di Alessandro De Angelis
Era prevedibile cosa sarebbe stato Trump. Si sente spiazzato?
«No, affatto. Lo sono l’Italia e l’Europa. E dovrebbero prendersela con se stessi. Per mancanza di coraggio hanno scelto un destino di subalternità».
Andiamo al punto. Se oggi, al posto di Giorgia Meloni, ci fosse lei a Parigi, che farebbe?
«Se Trump ci scavalca è perché l’Europa e l’Italia sono stata incapaci di definire una strategia politica. Uno spettacolo deprimente: Meloni e soci hanno pensato di vincere con le armi, mentre invece avrebbero potuto vincere solo con la politica e la diplomazia, diventando protagonisti nel negoziato e nella definizione di un nuovo orizzonte di pace e sicurezza per l’Ucraina e le restanti crisi».
Non voglio riaprire la discussione di questi anni, ma senza il sostegno militare Putin sarebbe arrivato a Kiev. Comunque proceda.
«È stato un grave errore puntare sull’escalation militare e sulla logica bellicista, che Giorgia Meloni ha abbracciato anche per ragioni ideologiche. E oggi si ritrova spiazzata da Trump sia per l’Ucraina sia per i dazi, al punto che si è completamente inabissata. Scappa dappertutto: dal Parlamento, dai vertici internazionali, dalla realtà di un disastro economico che impoverisce gli italiani. Su questo siamo pronti a una grande manifestazione di piazza».
Poi ci torniamo, stiamo sul vertice. Magari la premier starà riflettendo. È il suo momento della verità: deve scegliere tra Trump e l’Europa.
«Ha già scelto: farà la gregaria a vita, ieri di Biden che la baciava in fronte, oggi di Trump e Musk di cui fa la cheerleader. E continuerà in questo ruolo subalterno adempiendo ai compiti che le vengono chiesti: di qui il sostegno incondizionato a Netanyahu e lo strappo dell’accordo sulla via della Seta con la Cina. Altro che “schiena dritta”, altro che “sovranismo”: siamo solo degli irrilevanti satelliti nella galassia di Washington».
Rinviamo il dibattito su sovranità e via della Seta. Cosa proporrebbe se ci fosse lei al vertice?
«Una grande iniziativa politica che rompa la tenaglia business-armi. Il business è la logica di Trump, che si muove secondo l’approccio transattivo del “one to one”: un deal con la Russia, per mettere fine alle spese, uno con l’Ucraina sulle terre rare e l’Europa che paga la ricostruzione a piè di lista».
Nel suo discorso continua a mancare il valore della resistenza di un popolo aggredito, e il valore che questo ha per le democrazie europee.
«Vedrà che l’esito di questo negoziato sarà peggiore di quello ipotizzato nell’aprile del 2022, a due mesi dall’inizio del conflitto. I leader europei hanno aggredito Scholz per una telefonata a Putin e ora elemosinano un posto a una tavola imbandita da Trump, che li ritiene superflui. Quanto alla questione dei valori democratici, il discorso è complesso».
Affrontiamolo.
«L’Occidente dovrebbe smetterla con l’ipocrisia: non possiamo dividere il mondo in modo manicheo tra Paesi Nato democratici e restanti Paesi autocratici. L’approccio multilaterale impone di avere al tavolo tutti i rappresentanti della comunità internazionale. Noi continuiamo a sentirci campioni di democrazia ma le nostre democrazie sono diventate plutocratiche, oligarchiche, tecnocratiche. Dagli Usa si irradia una concentrazione di potere nelle mani di mega-ricchi come mai si è visto nella storia dell’umanità».
E quindi?
«Non possiamo pensare che le guerre “giuste” siano quelle che Washington decide di affrontare e di interrompere a piacimento. Una domanda a tutti i turbo-atlantisti in servizio permanente: ora che Trump sta emarginando l’Europa avete perso la voce? L’America rimane sempre il faro della democrazia? »
Non ho capito la sua proposta, se non che bisogna smetterla di mandare le armi a Kiev, cosa che neanche Trump al momento ha annunciato, perché neanche lui può permettersi di darla vinta a Putin.
