Marco Travaglio critica l’accoglienza riservata dal premier italiano a un ergastolano condannato per omicidio, sottolineando l’assurdità di tale celebrazione. Travaglio smonta le giustificazioni fornite dai sostenitori del premier, evidenziando come l’estradizione di Chico Forti non equivalga a un’assoluzione. Travaglio chiarisce che, a differenza dell’annuncio di Di Maio riguardo l’estradizione di Forti, l’accoglienza trionfale del premier Meloni è inaccettabile. L’autore ridicolizza anche le memorie di Paolo Gentiloni, che afferma che i fondi del PNRR siano stati decisi da un algoritmo, minimizzando i meriti di Conte nelle negoziazioni europee.
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Dunque, nell’Italia ridotta a succursale di Gotham City, è cosa buona e giusta che il premier accolga in pompa magna un ergastolano condannato definitivamente per aver trucidato a sangue freddo il figlio di un tizio affetto da demenza che aveva appena truffato (e meno male che ne ha fatto secco uno solo: con due morti ammazzati, arriva la fanfara; con tre, le frecce tricolori). Lo afferma un variopinto zoo di freaks, spostati, servi di scena e giuristi per caso, con argomenti talmente logici che verrebbero respinti anche in un repartino psichiatrico. C’è chi confonde l’estradizione di Chico Forti con un’assoluzione: siccome sconterà in Italia il resto della pena (si fa per dire: qui l’ergastolo è finto), vuol dire che è innocente. E c’è chi arguisce la bontà dell’accoglienza meloniana dal fatto che “nel 2020 Di Maio fece la stessa cosa e Travaglio scrisse editoriali per lodarlo”. Balle spaziali.
1) Di Maio non fece la stessa cosa: annunciò un accordo con l’Amministrazione Trump per estradare Forti, poi sospeso con l’arrivo di Biden. 2) Se io avessi lodato Di Maio, non avrei legittimato la passerella meloniana: un conto è far scontare al condannato la pena in patria, un conto è accoglierlo come un capo di Stato ai massimi livelli istituzionali. 3) Il 24.12.2020 il Fatto esultò a tal punto per l’annuncio di Di Maio da relegarlo a pagina 14 in un minuscolo trafiletto che riportava un lancio di agenzia, poi ripreso dai nostri social insieme a decine di altre notizie in breve. 4) Io non ho mai scritto una riga né sull’annuncio di Di Maio, né sul processo a Forti (chiuso dalla giustizia americana), né sull’opportunità o meno di estradarlo. A casa mia un assassino è un assassino, chiunque sia a stendergli il tappeto rosso: purtroppo l’unico premier (del mondo libero) che ha fatto una simile corbelleria è la Meloni. Che dev’essersene accorta, anche per le proteste degli elettori sconcertati, tant’è che ha fatto sparire le foto dal sito di Palazzo Chigi. Ora pagherebbe caro l’insano gesto se l’opposizione l’avesse inchiodata con gli argomenti di De Raho ed Emiliano. Invece l’idea più brillante partorita dalla sinistra più idiota del mondo è che, se fai l’inchino a Chico, devi farlo pure alla Salis: geniale paragone fra un assassino e un’imputata per lesioni che nessuno ha ancora condannato (i giudici ungheresi prenderanno buona nota).
A proposito di logica manicomiale. Quei golosoni di Corriere e Repubblica anticipano le memorie di Paolo Gentiloni, il commissario europeo del Pd che abbandona la Ue dopo cinque anni senz’aver lasciato traccia di sé (a parte il Pacco di Stabilità): “Sul Pnrr non ci fu trattativa. I fondi li decise un algoritmo messo a punto da due funzionari”.
Insomma, Conte&C. dissero “che avevamo conquistato un sacco di soldi in Europa”, ma “non è vero”. Hai capito quel millantatore di Giuseppi? Finse di proporre il Pnrr a Macron e ad altri 7 leader del Sud Europa, di convincere la Lagarde e Ursula, di attaccare la Merkel che voleva rifilarci il Mes, di litigare coi frugali del Nord e i destri di Visegrad, e alla fine di portare a casa la maggior quota di Pnrr: 209 miliardi, 36 in più di quelli previsti dal piano Von der Leyen. Invece erano due spicci, per giunta decisi dall’algoritmo. Quei mesi di negoziati durissimi fino ai quattro giorni e quattro notti di battaglia a Bruxelles (17-21 luglio 2020) se li è inventati lui. Peraltro con la collaborazione del Parlamento (che al ritorno gli fece la standing ovation, con elogi financo da B., Meloni, Salvini e Renzi). E di tutta la stampa mondiale e italiana, che dava per certo il rinvio sine die del Recovery, poi il taglio del totale da 750 a 500-400 miliardi, poi l’abolizione di quelli a fondo perduto, poi la riduzione della quota italiana ben sotto i 173 miliardi del piano Ursula, infine il diritto di veto ai singoli Stati per bloccare i bonifici ai più indebitati (cioè a noi): tutti ostacoli che Conte, nelle trattative, riuscì ad abbattere.
Lo scrissero i giornaloni che ora fingono di dimenticarsene e lo raccontò il ministro agli Affari europei Enzo Amendola, gentiloniano del Pd: “Quando a marzo con la Lettera dei Nove tirammo fuori l’idea dei bond europei, tutti ci sbeffeggiavano. Quattro mesi dopo abbiamo 750 miliardi di bond. E se ne parlava da 20 anni… Conte sull’ammontare delle risorse a 750 miliardi e sulla governance non ha mai ceduto. A un certo punto ha anche indossato i panni dell’avvocato delle prerogative della Commissione… L’ambiguità di formulazione faceva confondere il ruolo del Consiglio con quello della Commissione… Noi eravamo assolutamente contrari. Conte trovò poi la formulazione passando dalla decisione del Consiglio ‘in modo decisivo’ a quella ‘in modo esaustivo’”. Il gentiloniano Amendola si scordò il ruolo fondamentale dell’algoritmo e soprattutto di Gentiloni, di cui nessuno s’era accorto e che non ha mai smesso di rosicare. Il bello è che, quando arrivò Draghi, Sambuca Molinari scrisse su Rep che era stato “il governo Draghi a ottenere la maggioranza dei fondi”. E Severgnini confermò sul Corriere. E l’algoritmo? Mistero. Poi, quando Draghi e Meloni accumularono ritardi su ritardi, i giornaloni tornarono a dire che i 209 miliardi li aveva portati Conte, ma erano “troppi”. Ora Gentiloni svela che ce li diede l’algoritmo, ma erano pochi: “L’Italia è il settimo Paese nel rapporto tra soldi ricevuti e Pil. Altri hanno portato a casa molto di più”. Il primo che incontra ’sto algoritmo glielo dica che è uno stronzo.
Il Fatto Quotidiano, 21 maggio 2024