Geopolitica e riflessi sul commercio internazionale

La presidenza Trump riflette la tensione tra retorica populista e limiti istituzionali, evidenziando il potere reale degli apparati e le sfide globali degli USA.

Donald Trump è una figura divisiva, ampiamente discussa e spesso fraintesa, sia negli Stati Uniti che all’estero. La percezione comune in Italia e altrove è che il presidente americano sia un imperatore con poteri assoluti, ma in realtà i suoi poteri sono limitati. Questo è un punto fondamentale per comprendere il suo impatto sulla politica globale e, in particolare, sul commercio. Il presidente americano, infatti, non può fare quasi nulla da solo. I suoi poteri sono vincolati dal Congresso, dagli apparati federali e dalle dinamiche interne ed esterne del paese.

Durante la sua prima presidenza, Trump ha fatto molte promesse che non ha potuto mantenere, non per mancanza di volontà, ma perché il sistema politico americano lo limita. Prometteva di ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti, trasformandolo in un surplus, ma alla fine del suo mandato il deficit era aumentato. Aveva dichiarato di voler “aprire alla Russia,” ma durante i suoi quattro anni sono state approvate tre nuove tornate di sanzioni contro Mosca, decise dal Congresso, non da lui. Inoltre, il numero di militari americani in Germania è stato aumentato, sempre contro la sua volontà. Questi esempi evidenziano che, nonostante la sua retorica, Trump non aveva il controllo totale delle decisioni politiche e militari.

Un altro esempio significativo è quello dei dazi. Trump ha spesso parlato di voler imporre dazi per proteggere l’economia americana, ma anche in questo caso il presidente non ha un controllo diretto. I dazi dipendono principalmente dal Congresso. Tuttavia, Trump è riuscito a sfruttare la retorica populista per ottenere consenso. Ha promesso di penalizzare le importazioni dalla Cina e di sostenere l’industria americana, ma le sue azioni sono state più simboliche che sostanziali. Gli apparati federali, come il Pentagono e il Dipartimento di Stato, hanno spesso mitigato o diretto diversamente le sue intenzioni. Per esempio, i dazi imposti durante la sua presidenza non erano esclusivamente mirati alla Cina, ma hanno avuto un impatto anche su esportazioni europee, colpendo settori strategici per l’Unione Europea.

L’opinione pubblica americana, in particolare quella che vive nell’entroterra, nutre un forte risentimento verso l’Europa. Gli americani percepiscono gli europei come dipendenti dalla protezione militare statunitense e privilegiati nel commercio internazionale. Questa narrazione è stata amplificata da Trump, che ha sfruttato abilmente il malcontento delle fasce più popolari della popolazione. Questi sentimenti di rabbia e frustrazione hanno radici profonde, legate alla percezione di un’Europa decadente, anziana e incapace di gestire la propria sicurezza o il proprio futuro economico. Trump, pur essendo un miliardario di New York, ha saputo intercettare questa retorica e trasformarla in una narrativa efficace per il suo elettorato.

Per quanto riguarda il commercio, uno dei punti centrali della politica trumpiana è stato il tentativo di riportare la manifattura negli Stati Uniti. Trump ha cercato di trasformare l’America in un paese esportatore, simile alla Cina o alla Germania. Tuttavia, questa idea è impraticabile per un’economia come quella americana. Gli Stati Uniti sono il compratore di ultima istanza nel sistema globale e svolgono un ruolo centrale come emittenti della valuta di riserva mondiale. Cambiare questo modello significherebbe compromettere la loro posizione dominante. Inoltre, l’apparato statunitense non sostiene pienamente questa visione: le agenzie federali, il Pentagono e il Congresso preferiscono mantenere un equilibrio che consenta agli Stati Uniti di continuare a esercitare la loro influenza globale.

Un esempio chiave delle dinamiche di potere negli Stati Uniti è il rapporto con la Cina. Gli apparati americani vedono la Cina come una minaccia strategica, e i dazi sono stati utilizzati per cercare di ridurre il surplus commerciale cinese. Tuttavia, il vero obiettivo non è solo economico, ma anche politico e militare. La Cina utilizza il suo surplus commerciale per finanziare spese militari, investire in tecnologia e trasferire ricchezza dall’area costiera all’entroterra, cercando di evitare tensioni sociali interne. Questo modello è visto come una minaccia dagli Stati Uniti, che cercano di contenerlo attraverso una combinazione di pressioni economiche e politiche.

Un altro punto interessante riguarda il ruolo di Elon Musk e il suo coinvolgimento nella politica. Musk, pur essendo il CEO di una delle aziende più innovative al mondo, ha rapporti complessi con gli apparati federali americani. La sua azienda, SpaceX, fornisce servizi cruciali al Pentagono, come il sistema satellitare Starlink, ma il governo americano sta già lavorando a sistemi alternativi per ridurre la dipendenza da Musk. Nonostante la sua immagine di uomo onnipotente, Musk si trova in una posizione vulnerabile, in cui la politica e la tecnologia si intrecciano in modo complesso. La sua vicinanza a Trump e il suo sostegno a politiche populiste possono essere interpretati come un tentativo di proteggere i suoi interessi in un contesto di crescente pressione governativa.

La relazione tra Trump e gli apparati statunitensi è un esempio del complicato equilibrio di poteri che caratterizza il sistema politico americano. Trump rappresenta una figura simbolica, capace di mobilitare le masse, ma non ha il controllo diretto delle decisioni strategiche. Questo equilibrio di poteri ha importanti implicazioni per la politica estera e per il ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Mentre Trump utilizza una retorica aggressiva e divisiva, gli apparati federali lavorano per mantenere la stabilità del sistema e proteggere gli interessi strategici del paese.

La guerra in Ucraina è un esempio recente di queste dinamiche. Gli Stati Uniti hanno sostenuto l’Ucraina con aiuti militari e finanziari, ma il vero obiettivo è contenere la Russia e limitare la sua influenza. La Cina, nel frattempo, ha rafforzato i suoi legami economici con Mosca, aumentando le importazioni di gas, petrolio e grano. Gli Stati Uniti vedono questa alleanza come una minaccia e cercano di separare la Russia dalla Cina, congelando il conflitto in Ucraina e lavorando per isolare ulteriormente Mosca. Questo approccio riflette una strategia più ampia, volta a mantenere il predominio americano in un mondo sempre più multipolare.

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