«L’Europa ha solo una strada per rimediare ai propri fallimenti: una conferenza di pace internazionale, con uno scatto di orgoglio politico, per definire un nuovo ordine mondiale multipolare. Che è la vera posta in gioco: la rete protettiva delle tradizionali alleanze è sotto stress, il ruolo delle organizzazioni multilaterali contestato, gli scambi commerciali minacciati dai dazi. Sarebbe il momento di chiamare a confronto tutti i player mondiali, dalla Cina ai Brics».
Non pensa che innanzitutto servirebbe uno scatto nel senso di più integrazione, dunque più difesa e sicurezza comuni?
«Sicuramente: accelerare su difesa e politica estera comune. Ma qui c’è un equivoco. Questo non si fa buttando sulle spese militari soldi destinati al sostegno delle filiere industriali, al lavoro e al capitale umano. Né scorporandole dal Patto di stabilità, altra follia su cui non capisco cosa Meloni e Crosetto abbiano da festeggiare, mentre le nostre imprese sono in crisi. Per questo come M5S abbiamo proposto un fondo da 500miliardi per le filiere industriali più in sofferenza a partire dall’automotive fino a quelle che risentiranno dell’impatto dell’intelligenza artificiale».
Anche il suo governo tenne l’impegno del 2 per cento, aumentò le spese militari e rispettò gli impegni Nato.
«Si parlava di decimali attorno all’1,4, qui l’ordine di grandezza è il 5 per cento. Lo scorporo è una follia perché si dice di spendere di più ma con uno spazio fiscale limitato a causa dell’alto debito, su cui l’Italia è particolarmente esposta».
Lei sa che con qualunque amministrazione americana si sarebbe posto il tema della fine della sicurezza gratis per l’Europa.
«Un serio progetto di difesa comune imporrebbe la razionalizzazione delle spese militari, con grande economia di scala. Senza, continueremo a foraggiare le industrie belliche americane, confermando una clamorosa subalternità di approccio. Siamo di fronte a una politica miope, senza strategia».
Sbaglio o è stato un po’ tiepido nella difesa di Mattarella, attaccato dal Cremlino?
«Non avrei evocato il Terzo Reich, ma sottoscrivo quel discorso nella misura in cui è una sveglia alle classi dirigenti europee: è una denuncia dei balbettii, delle furbizie, degli opportunismi che stanno portando l’Europa all’irrilevanza».
Dia un giudizio di come si sta muovendo il governo italiano sui dazi.
«Non si sta muovendo, perché non sa che pesci prendere su questo né sull’economia, dove c’è un quadro di distruzione».
Non ci sarà il miracolo economico, ma nemmeno la catastrofe.
«Ah no? È peggio del virus: ventitré mesi di calo della produzione industriale scesa ai numeri dell’era Covid, zero virgola di crescita, sofferenza delle imprese sul caro-bollette. È ora di chiamare i cittadini a una grande mobilitazione».
Diceva, la piazza.
«Sì, contro il racconto menzognero, a reti unificate, secondo cui l’economia sta andando bene. Staremo con tutti coloro che si sono stancati delle prese in giro e pensano che aumentare le pensioni minime di 1,80 euro sia un affronto, che lasciare 5, 7 milioni in povertà aumentando gli stipendi ai ministri sia vergognoso, che difendere banche e poteri forti abbandonando gli imprenditori che tirano la carretta sia vigliacco. Insomma, contro un governo e una Commissione europea che mettono il cappio al collo a famiglie e imprese, mentre offrono champagne a banche e industrie delle armi».
Andrete in piazza con i vostri “alleati”?
«I nostri primi alleati sono i cittadini, quell’Italia che non si rassegna al declino, all’impunità di chi si sente intoccabile e al di sopra della legge».
La Stampa, 17 febbraio 2025