Il vero scandalo non è stato il fischio d’inizio della partita Italia-Israele, ma il vergognoso teatrino messo in scena dall’Italia, che si è rivelata disposta a chiudere entrambi gli occhi pur di non perdere una comoda posizione di servilismo. Mentre in Medio Oriente si consuma uno dei capitoli più sanguinosi della storia recente, con migliaia di civili uccisi, molti dei quali bambini, il governo italiano sceglie di stringere mani insanguinate e fare affari con chi quelle morti le ha provocate. Non ci sono giustificazioni, solo ipocrisia travestita da pragmatismo politico.
Alberto Rimedio, al microfono della RAI, ha pensato bene di “non stigmatizzare”. Un gesto di codardia travestito da imparzialità, un tentativo maldestro di evitare una presa di posizione chiara mentre la realtà imponeva tutt’altro. Ma cosa c’è da non stigmatizzare in un Paese che ha portato avanti una campagna di sterminio sistematico, che in un solo anno ha causato la morte di oltre 43.000 persone, di cui un terzo bambini? Forse si pensa che, commentando una partita di calcio, si possa ignorare la guerra, ma ignorarla non significa farla sparire. Il sangue resta lì, visibile anche fuori dallo stadio.
Israele non è un Paese come gli altri, non si può ignorare la sua condotta. Eppure, mentre altrove si chiederebbe giustizia, l’Italia si dimostra pronta a far finta di niente, a voltare la testa dall’altra parte in nome di interessi economici e di alleanze geopolitiche. Fischi? Non sono abbastanza. Israele non merita di essere fischiato, ma condannato e isolato. È impensabile che un Paese responsabile di tali crimini possa continuare a partecipare a competizioni internazionali, sportive o di altro genere. Ma il mondo, e in particolar modo l’Italia, sembra più che disposto a chiudere gli occhi, a sacrificare la morale sull’altare del potere.
Il problema non è solo sportivo, ovviamente. È molto più ampio e riguarda la scelta deliberata di un governo di schierarsi dalla parte sbagliata della storia. Giorgia Meloni, che ama esibirsi come “madre cristiana”, sembra più preoccupata di mantenere il suo ruolo sulla scena internazionale che di difendere i valori che tanto sbandiera. Il suo sorriso mentre stringe la mano di Netanyahu, come se nulla fosse, è un’offesa non solo per chi crede nella giustizia, ma anche per quei bambini che hanno perso la vita sotto le bombe israeliane. Nessuna croce al collo potrà mai redimere quella complicità.
La questione, tuttavia, non riguarda solo la politica, ma anche l’informazione. La RAI, con la sua decisione di trasmettere la partita e il modo in cui è stata commentata, ha dimostrato una volta di più quanto profondamente sia compromessa la sua imparzialità. Rimedio non è stato un telecronista neutrale, è stato un complice del silenzio. Un silenzio che fa rumore, che grida l’assenza di coraggio, la mancanza di etica, l’ipocrisia di un’informazione che si è ridotta a megafono di interessi superiori. Non si può commentare una partita tra Italia e Israele come se fosse un evento sportivo qualsiasi, non quando le strade di Gaza sono macchiate dal sangue dei suoi abitanti.
La vergogna non è limitata al governo o alla stampa, ma investe anche una parte degli italiani che preferisce restare in silenzio, complice di un sistema che premia chi uccide e punisce chi resiste. Non ci sono scuse per chi, in nome di un finto pragmatismo, sceglie di non prendere posizione. L’indifferenza è una forma di colpevolezza. Eppure, molti sembrano più preoccupati di non disturbare gli equilibri del potere che di difendere i valori di umanità e giustizia. Israele continua a massacrare, e l’Italia continua a far finta di niente.
L’impunità di cui gode Israele a livello internazionale è uno schiaffo in faccia a chiunque creda nella giustizia. La Russia è stata esclusa da ogni competizione sportiva per l’invasione dell’Ucraina, ma Israele partecipa tranquillamente a eventi internazionali senza subire alcuna conseguenza per le sue azioni. Qual è la differenza? Perché due pesi e due misure? La risposta è semplice: Israele è protetta da alleati potenti, come gli Stati Uniti, e da un’Europa debole, che non osa opporsi. L’Italia, ovviamente, non fa eccezione e si allinea docilmente a questa linea di condotta vergognosa.
Mentre Gaza continua a essere bombardata, mentre le case vengono rase al suolo e le famiglie cancellate, l’Italia si preoccupa di apparire “responsabile” agli occhi dei potenti. Il governo Meloni non solo non condanna Israele, ma lo supporta indirettamente, stringendo accordi commerciali e militari che fanno solo da carburante a una macchina di morte. Questo governo, che tanto si vanta di difendere i “valori cristiani”, ha perso ogni credibilità. È difficile immaginare come Meloni possa guardare negli occhi sua figlia, sapendo che ha stretto la mano di un uomo responsabile di uccisioni di massa.
Il problema, però, non è solo di chi governa. È di tutti noi. Gli italiani, un tempo pronti a scendere in piazza per difendere i diritti e la libertà, sembrano oggi indifferenti a ciò che accade nel mondo. Dove sono finite le proteste? Dove è finita quella coscienza collettiva che rifiutava l’ingiustizia? Siamo diventati un popolo anestetizzato, che si accontenta di seguire le partite in TV, mentre altrove si consumano massacri in nome della “sicurezza” e della “legittima difesa”. Ma questa difesa è legittima solo per chi ha il potere di dettare le regole.
Non è troppo tardi per invertire la rotta. Il silenzio, però, non è più un’opzione. Ogni giorno che passa senza una presa di posizione è un giorno in cui ci rendiamo complici di ciò che accade. Israele deve essere condannato per i suoi crimini, e l’Italia deve smettere di prostrarsi davanti a interessi che vanno contro ogni principio di umanità. Se vogliamo ancora definirci una nazione civile, è ora di alzare la voce, di reagire, di chiedere giustizia per chi non ha voce.
Oggi è il momento di decidere da che parte stare. Non possiamo più fingere di non vedere. Ogni stretta di mano, ogni sorriso diplomatico, ogni parola non detta è una scelta di campo. E l’Italia, con il suo silenzio, ha già scelto.