I Musk, la Macchina e la sinistra fuori gioco

I padroni della “Macchina intelligente” sono gli attuali sovrani del mondo. Ma è più che mai necessaria una politica che sappia distribuire equamente la ricchezza

di Massimo Cacciari

“Metti i Musk al comando!” – Questo sembra il segno dell’epoca in cui già siamo entrati. Nessun disegno politico, nessuna definita strategia segnano questo processo. Si tratta di una evoluzione, proprio in senso culturale-antropologico, del sistema che regge ormai il nostro mondo. L’opinione pubblica vi partecipa, soggetto attivo e oggetto in uno, quanto i suoi “capi” politici. La potenza della Tecnica (l’Apparato globale formato da economia, finanza, scienza, innovazione, sviluppo) non è più sentita da tempo come ciò che è in grado di rispondere ai nostri bisogni, di superare il bisogno, ma l’Autorità sovrana che li produce e li detta. La Tecnica domina il dover essere dell’umanità e ne è diventata, in tutta evidenza, la nuova religione. È essa che ci guida nella nebbia, promettendoci, se ci affideremo alla sua intelligenza, di eliminare l’angosciosa imprevedibilità dello stesso futuro. Ciò che la Tecnica afferma si trasforma in una sorta profezia. Quanto esplicabili gli algoritmi su cui si basa? Quanto responsabili i suoi oracoli? Domande di giorno in giorno più oziose – ciò che universalmente si avverte è che la Macchina, Macchina ormai divenuta intelligente, “spirituale”, rappresenta il fattore fondamentale della nostra vita. E i suoi padroni ne sono perciò, di necessità, i sovrani. Stupirsi dell’affermazione politica dei Musk potrebbe suonare perciò agli orecchi di un sano realismo un patetico lamento.

Si sono affermate nel corso degli ultimi decenni culture politiche che hanno assecondato un tale processo e che nulla hanno a che fare con le destre e le sinistre del Novecento. Queste esprimevano tutte, in forme anche contrapposte, in lotta tra loro, la volontà politica di volgere ai propri fini la potenza del sistema tecnico-economico. Esse concepivano ancora la Tecnica in quanto strumento. Cambia tutto tra anni ’70 e ’80. Lì è la vera rivoluzione. Segnata dai Reagan e dalle Thatcher. Le destre neo-conservatrici e neo-liberiste mantengono soltanto come orpello ideologico, a scopo demagogico, alcuni dei connotati delle destre storiche: retoriche nazionalistico-identitarie, velleità civilizzatrici (l’idea della propria come la sola, autentica civiltà), l’esaltazione dello strumento penale come fattore di sicurezza. In realtà la loro forza consiste nella capacità di aderire pienamente alla potenza globale del sistema economico-finanziario che guida la rivoluzione tecnologica del nuovo Millennio. Eliminare gli impedimenti che ne limitano l’affermazione, amministrare il contesto culturale e sociale in modo che ne interiorizzi i “valori” (il primo dei quali sarà il successo individuale, da perseguire con ogni mezzo, sul modello dei grandiosi successi della Tecnica), questo soltanto è ciò che deve residuare della “vocazione politica”.

La resistibile ascesa delle destre nelle democrazie occidentali trova qui la sua spiegazione. Esse, nella loro del tutto inedita versione, trasversalmente presenti in ogni parte degli schieramenti politici, riflettono il sistema dominante, di cui le antiche sinistre iniziano forse soltanto ora a intendere la natura autenticamente rivoluzionaria. Difronte ai successi della Tecnica le prime hanno radicalmente mutato la propria strategia di fondo (mantenendo del loro passato soltanto i cascami populistici), le secondo hanno svolto il ruolo dei “buoni conservatori”, di chi vorrebbe rendere “dolce” un passaggio che in sé è irreversibile e traumatico. Invece di affrontarlo, invece di cercare di organizzare sindacalmente e politicamente i soggetti concreti che in esso venivano colpiti, si è limitata a cercare di difendere, quasi mai con efficacia (vedi la tragedia sulle politiche per l’immigrazione) i “diritti umani”, che nessuno mai ha spiegato cosa fossero se disincarnati da norme positive che rendessero sanzionabili i trasgressori. Dall’epoca dei Reagan e delle Thatcher la nuova destra è pronta all’appuntamento con i Musk. La vecchia sinistra non li ha visti crescere. Ha parlato per qualche tempo di un capitalismo borghese che non esisteva più. Poi è rimasta incantata dalle ideologie della fine della storia, della globalizzazione economico-finanziaria come portatrice universale di democrazia e di pace. Mentre le nuove destre saltavano sul carro dei vincitori, riuscendo così anche a dare l’impressione di guidarlo, le sinistre difendevano arcaiche forme di centralità di parlamenti e assemblee elettive, senza un’idea neppure sulla loro riforma.

Vince la potenza politica delle destre? No, vince l’immagine di potenza che il sistema-Musk esprime – e che le nuove destre, quelle che contano, del tutto estranee alle geografie parlamentari del Novecento, idolatrano. Le sinistre perdono perché appaiono fuori gioco rispetto ai fattori determinanti il nostro destino. La loro è una forma di astensionismo, che dura dagli anni ’80, sia da ogni effettuale partecipazione che da ogni efficacia critica allo stato di cose esistente. La loro “astensione” determina il crollo della loro rappresentatività soprattutto rispetto ai settori sociali più deboli e colpiti. E anche questo, a guardar bene, è del tutto ragionevole: sono i meno protetti ad aver bisogno di protezione. E dove vuoi cercarla se non presso quelli che ti appaiono più agguerriti?

Poiché non siamo nel pieno e non alla fine della storia, poiché le contraddizioni si moltiplicano, nulla è deciso. È certo però che le sinistre occidentali avranno un futuro se riusciranno a comprendere davvero le ragioni oggettive del loro fallimento, ragioni che travalicano di milioni di leghe limiti e difetti tattici o errori di leader, e sapranno non semplicemente “ricollocarsi” all’altezza delle nuove forme sociali di produzione, ma rappresentare, all’interno di queste forme, un segno vivente di contraddizione. Contraddizione tra il pensiero necessariamente unico della Macchina “spirituale” e coscienza critica, tra lavoro dipendente e comandato, da un lato, cui sempre più appartiene anche quello del ricercatore e dello scienziato, e, dall’altro, la prepotente istanza di libertà che dalla stessa scienza proviene. Senza utopismi, con i piedi ben fondati sulle possibilità reali che proprio le conquiste dell’intelletto umano oggi ci offrono, ma che dilegueranno come neve al sole senza una politica che sappia distribuire equamente la ricchezza prodotta e creare le condizioni di una federazione tra popoli e nazioni oltre ogni delirio egemonico.

La Stampa, 13 Gennaio 2025

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