di Ant. Masc.
La cancellazione del reato di abuso d’ufficio crea una sacca di impunità e indebolisce, di conseguenza, la lotta alla corruzione, violando norme internazionali a cui l’Italia è vincolata. Ne è convinta la Cassazione, che ha presentato ricorso alla Corte costituzionale.
L’abrogazione del reato, voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, d’intesa con l’intero governo, ha lasciato, secondo la Cassazione, un vuoto che non è stato colmato da alcun provvedimento per tutelare i cittadini dagli abusi di potere di pubblici ufficiali, in violazione degli articolo 11 e 117 della Costituzione, con riferimento al mancato rispetto della convenzione Onu anti-corruzione, di Merida, dell’agosto 2003, firmata dall’Italia a dicembre di quell’anno. Per queste ragioni la Suprema Corte si è rivolta alla Consulta prima di decidere su un ricorso di un condannato, un ex segretario comunale, che, per il principio del favor rei, ha chiesto l’annullamento della pena per abuso d’ufficio, anche se il reato fu commesso quando ancora era in vigore. Sulla scia di questo principio la procura generale aveva chiesto l’annullamento della condanna “perché il fatto non è più previsto dalla legge”, ma secondo i giudici l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è incostituzionale e, dunque, prima di entrare nel merito del ricorso, chiedono la pronuncia della Consulta. Secondo la Cassazione c’è un contrasto dell’articolo 1 della legge Nordio con l’articolo 19 della Convenzione di Merida “rubricato in ‘abuso d’ufficio’”. Prevede l’adozione da parte degli Stati firmatari di “misure legislative necessarie” affinché sia punito “il pubblico ufficiale quando ha commesso intenzionalmente un atto abusando delle proprie funzioni” o è accusato “di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi, al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona o entità”.
Questa “disposizione” della Convenzione di Merida, spiega la Cassazione, “delinea una nozione di abuso d’ufficio omologa” al reato di abuso d’ufficio previsto dal codice penale italiano (articolo 323) e abrogato dalla riforma Nordio. La stessa Cassazione ricorda che secondo la Convenzione “l’obbligo di considerare l’introduzione del reato di abuso d’ufficio costituisce il livello minimale vincolante per ogni Stato contraente”. E anche se l’obbligo è riferito solo alla valutazione dell’introduzione dell’abuso d’ufficio, c’è, però, secondo la Cassazione, un obbligo dettato dalla Convenzione di “compensare” l’abrogazione di una norma come l’abuso d’ufficio con altri “meccanismi” a tutela dei cittadini vittime di pubblici ufficiali infedeli. Scrive la Cassazione: “Utilizzando il verbo ‘mantain’” , la Convenzione, “obbliga gli Stati contraenti… dall’astenersi dall’adottare misure legislative o amministrative che comportino il regresso rispetto al livello di attuazione raggiunto dagli scopi” di Merida. L’abrogazione dell’abuso d’ufficio “ha violato questo specifico obbligo in quanto non è stata ‘compensata’ dall’adozione di meccanismi preventivi e repressivi, penali o amministrativi” contro gli abusi “degli agenti pubblici ai danni dei cittadini”. Per i giudici non può essere considerata una “compensazione” il sistema disciplinare interno alla pubblica amministrazione. Il reato di abuso d’ufficio, invece, “aveva una portata generale estremamente efficace anche sul piano preventivo” della lotta alla corruzione, “in ragione della previsione della minaccia della sanzione penale”.
La Cassazione ha potuto ricorrere alla Corte costituzionale perché, sostiene, non mette in discussione la scelta del legislatore di cancellare un reato, dato che spetta al potere politico stabilire la sfera penale, ma perché nel caso della cancellazione dell’abuso di ufficio si violano, a suo avviso, norme internazionali che l’Italia ha l’obbligo di rispettare. Prima della Cassazione, 13 tribunali avevano presentato ricorso alla Corte costituzionale contro l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Il primo è stato quello di Firenze. L’udienza è fissata per il 7 maggio, ma è possibile che ci sia una riunificazione dei vari ricorsi.
Il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2025