Guardatevi dagli appelli di intellettuali italiani

La storia degli intellettuali italiani è la storia di un Paese che ha sempre saputo cadere in piedi.

Quando leggo di appelli di “intellettuali” italiani per questa o quella causa, mi viene da ridere, ma non solo per loro. Mi viene da ridere anche per chi li prende sul serio. Perché in Italia, da almeno un secolo, l’intellettuale non è altro che un’emanazione del potere. Lo segue, lo asseconda, ne anticipa i desideri, ne costruisce la narrazione. Poi, se cambia il vento, si riposiziona con la naturalezza di chi sta facendo solo il proprio mestiere: tenere la penna inzuppata nell’inchiostro giusto.

La storia degli intellettuali italiani è la storia di un Paese che ha sempre saputo cadere in piedi. Mussolini sale al potere? Firme illustri gli dedicano lodi sperticate, gli costruiscono l’estetica del regime, lo dipingono come il salvatore della patria. Il fascismo crolla? Gli stessi, o quasi, diventano tutti partigiani, antifascisti, stalinisti. L’elenco è noto e non stupisce più nessuno: Giulio Carlo Argan, Vitaliano Brancati, Aligi Sassu, Cesare Pavese, Renato Guttuso, Indro Montanelli, Eugenio Montale, Michelangelo Antonioni, Vasco Pratolini, Giò Ponti, Eugenio Scalfari. Ieri plaudenti al Duce, oggi bandiere rosse al vento. C’è persino chi si è spinto oltre, scrivendo senza vergogna che il fascismo è stata una palestra per la democrazia. Insomma, non c’è nulla di più elastico della coscienza di un intellettuale italiano.

Paul Johnson, storico britannico che aveva capito il giochino, metteva in guardia: “Una delle lezioni più importanti di questo nostro tragico secolo, che ha visto milioni di vite innocenti sacrificate a questo o quel progetto per migliorare i destini dell’umanità, è guardarsi dagli intellettuali.” E infatti, se si guarda alla storia, ogni disastro ideologico ha avuto le sue firme illustri pronte a giustificarlo, razionalizzarlo, nobilitarlo.

Prendiamo Galvano Della Volpe. Su Primato, il 15 luglio 1940, scriveva un pezzo intitolato Estetica del carro armato. Un testo che basterebbe leggere oggi per capire tutto: il culto della forza, la celebrazione della guerra come atto artistico, la complicità col regime camuffata da pensiero alto. Poi, anni dopo, rieccolo, critico del sistema che aveva servito con tanta dedizione. Cambia la stagione politica, cambia la narrazione, cambiano i padrini da ossequiare.

Non che questo fenomeno si sia esaurito col fascismo. Anche oggi l’intellettuale italiano è, salvo rarissime eccezioni, un cortigiano. Non c’è governo, da qualunque parte venga, che non trovi accademici, giornalisti, scrittori pronti a incensarlo. E quando il governo cambia, cambiano anche loro. Qualcuno, con un’abilità quasi atletica, riesce addirittura a sostenere tutto e il contrario di tutto nel giro di pochi mesi, senza che nessuno glielo faccia notare. Anzi, se lo fai notare, sei tu a essere accusato di populismo, di anti-intellettualismo, di non capire le sfumature.

Perché, vedete, l’intellettuale italiano non ammette critiche. È un sacerdote del sapere, e guai a chi osa metterlo in discussione. Quando prende posizione su una questione politica o sociale, non sta esprimendo un’opinione, ma una verità. E se per caso scopri che, qualche anno prima, diceva l’esatto opposto, la colpa è tua che non capisci l’evoluzione del pensiero.

Costanzo Preve lo diceva chiaro: gli intellettuali di oggi non sono altro che una classe dominata dalla classe dominante. Un’élite che si crede libera, ma che in realtà è al servizio del potere. Non c’è bisogno di censura quando hai intellettuali che sanno già da soli cosa possono e cosa non possono dire. Non c’è bisogno di repressione quando hai giornalisti che filtrano la realtà per renderla accettabile a chi governa.

E così, l’intellettuale italiano continua a fare quello che ha sempre fatto: firmare appelli, lanciare proclami, scrivere editoriali che nessuno leggerà tra sei mesi, perché saranno stati spazzati via dalla prossima giravolta ideologica. Perché in Italia, più che in ogni altro paese, l’intellettuale è uno specialista del riciclo. Oggi è il più convinto sostenitore del potere, domani sarà il più intransigente oppositore, dopodomani tornerà a essere il suo più grande ammiratore. Il tutto senza mai ammettere di aver sbagliato, senza mai pagare alcun prezzo.

Diogene, il vecchio cinico, lo aveva capito secoli fa. La libertà ha un prezzo. E chi la vuole veramente è disposto a pagarlo. Ma in Italia sono sempre stati pochissimi quelli disposti a pagarlo davvero. Gli altri, quelli che occupano le cattedre, le colonne dei giornali, gli studi televisivi, preferiscono stare dalla parte giusta. E se la parte giusta cambia, cambiano anche loro. Senza pudore, senza vergogna, senza nemmeno più bisogno di spiegarsi.

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