Marco Travaglio discute le critiche rivolte al governo Meloni, spesso paragonato sfavorevolmente a quello di Berlusconi. Travaglio cita vari esponenti che rimpiangono il “pluralismo” della gestione Berlusconi, pur ricordando le numerose censure e l’influenza berlusconiana su gran parte del panorama televisivo italiano dell’epoca. L’articolo evidenzia come alcune misure giudiziarie e mediatiche del governo Meloni siano percepite come un regresso, ma sottolinea che tali politiche sono in continuità con quelle del predecessore. Travaglio conclude che, nonostante le critiche attuali, il regime di Berlusconi rimane il punto più basso nella politica italiana recente, e le attuali denunce di fascismo sono viste come eccessive e prive di reale impatto.
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A sinistra è tutto un ripetere che il governo Meloni fa rimpiangere B., si stava meglio con lui, nemmeno lui aveva osato tanto. Su Repubblica, Paolo Garimberti parla dello sciopero alla Rai perché la destra la lottizza al posto della sinistra e riesce a dire che i Melones la vogliono “al loro servizio”, mentre B. con la sua “saggezza o furbizia” garantiva “una parvenza, non soltanto formale, di pluralismo al servizio pubblico”. Forse perché nel 2009 Garimberti divenne presidente Rai in quota Pd con i voti di tutti i partiti, in maggioranza berlusconiani: una Rai così pluralista che aveva Masi dg, Minzolini al Tg1 e mise in fuga Santoro dopo due anni di guerra aperta ad Annozero. Roberto Saviano dice che i censurati da B. stavano meglio dei censurati dalla Meloni perché allora il mercato editoriale era più florido (infatti Mondadori lo lanciò con Gomorra). Ma è e l’opposto: la Rai di B. cacciò Biagi, Luttazzi, Santoro, Freccero, Sabina Guzzanti e tanti altri, che non trovarono posto in altre tv perché Rai, Mediaset e La7 erano berlusconiane, mentre oggi La7 e Nove fanno incetta di star in fuga dalla Rai (che, al momento, non ha cacciato nessuno). L’ex pm Armando Spataro parla di norme sulla giustizia che “finiscono persino col far rimpiangere l’era berlusconiana”: forse s’è scordato che sono tutte copiate da B., a parte il fatto che la premier è incensurata, non ha aziende, non è miliardaria, non ha mai finanziato la mafia né frodato il fisco né truffato orfane né corrotto giudici e politici né falsificato bilanci né varato 80 leggi ad personam né definito i giudici “cancro da estirpare”, “come le Br” e “la banda della Uno Bianca”, “matti, antropologicamente diversi dalla razza umana”. L’attacco all’azione penale obbligatoria, anch’esso targato B., è partito con la schiforma Cartabia che gran parte delle toghe progressiste incredibilmente osannarono. E la boiata dell’Alta Corte per sottrarre al Csm i giudizi disciplinari è un’ideona di Violante datata 2011 e sposata nel 2021 da un ddl del Pd. Che infatti a B. non fece mai vera opposizione, fra Bicamerali, dialoghi veltroniani e inciuci renziani: 30 anni di larghe intese, anche sul precariato, l’attacco alla Costituzione, i bavagli, le censure, il premierato e l’autonomia differenziata.
Opporsi alle porcate meloniane è sacrosanto, ma a patto di conservare un po’ di memoria e di pudore: solo chi li ha persi può rimpiangere B.. Che è stato il peggio del peggio e nessuno, per quanto si sforzi, riuscirà mai a eguagliarlo, tantomeno a superarlo. Perciò il continuo “al lupo al lupo” sul ritorno del fascismo suona fesso e cade in un misto di fastidio e indifferenza. Dopo il fascismo l’Italia ha conosciuto un solo regime autoritario: quello pluto-mediatico di B.. Tutto il resto è noia.
Il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2024