di Alberto Piroddi
C’è una regola non scritta, ma perfettamente operativa in Italia: se sei un cittadino, hai vincoli. Se sei una multinazionale, hai deroghe. L’ultimo capitolo di questa storia si consuma in Ogliastra, tra stagni protetti, colline aspre e centri abitati. Un paesaggio che, per i residenti, è invalicabile. Non puoi costruire, non puoi ristrutturare, non puoi sognare. Ma se sei Sardeolica, allora puoi. Puoi perforare il suolo, issare torri, stendere cavi e, nel frattempo, calpestare ogni logica di tutela ambientale e giustizia sociale.
La truffa dei vincoli
Da tre anni, i terreni nei pressi di Tortolì sono classificati come inedificabili. I residenti non possono neanche montare una casetta di legno per i propri attrezzi agricoli, figurarsi avviare attività produttive o espandere le proprie abitazioni. La ragione? Vincoli paesaggistici, ambientali, naturalistici. Parole che, sulla carta, dovrebbero proteggere il territorio. Ma come spesso accade, in Italia le regole valgono solo per i deboli. Per Sardeolica, quei vincoli evaporano come nebbia al sole. I suoi progetti passano, anzi trionfano, e i cavi ad alta tensione si avvicinano sempre più alle case, agli stagni e ai centri abitati, senza che nessuno osi fermarli.
A 100 metri da una casa, a 150 dallo stagno e a 300 metri dal centro abitato di Tortolì, la linea elettrica di Sardeolica avanza, con il benestare delle istituzioni. Il tutto in un’area che avrebbe vincoli di ogni tipo: paesaggistici, naturalistici, idrogeologici. Ma i grandi progetti infrastrutturali non si fermano davanti a dettagli così trascurabili.
La svendita dei terreni
E ora veniamo al cuore della questione: il prezzo. Per i terreni che saranno attraversati dai cavi, la compensazione offerta è di 50 centesimi al metro quadro. Cinquanta centesimi. Una somma che non basta neanche a comprarsi un caffè, figuriamoci a risarcire un proprietario che vede la propria terra espropriata e il proprio paesaggio violato. È questa l’Italia dell’equità? Dove la terra di una famiglia viene svenduta per pochi spiccioli, mentre un’azienda che fattura milioni può operare indisturbata?
Il confronto è brutale. Da un lato, piccoli proprietari terrieri, già schiacciati da burocrazia e vincoli. Dall’altro, una multinazionale che beneficia di ogni possibile agevolazione, spalleggiata da decisioni amministrative che sembrano fatte su misura. L’ingiustizia è evidente: chi vive e lavora in quei territori viene trattato come un ostacolo da aggirare, mentre i grandi affari filano lisci come l’olio.
I rischi per l’ambiente e la salute
Non basta la questione economica. C’è un aspetto ancora più grave: l’impatto ambientale e sanitario. La linea elettrica attraversa un territorio ricco di biodiversità, passando a pochi metri da uno stagno, ecosistema fragile e protetto. Non solo: a 100 metri dalle abitazioni, i campi elettromagnetici generati da cavi ad alta tensione rappresentano un rischio per la salute pubblica. E qui torniamo al solito copione: in Italia, la salute dei cittadini è una variabile sacrificabile quando ci sono di mezzo gli interessi di pochi.
Il colonialismo energetico
La Sardegna non è nuova a queste dinamiche. È il laboratorio perfetto per quello che potremmo definire “colonialismo energetico”. Il territorio viene sfruttato per produrre energia che spesso non resta sull’isola, ma viene esportata altrove, lasciando ai sardi solo i danni ambientali e le briciole economiche. Lo schema è sempre lo stesso: grandi imprese, spesso legate a capitali esterni, entrano, sfruttano e se ne vanno. Nel frattempo, le comunità locali restano con terreni svalutati, paesaggi devastati e nessuna prospettiva di sviluppo.
Il principio della compromissione
A rendere il quadro ancora più inaccettabile è il principio applicato in queste situazioni: «Dove c’è già, allora puoi continuare a mettere, perché tanto è compromesso». Una logica perversa, che sancisce la definitiva rinuncia alla tutela del territorio. Questo approccio non solo distrugge quel che resta, ma ufficializza il concetto che un’area compromessa è perduta per sempre. Una resa senza condizioni, in nome del profitto.
La retorica della transizione ecologica
Tutto, ovviamente, viene presentato sotto l’etichetta rassicurante della “transizione ecologica”. Ma c’è poco di ecologico in un progetto che distrugge paesaggi, compromette ecosistemi e ignora i diritti delle comunità locali. La transizione ecologica non può essere un’arma per giustificare qualunque cosa. Non può diventare il cavallo di Troia per un modello di sviluppo predatorio e insostenibile.
Un sistema che va fermato
Questa vicenda non è solo un caso locale. È il simbolo di un sistema più ampio, dove le regole sono elastiche per i potenti e rigide per tutti gli altri. Un sistema che deve essere denunciato e fermato. La Sardegna non può continuare a essere trattata come una colonia interna, sacrificata sull’altare dei profitti. È ora di invertire la rotta, di riprendere il controllo del territorio e di chiedere giustizia per le comunità che lo abitano. Perché il futuro dell’isola non può essere svenduto per 50 centesimi al metro quadro.