Bocchino travolto da Travaglio sul caso Meloni-Almasri durante Otto e Mezzo

Travaglio smonta le difese di Bocchino sul caso Meloni-Almasri, ricordandogli la legge votata nel 2012. Bocchino si scompone, Travaglio lo domina con ironia.

di Salvatore Granata

Ieri sera.

Siamo Otto (il “mezzo” lo levo perché l’ospite in studio non ne fa neanche un quarto), su La7.

Ci sono Marco Travaglio e Italo Meloni a confronto.

Si parla dell’indagine per favoreggiamento e peculato nei confronti di Giorgia.

Italo, scomposto come un cannolo dal direttore de Il Fatto dopo due secondi, dissente:

“Giorgia Meloni ha reagito a un atto molto forte e scomposto dei magistrati. Non è vero quello che ha detto Travaglio sul caso Almasri, e cioè che lo Stato nazionale ha l’obbligo di arresto nel momento in cui c’è la richiesta da parte della Corte penale internazionale perché è lo Stato sovrano a decidere”.

Poi, non contento, sostiene che la Procura di Roma avrebbe potuto trasmettere la denuncia al Tribunale dei ministri con una richiesta di archiviazione, aggiungendo che i reati di peculato e di favoreggiamento per i quali è indagata Meloni sono infondati.

E allora sale in cattedra Marco Travaglio e Bocchino scompare.

Il direttore, dopo aver spiegato a Italo che, per chiedere un’archiviazione, la Procura deve avere degli elementi per stabilire che non siano stati commessi reati, ma essendo obbligata a non svolgere indagini e a trasmettere immediatamente la denuncia al Tribunale dei ministri, non può avere quegli elementi, successivamente si sofferma sulla postura differente tenuta da Giuseppe Conte rispetto a quella esibita da Meloni, quando per due volte è stato indagato:

“Conte ebbe una posizione corretta, a differenza di quella sgangherata tenuta da Meloni. Lui non andò in video a fare il matto e a gridare al complotto, perché queste sono le procedure”.

Poi. Circa la tesi di Italo, secondo cui il governo Meloni non era tenuto a ottemperare alla richiesta di arresto di Al-Masri da parte della Corte penale internazionale, Travaglio (ridendo) gli ricorda i suoi trascorsi di parlamentare del Pdl, quando votò nel 2012 l’adeguamento del nostro ordinamento allo Statuto della Corte penale internazionale:

“Con quella legge è stato aggiunto un pezzettino all’articolo 378 del Codice Penale che norma il favoreggiamento. All’epoca Bocchino, che faceva parte della maggioranza di governo, la votò, così come tutti i partiti. C’è scritto: ‘Chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni’.

E allora come fai a dire che una denuncia per questo reato è infondata?”.

E aggiunge (ridendo):

“È ovvio che il Tribunale dei ministri deve svolgere delle indagini. Quindi, si sentirà la presidente del Consiglio, la quale dovrà spiegare per quale motivo un torturatore, invece di metterlo in galera per impedire che continui a torturare e a violentare i bambini, l’abbia restituito ai libici, così ricomincia a torturare e a violentare i bambini. Se invece vuole mettere il segreto di Stato perché abbiamo firmato qualche pactum sceleris con la Libia, patto peraltro firmato almeno dai tempi di Minniti, allora metta il segreto di Stato, come hanno fatto quando abbiamo aiutato a rapire Abu Omar perché ce lo chiedevano gli americani. Questo dice Li Gotti nella denuncia”.

E infine conclude (ridendo):

“La Meloni avrebbe potuto dire che era tranquilla e che avrebbe spiegato tutto al Tribunale dei ministri. La questione sarebbe morta lì. Ma che è tutto ‘sto casino? È veramente folle”.

Italo:
“Tu…tu…tu…tu…tu…”.

È caduta la linea.

Ancora oggi, pare che gli assistenti della Gruber stiano cercando di ricomporre Bocchino.
Attendiamo notizie rassicuranti nel merito.

Speriamo resti “scomposto” per un bel po’.

Oh, Bocchino è “laureato” in giurisprudenza, Travaglio in Lettere moderne.

Ciao.

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