Bomba sulla nave: niente sequestro (per salvare Kiev)

Poco meno di due settimane fa la Seajewel, petroliera della compagnia greca Thenamaris, ha subito un doppio attentato esplosivo in acque italiane. Ma per i magistrati che indagano per naufragio aggravato da terrorismo non c’erano né la necessità né le condizioni per disporre un sequestro.

La petroliera “russa”

di Marco Grasso

La nave dei misteri è già nel Mar Egeo, in viaggio verso il Pireo. Qui, lo squarcio lasciato dalle due bombe magnetiche, sarà riparato. Con buona pace degli accertamenti che si potrebbero, forse, ancora fare. Questo epilogo descrive bene il clima da spy story che circonda la vicenda. Poco meno di due settimane fa la Seajewel, petroliera della compagnia greca Thenamaris, ha subito un doppio attentato esplosivo in acque italiane, fra Vado Ligure e Savona. Ma per i magistrati che indagano per naufragio aggravato da terrorismo, coordinati dal procuratore Nicola Piacente, non c’erano né la necessità né le condizioni per disporre un sequestro. La nave, lunga 245 metri, avrebbe dovuto essere messa in secca e l’unico bacino abbastanza grande per ospitarla, Palermo, non sarebbe stato disponibile prima del 2026. Costi enormi, insomma, che in caso l’inchiesta non portasse da nessuna parte potrebbero ricadere sullo Stato. I consulenti tecnici, incaricati ieri, dovranno far luce sulla matrice dell’esplosione accontentandosi dei frammenti prelevati, delle foto dello scafo sfondato dall’esterno, delle testimonianze dell’equipaggio e della moria di pesci. Ulteriori accertamenti sul greggio proveranno invece a chiarire l’origine del carico.

Il mancato sequestro, in altre parole, ha una solida spiegazione tecnica, che, non può non sfuggire, in un caso così spinoso, ha l’indubbio vantaggio di remare nella stessa direzione della ragion di Stato. Fin da subito fonti di intelligence italiane e straniere hanno ricollegato l’evento ad alcuni precedenti attentati a navi – una è proprio la gemella della Seajewel – in odore di far parte della cosiddetta flotta fantasma che avrebbe aggirato l’embargo al petrolio russo, sostenendo così Mosca durante l’invasione dell’Ucraina. Una versione che, se confermata, inquadrerebbe l’azione come un sabotaggio, un atto di guerra ibrida compiuto (almeno in parte) su territorio italiano da incursori legati a Kiev. A nessuno Stato piace ammettere di essere al centro di scorribande di servizi segreti stranieri. Ma i due possibili scenari che si aprirebbero se questa ipotesi trovasse riscontri giudiziari, potrebbero essere persino peggiori per il governo italiano: da un lato, Roma sarebbe costretta a chiedere spiegazioni all’Ucraina, che ha aiutato inviando armi e accogliendo migliaia di profughi; dall’altro, si troverebbe al tempo stesso nella condizione implicita di dover dare spiegazioni all’alleato sul sospetto di aver chiuso un occhio su triangolazioni con Mosca passate anche dal proprio territorio.

L’incidente risale al 14 febbraio. La Seajewel, battente bandiera maltese, era in prossimità della piattaforma Ip. Il greggio era diretto prima agli impianti Saipom di Quiliano, e quindi alla raffineria Ip di Trecate. Proveniva dal porto algerino di Arzew, vicino a Orano, e sarebbe dovuta ripartire l’indomani. Ad avvertire la doppia deflagrazione è l’equipaggio. Gli ordigni erano posizionati sullo scafo con un magnete. Il secondo, forse per effetto della prima esplosione, cade ed esplode sul fondale. La nave, pur danneggiata, resta a galla. Come ammette lo stesso consulente inviato dalla compagnia e sentito dalla Procura, se l’ordigno fosse esploso poco più in là i danni sarebbero stati ben peggiori. Impossibile stabilire se si sia trattato di un avvertimento o di una strage mancata. Nel caos delle prime ore c’è chi tenta di far passare la vicenda come un incidente. Ma la certezza che si fa strada è che si tratti di un gesto doloso, che richiede una notevole capacità organizzativa. L’ipotesi prevalente è che a mettere la bomba siano stati dei sommozzatori, quella meno probabile che si tratti di droni. Immaginare che l’azione sia avvenuta tutta in Italia, implicherebbe anche la presenza di un commando sulla costa. Ma per gli artificieri non può essere escluso che le mine magnetiche siano state posizionate prima della traversata.

I precedenti. La Seacharme, nave gemella che accompagnava la Seajewel, è stata multata per aver nascosto alle autorità italiane un attentato molto simile avvenuto nel porto turco di Ceyhan. Una terza esplosione nell’ultimo mese aveva danneggiato in Libia la Grace Ferrum, della compagnia maltese Cymare. A dicembre un altro incidente sospetto aveva coinvolto la nave russa Ursa Major, affondata nei pressi di Gibilterra dopo un’esplosione in sala macchine. La Seajewel era già finita al centro di un articolo della testata Ukrainska Pravda, per tre viaggi sospetti avvenuti a febbraio, marzo e maggio fra il porto russo di Novorossyk e quello turco di Ceyhan, con un passaggio successivo in quello romeno di Costanza. Il sospetto avanzato dai media ucraini è che la nave effettuasse le rotte della flotta fantasma, tracciate anche dall’ufficio antifrode europeo. Sarebbero quasi 600 le navi impegnate nell’aggiramento delle sanzioni al petrolio russo. Dopo triangolazioni in Turchia, i trasbordi avverrebbero in mare aperto, nell’Egeo o davanti a Cipro.

Nel 2022 l’Ucraina aveva inserito la Thenamaris in una black list di cinque compagnie greche accusate di aiutare i russi. Dopo una dichiarazione pubblica degli armatori, la società è riconducibile alla famiglia Martinos, la segnalazione era rientrata. La Thenamaris è stata fondata nel 1972 dall’armatore Costantinos Martinos, insieme alla madre e ai due fratelli Athanasios e Andreas; le redini del gruppo sono oggi in mano al figlio Nikolas. Nel 2024 Forbes ha inserito la famiglia Martinos, con un patrimonio di 2,2 miliardi di euro, fra i miliardari che si sono arricchiti con la guerra russo-ucraina, proprio grazie ai loro rapporti con la Russia e all’aumento del prezzo dei trasporti petroliferi. La compagnia, tramite i suoi legali, fa sapere di essere parte lesa in questa vicenda.

Il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2025

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