di Lucio Caracciolo
Non abbiamo più certezze. A nemmeno un mese dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, queste quattro parole condensano il senso dello sconvolgimento in corso sotto i nostri occhi. Al netto degli annunci di propaganda, la rivoluzione geopolitica in corso già segnala la crisi esistenziale della famiglia atlantica, il riavvicinamento fra Stati Uniti e Russia, la congiunzione delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, da interpretare entro una medesima equazione. Tutto sullo sfondo della vera sfida strategica globale, quella che oppone Stati Uniti e Cina. In tutte queste partite noi europei siamo al meglio attori secondari. Soprattutto, senza più bussola.
Il vertice improvvisato fra otto Paesi atlantici convocato a Parigi da Macron è insieme sintomo di disperazione e primo pallido segnale di un tentativo di riscossa dei vedovi della vecchia Nato, depotenziata da Trump e Putin. A partire dalla tardiva consapevolezza che quando il gioco si fa durissimo le strutture dell’Unione Europea non reggono la competizione. L’incontro fra sette Paesi Ue più il Regno Unito ormai nel mirino del “fraterno” alleato a stelle e strisce per affrontare l’emergenza sicurezza in Europa sancisce il superamento di schemi consolidati da tre quarti di secolo
Il formato Ue scade insieme a quello Nato. A conferma che la costruzione europeista era figlia della scelta atlantica americana, sicché non funziona più quando l’Atlantico si allarga al punto di imporre ai soci europei di cercare alternative al cosiddetto “ombrello nucleare” Usa. Il tentativo di formare un nucleo di Stati europei decisi a rifondare insieme le basi della nostra sicurezza continentale è presa d’atto di una drammatica realtà per troppo tempo mascherata dalla retorica atlantista ed europeista.
Ma da dove si riparte? Se si vuole tracciare un percorso comune fra i «principali Paesi europei» (definizione di Macron), senza pretendere che il formato parigino sia esclusivo — può essere allargato ma anche ridotto — occorre prendere atto di tre spiacevoli realtà.
Prima, e principale. Negli Stati Uniti è in corso un cambio di regime che ne scuote identità, fondamenta e istituzioni. Le élite americane sono divise su tutto meno che sulla priorità di impedire il sorpasso cinese. Più precisamente, non è accettabile che Pechino scavalchi Washington nelle nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale e dallo spazio. Tutto il resto è funzione di tale imperativo. A cominciare dal tentativo di scardinare la strana coppia Russia-Cina, due nemici storici paradossalmente uniti dagli Stati Uniti nella crisi ucraina.
In questo rovesciamento di campo gli europei sono marginali e divisi fra chi vorrebbe riprendere a dialogare e commerciare con la Federazione Russa (i vecchi europei occidentali) e chi si augura sparisca dalla faccia della terra (scandinavi, polacchi e altri baltici). Quanto a Putin, il suo interesse è normalizzare le relazioni con gli Usa per non finire la sua carriera di autocrate come junior partner di Xi Jinping.
Seconda, e connessa. Americani e russi sono interessati a estrarre Israele dalla trappola strategica in cui è finito e costruire un equilibrio mediorientale nel quale saranno coinvolti anche turchi e sauditi oggi, iraniani forse domani. Il fatto che i primi negoziati fra Stati Uniti e Russia sull’Ucraina si svolgano a Riad simboleggia il parallelismo fra i conflitti ucraino e mediorientale. Ovvero la necessità di allargare il campo negoziale attraverso un meccanismo di concessioni e intese bilanciate.
Terza, e strutturale. Gli ex protettori americani chiedono ai non più protetti europei sacrifici che non siamo in grado di sostenere. Non è solo questione di spese per la difesa. È l’incompatibilità fra le nostre emergenze di sicurezza e la mentalità di popolazioni che da tre generazioni hanno introiettato la certezza che la guerra in Europa fosse stata abolita per sempre. Per tacere della nostra età mediana, destinata a presto toccare il mezzo secolo, che esclude la disponibilità delle maggiori collettività continentali a impegnarsi in qualsivoglia campagna bellica.
Le principali vittime sono e saranno gli ucraini, che dopo tre anni di resistenza all’invasione russa paiono allo stremo. E si scoprono abbandonati dagli americani. Voltafaccia che certo non può essere compensato dagli europei. Si ripete per l’ennesima volta uno scenario già visto, previsto e incredibilmente rimosso, con gli americani indifferenti alla sorte di Kiev perché impegnati in superiori partite e gli europei che non possono o non vogliono far seguire fatti alle parole. Fra vaghezze e ipocrisie. C’era una volta l’Occidente.
La Repubblica, 18 febbraio 2025