di Oreste Principe
Siamo nel marzo 2022. La Russia di Putin ha da poco invaso l’Ucraina e Luigi Di Maio è ministro degli Esteri. In collegamento con la trasmissione «Di Martedi» condotta da Giovanni Floris, che lo sta intervistando, pronuncia la seguente frase: «Penso che tra Putin e qualsiasi animale ci sia un abisso e sicuramente quello feroce è lui».
Il giornalista Giorgio Bianchi, che non ha mai lesinato comprensione per il decisionismo del presidente russo, attacca il ministro sui social definendolo «un povero imbecille, un miserabile al servizio della NATO».
Di Maio lo querela per diffamazione.
Prima, però, accade un fatto messo poco in rilievo, ma che assume invece grandissima importanza nella vicenda. Ospite di «Piazza Pulita», a una domanda di Corrado Formigli («ridefinirebbe Putin peggio di un animale feroce?»), il ministro risponde: «Guardi, sono il primo a dirlo, un rappresentante delle istituzioni non dovrebbe mai rivolgersi con toni troppo alti, però posso dirle questo: […] io non volevo rivolgere offese personali a nessuno, però ribadisco che la guerra di Putin in Ucraina è assolutamente atroce e va fermata portando al tavolo le parti e trovando una soluzione di pace con la diplomazia».
Sono dichiarazioni lontane anni luce da quelle rese nel programma di Floris, e attaccate da Giorgio Bianchi. Una vera e propria ritrattazione, almeno laddove colloca il presidente russo ad un livello considerevolmente inferiore («un abisso») a quello comunemente attribuito agli animali, cosa che aveva provocato la reazione del Bianchi.
Una ritrattazione evidentemente originata (non importa se spontanea o eterodiretta) dalla acquisita consapevolezza che per il massimo rappresentante dell’Italia all’estero, attribuire ad un capo di Stato un rango inferiore a quello di qualsiasi vita animale, toglie credibilità allo Stato italiano, affossando la diplomazia e la soluzione di pace auspicate proprio dallo stesso Di Maio nel corso dell’intervista resa a Formigli.
Una credibilità che non può prescindere dall’utilizzo di toni magari critici, ma comunque rispettosi dei leader degli altri paesi, a differenza di quanto si esige dal comune cittadino, o da chi comunque non rappresenta le istituzioni.
Affermare da ministro degli Esteri che tra un determinato capo di Stato «e qualsiasi animale ci sia un abisso» significa spogliarsi dell’abito istituzionale per indossare la giubba del servo di una compagine (la NATO, nella critica del Bianchi) che vede Putin come il fumo negli occhi.
Una dismissione che mina la fiducia dei cittadini di fronte al pericolo di un conflitto armato con la Russia (all’epoca particolarmente sentito) inducendoli a chiedersi in quali mani si trovano. Un comportamento che nelle parole del Bianchi suona come «miserabile».
E la ritrattazione avvenuta nel corso dell’intervista resa a Formigli denota un pentimento dello stesso ministro per le incaute offese rivolte al presidente russo. «Un rappresentante delle istituzioni non dovrebbe mai rivolgersi con toni troppo alti», ha candidamente ammesso. «Non volevo rivolgere offese personali a nessuno».
Traduzione: in pratica sono stato un «imbecille» a dire quelle cose da Floris. Parole che finiscono per neutralizzare la residua carica lesiva della frase del Bianchi.
Peraltro, la critica non è un’opinione, ma un attacco. Non è una carezza, ma dura contrapposizione. Parafrasando Mao, uomo sanguinario ma intelligentissimo, la critica non è il contorno servito in un pranzo di gala. Ed esprimendo un giudizio, non è mai rigidamente ancorata alla realtà dei fatti, a differenza della cronaca.
Chi rappresenta i cittadini a livello apicale non può abdicare alla funzione di mantenere, nei limiti del possibile, buoni rapporti con le istituzioni estere. E se lo fa, ben può essere biasimato, tacciato di servilismo verso chi quella funzione non ce l’ha per statuto, e di imbecillità se è poi egli stesso a pentirsene pubblicamente.
La condanna inflitta a Giorgio Bianchi dal Tribunale di Roma (500 Euro di multa, ma con rinvio al giudice civile per la quantificazione del danno) è avulsa dal contesto costituzionale di questo paese. Libertà di espressione e libertà di critica, quando non sconfinano nell’insulto gratuito e decontestualizzato, sono sacre e inviolabili. Un bene prezioso e incomprimibile, a prescindere dalle posizioni di chi le esercita.