di Andrea Zhok
Dalle notizie che giungono ieri sera a Rafah l’esercito israeliano ha bombardato le tende degli sfollati poste accanto ai magazzini dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency).
Il numero dei morti e dei mutilati è indefinito, ma l’ordine di grandezza è del centinaio.
Non è naturalmente il primo crimine di guerra di vaste proporzioni, in mondovisione, di cui l’IDF si macchia. Il rischio di assuefarsi all’orrore è perciò elevato. Un bambino straziato o orfano è difficile da reggere se visto da vicino; ma quando entriamo nell’ordine delle decine con cadenza quotidiana per mesi, l’intollerabilità può tradursi in fuga mentale, rimozione.
Non si sa bene cosa aggiungere come commento a quello che è forse il più grande scandalo umanitario della storia. Peggiore non per i numeri, ma per il fatto di avvenire sostanzialmente in diretta, a disposizione di chiunque desideri informarsi (dunque non i fruitori della nostra stampa mainstream), e dunque di fatto nell’accettazione ufficiale.
Sconvolge che ci sia ancora gente che ha la faccia di latta di affermare che questa non è altro che la risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre, che questo scempio rientra sotto la voce “legittima difesa”. (Un po’ come immaginare che agli attentati dell’IRA a Birmingham nel 1974 l’esercito britannico avesse risposto bombardando a tappeto l’Irlanda del Nord.)
Questa è davvero l’epoca della falsificazione sistematica delle coscienze, della malafede imperante e a reti unificate, della menzogna ripetuta e infiocchettata da telecamere compiacenti, della manipolazione mentale con giri di parole e uragani di ipocrisia.
Lottare politicamente oggi è innanzitutto lottare per la verità, per la disposizione costante a cercarla e poi per il coraggio di affrontarla.