritto all’art. 3 che “tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge” e all’art. 68 che un migliaio sono più uguali degli altri con licenza di delinquere. Balla totale: l’unica guarentigia automatica era la stessa vigente oggi: i parlamentari non si processano per “le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Sui reati comuni, invece, serviva l’“autorizzazione a procedere della Camera” di appartenenza, che poteva negarla in caso di persecuzione politica. Se un pm riceveva una notizia di reato su un eletto, lo indagava e poi aveva 30 giorni per raccogliere gli elementi di accusa e girarli al Parlamento. Se questo votava Sì, l’eletto veniva processato come ogni cittadino. Se votava No, il processo moriva lì. Ma le carte erano pubbliche, così i cittadini potevano punire i partiti che davano l’impunità a un criminale della Casta spacciandolo per un perseguitato politico. Nei primi anni della Repubblica le autorizzazioni erano quasi sempre concesse. Poi iniziarono gli abusi. Fino allo sconcio del voto salva-Craxi del 1993, che scatenò proteste e screditò la classe politica al punto che essa stessa cancellò quello che aveva trasformato in privilegio medievale. L’autorizzazione a procedere restò per le opinioni e i voti, oltreché per gli arresti, i sequestri, le perquisizioni e le intercettazioni di parlamentari.

I Costituenti avevano voluto l’immunità con lo spirito opposto di chi ora vuole riesumarla: tutelare le opposizioni da una magistratura appena uscita dal fascismo, formattata a una cultura compiacente nei confronti del governo, incline a prendersela con esponenti delle minoranze per atti politici borderline contro il potere: picchettaggi, proteste di piazza, occupazioni di terre, blocchi stradali e ferroviari. Ora la destra rivuole l’immunità per blindare se stessa a colpi di maggioranza, autorizzando solo le indagini sugli oppositori. Infatti attacca la Cpi che osa chiedere l’arresto di Almasri e il pm di Roma che si permette di indagare Meloni e altri tre membri del governo (peraltro per reati ministeriali tuttora soggetti all’autorizzazione a procedere, che viene quasi sempre negata); e intanto sventola contro le minoranze l’inchiesta sul tesoriere campano del Pd. Le indagini sul governo sono congiure, quelle sull’opposizione sono vangelo. Ma i ciucci non sanno che, anche tornando al vecchio art. 68, i politici sospettati di reati verrebbero indagati e le prove finirebbero in Parlamento e sui giornali. E i partiti, tentando di salvarli, finirebbero sputtanati: come se non lo fossero già abbastanza.

Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2025

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