Non ce la fanno i cosiddetti “giornalisti” italiani a rendere omaggio a Julian Assange, il collega che ha nobilitato la professione mentre loro la sputtanavano. Non si scandalizzano neppure per il fatto che Usa e Uk, culle della democrazia, l’hanno costretto a vivere 12 anni da sepolto vivo senza processo. Preferiscono ignorare che il presunto Impero del Bene ha trasformato un attivista coraggioso in una larva umana con false accuse, persecuzioni e torture, fino a estorcergli una confessione per un delitto inesistente. La stampa mondiale esulta, ma quella italiana schiera i suoi migliori embedded, incapaci di trovare una notizia vera. Per loro, Assange è solo un ladro, uno spione con la pancetta. La democrazia, infatti, arresta chi dice la verità ma non lo ammazza subito: che belle soddisfazioni.
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Fate Schifo
Eniente, non ce la fanno proprio i cosiddetti “giornalisti” italiani a rendere omaggio a Julian Assange, il collega (senza offesa per lui) che ha nobilitato la professione mentre loro la sputtanavano a suon di veline, marchette e autobavagli. Non ce la fanno a scandalizzarsi perché Usa e Uk, celebri culle della democrazia, l’hanno costretto a vivere per 12 anni da sepolto vivo prima nell’ambasciata ecuadoregna e poi in una cella d’isolamento senza uno straccio di processo. Non ce la fanno a dire che il presunto Impero del Bene ha trasformato un attivista pieno di entusiasmo, di valori e di coraggio in una larva umana con 12 anni di accuse false (persino di stupro), persecuzioni politiche, torture psicologiche e progetti di “ucciderlo con un drone” (brillante idea di Hillary Clinton), fino a estorcergli in cambio della vita una confessione e un patteggiamento per un delitto inesistente, che per le Convenzioni internazionali è una medaglia da Pulitzer: svelare notizie vere e documenti autentici sui segreti e sui crimini del potere.
La stampa mondiale esulta perché Julian è finalmente libero e si allarma per il pericoloso precedente del patteggiamento, che espone ad arresti e condanne chiunque faccia il giornalista sul serio e dissuaderà chiunque altro dall’imitarlo. Intanto la nostra stampa serva schiera i suoi migliori crani embedded, tutta gente che non ha mai trovato una notizia vera in vita sua. Repubblica, che ha campato per anni su Wikileaks, deplora “l’enorme clamore mediatico e dei fan di Assange” per un fatterello del genere. E s’interroga pensosa: “Eroe? Criminale? Martire della libertà? Giornalista? Agente al soldo altrui?”. Meglio non pronunciarsi. In compenso Chelsie Manning, l’ex analista militare, attivista e whistleblower che gli fornì un bel po’ di carte, è “un ladro”. Per il Giornale anche Assange è “un ladro di segreti di Stato”, altro che “paladino della libertà”: uno “spione” con la “pancetta da abbrutito” (vedi a non fare palestra? Poi non passi la prova costume). Per la Stampa è un “personaggio controverso” che ha “favorito Trump e autocrati”, un “hacker” forse “putiniano”. Sul Foglio, la vera spia (della Cia) Giuliano Ferrara raccomanda: “Niente monumenti per Assange, colpevole e libero” che in fondo, dopo essersela cercata, “se l’è cavata” (restare chiusi come sorci per 7 anni in una stanza e per 5 in una cella d’isolamento è una passeggiata di salute). Anzi dovrebbe ringraziare i suoi persecutori: “I nemici degli Usa non muoiono in cella” (Libero), “Julian è libero, Navalny è morto. È la differenza fra democrazia e dittatura…” (Dubbio). Infatti la democrazia è quel paradiso che arresta chi dice la verità, ma poi non lo ammazza, o lo libera un attimo prima che crepi. E sono belle soddisfazioni.
Il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2024