Delmastro gatto maldestro

Chi grida ogni due per tre all’allarme fascismo in Italia dovrebbe studiarsi il caso del sottosegretario Delmastro, condannato in primo grado per rivelazione di segreti.

di Marco Travaglio

Chi grida ogni due per tre all’allarme fascismo in Italia dovrebbe studiarsi il caso del sottosegretario Delmastro, condannato in primo grado per rivelazione di segreti. E si tranquillizzerebbe all’istante: ove mai qualcuno dei nostri sgovernanti sognasse di ripristinare il fascismo, non ce la potrebbe mai fare per manifesta incapacità. Il 12 gennaio 2023 i deputati del Pd Orlando, Serracchiani, Verini e Lai visitano il carcere di Sassari per incontrare Alfredo Cospito, il terrorista condannato perché gambizzò un manager e tentò una strage con una bomba, nel pieno della battaglia per fargli revocare il 41-bis. Poi trapela sui giornali una relazione del Gom (polizia penitenziaria) che li immortala a colloquio anche con tre boss mafiosi. Verini ammette un semplice “saluto”. Ma c’è ben altro. Cospito rifiutò di parlare con i deputati: “Io non ho niente da dirvi se prima non parlate con gli altri detenuti”. E quelli obbedirono. Il casalese Francesco Di Maio disse a Orlando che, con lui ministro, al 41-bis si stava meglio, e illustrò le sue proposte per modificare il carcere duro. Poi il Quartetto Dem si spostò davanti alle celle dei mafiosi siciliani Pino Cammarata e Pietro Rampulla (l’artificiere neofascista della strage di Capaci), conversò anche con loro sullo stesso tema, infine tornò da Cospito.

Se l’avesse fatto la destra, apriti cielo. Per il governo, la relazione è un rigore a porta vuota per mettere in ginocchio il Pd. Ma appena finisce in mano al geniale Delmastro diventa un autogol. Il sottosegretario la mostra all’amico Donzelli, che la spiattella con citazioni testuali alla Camera. Essendo segreta, Delmastro finisce indagato. Così nessuno parla più dell’inaudita leggerezza dei deputati Pd che ascoltano le proposte dei boss mafiosi per riformare il 41-bis e poi tentano di nasconderlo. E tutti parlano del segreto violato. La Procura chiede di archiviare, ma il Gip rinvia a giudizio Delmastro con l’imputazione coatta. Stessa scena in Tribunale: il pm chiede l’assoluzione e i giudici condannano a 8 mesi. Fisiologia pura: nel 50 e rotti per cento dei casi i giudici decidono diversamente dalle richieste dei pm o dalle sentenze di grado inferiore. Meloni e Nordio potrebbero, anzi dovrebbero prendere atto della sentenza, augurare al collega l’assoluzione in appello e spiegare che i fatti non meritano le dimissioni. Invece scatenano la canea sulle toghe rosse, che stavolta non si annidano più in Procura (quella del famigerato Lo Voi, che ha sempre difeso Delmastro), ma in Tribunale. E le accusano di aver disatteso le richieste del pm, invocando la separazione delle carriere: finora la giustificavano con l’appiattimento dei giudici sui pm, ora strillano contro i giudici che osano non appiattirsi sui pm. Più che un Cln, serve un Tso.

Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2025

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