Giustizia a metà, le multe Covid annullate non bastano senza risarcimenti

Annullate le multe ai non vaccinati ma servono risarcimenti. Giustizia incompleta, silenzi e ipocrisie mostrano un sistema che calpesta libertà e diritti.

di Alberto Piroddi

Una cosa buona l’ha fatta persino questo giullaresco governo bluette neoliberale (cit.): ha annullato le multe inflitte a chi, durante l’emergenza pandemica, ha scelto di non farsi inoculare il “santissimo siero”. Una scelta giusta e inevitabile, perché quelle multe erano una palese violazione della libertà individuale, una libertà che, in tempi normali, sarebbe stata difesa persino dai più ferventi progressisti. Ma in quegli anni bui, il vento della responsabilità civile si è trasformato in una burrasca autoritaria, soffocando diritti fondamentali.

Le reazioni livorose di personaggi come Bassetti, Burioni, Speranza e degli altri araldi dell’“ordine terapeutico” confermano quanto questa scelta abbia colpito un nervo scoperto. Come se l’annullamento delle multe mettesse in discussione non solo le misure sanitarie, ma l’intero impianto di controllo e obbedienza costruito durante l’emergenza. Ma non basta fermarsi qui. L’annullamento è solo un primo passo, insufficiente e quasi beffardo. Per essere veramente giusti, è necessario risarcire chi ha già pagato queste multe. Perché se si riconosce che l’imposizione era illegittima, allora chi ha pagato deve ricevere indietro ogni centesimo.

Restituire quei soldi non è solo una questione di giustizia economica, ma un atto di riparazione morale. Altrimenti passa un principio tanto pericoloso quanto odioso: chi paga le multe è un fesso, mentre chi resiste ha ragione. Un principio che in questo Paese ha già avuto troppi precedenti e che finisce per minare ulteriormente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. È un messaggio sbagliato che rischia di creare un precedente devastante: chi obbedisce paga, chi resiste viene infine scagionato.

La verità è che l’annullamento delle multe è solo una pezza su uno strappo più profondo. Nessuno potrà mai restituire i tre anni di vita sottratti con confinamenti coatti, divieti di assemblea e una sistematica campagna di discriminazione contro chi aveva scelto di non sottostare al diktat sanitario. Anni in cui il maccartismo sanitario ha fatto terra bruciata intorno a qualsiasi dissenso, etichettando chiunque osasse porre domande come complottista o pericoloso per la salute pubblica. Giornalisti, esperti televisivi e politici hanno orchestrato una campagna di odio e mistificazione, costruendo un nemico pubblico da additare per sfogare frustrazioni e fallimenti collettivi.

E tutto questo mentre ci prendevano palesemente per il culo. Perché la verità, emersa solo dopo che i danni erano stati fatti, è che il vaccino non garantiva affatto l’immunità dal Covid. Chi era vaccinato poteva contagiarsi e contagiare gli altri. La promessa dell’“elisir miracoloso” è crollata sotto il peso dei fatti, lasciando dietro di sé una società divisa e milioni di persone che hanno subito discriminazioni senza alcuna giustificazione scientifica. La narrazione ufficiale era costruita su un dogma che non ammetteva dubbi, un dogma smentito con cinica precisione dalla realtà.

Chi ha resistito non ha solo rifiutato un vaccino; ha difeso il diritto di ognuno di decidere del proprio corpo. Un principio che fino a pochi anni fa era considerato sacro, ma che durante l’emergenza è stato brutalmente calpestato. La discriminazione ha diviso i cittadini in “buoni” e “cattivi”, in vaccinati e non vaccinati, negando a questi ultimi persino il diritto a un caffè al bar o a lavorare per vivere. Una politica di segregazione sociale orchestrata con precisione chirurgica e giustificata in nome di una scienza che, alla prova dei fatti, ha mostrato tutte le sue crepe e contraddizioni.

Oggi, mentre si parla con crescente preoccupazione del virus del Congo e viene istituita l’ennesima task force sanitaria, c’è un rischio concreto: quello di tornare a una nuova condizione di emergenza permanente. Come ha insegnato Michel Foucault, l’emergenza è il metodo preferito dall’ordine neoliberale per ridurre diritti e libertà. Il “vivere pericolosamente” è diventato il mantra di un sistema che usa la paura per governare, imponendo sacrifici e restrizioni in nome di una sicurezza che si rivela sempre più illusoria.

L’annullamento delle multe è solo un sintomo di una malattia più profonda. Serve un atto di onestà intellettuale e politica: chiedere scusa pubblicamente per gli abusi di quei tre anni. Ma questo non avverrà, perché significherebbe ammettere che l’intero impianto delle restrizioni era fondato su una logica autoritaria e non su una reale necessità sanitaria. Significherebbe riconoscere che chi resisteva non era un irresponsabile, ma un difensore della libertà.

Invece delle scuse, abbiamo solo silenzio o indignazione ipocrita. È più semplice cancellare una multa che fare i conti con la propria coscienza. Ma finché non ci sarà giustizia per chi ha pagato con il proprio denaro e la propria dignità, l’ombra di quei giorni bui continuerà a incombere su una società che si crede libera ma si è dimostrata fragile e facilmente manipolabile.

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