Alain e i giovani d’oggi

di Marco Travaglio Non ci sono parole per denunciare il vile agguato subìto da Alain Elkann sul treno Italo Roma-Foggia. È lui stesso a narrarne le drammatiche sequenze in un “breve racconto d’estate” che, visto l’autore (il padre del padrone) e soprattutto la prosa (notevoli le virgole tra soggetti e verbi), Repubblica ha collocato in Cultura sotto lo straziante titolo “Sul treno per Foggia con i giovani ‘lanzichenecchi’”. L’orda barbarica che ha proditoriamente funestato il suo viaggio in prima classe era composta dal vicino, “un ragazzo di 16-17 anni, T-shirt bianca con scritta colorata, pantaloncini corti, zainetto verde e iPhone con cuffia per ascoltare musica”; e, nelle altre file, da “altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo… Alcuni avevano in testa (anziché su un ginocchio o su un gomito, ndr) il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi” e, quel che è peggio, “avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi”. Un dress code premeditato con cura dai manigoldi per molestare l’Elkann, che indossava, “malgrado il caldo, un vestito stazzonato di lino blu e una camicia leggera”. E portava una curiosa “cartella di cuoio marrone” (il cuoio di solito è viola a pois fucsia) “dalla quale ho estratto il Financial Times, New York Times e Robinson, l’inserto culturale di Repubblica” (La Stampa no: ci scrive da trent’anni, ma non la legge). Ma pure “il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust”, che “stavo finendo di leggere in francese” (anziché nella comoda traduzione in foggiano). Ma le estrazioni non sono finite: “Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica” (non con quella di un altro, o con un più pratico stiletto acuminato per tavolette cerate sumere). Che faceva intanto l’orda lanzichenecca al cospetto di cotanto intellettuale in lino blu? Si raccoglieva in religioso silenzio sbirciando di straforo il Financial Times o la Recherche? Magari: “Erano totalmente indifferenti alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente” (strano, un tipo così alla mano). E “parlavano ad alta voce”: non dei listini di Borsa o de l’amour de Swann, ma “di calcio” e “ragazze” da “cercare in spiaggia” o “nei night” (ma noi giureremmo che abbian detto “tabarin” e “café chantant”). Dicevano financo “parolacce” e “nessun passeggero diceva nulla”, forse per “paura di quei ragazzi tatuati”, ergo capaci di tutto. Lui, riavutosi dalla scoperta scioccante che “per andare a Foggia bisogna passare per Caserta e Benevento”, anziché da Chamonix, è sceso a Foggia. E “nessuno mi ha salutato”. Ma lui, furbo, “non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani ‘lanzichenecchi’ senza nome”. Tiè: così imparano. Il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2023

di Marco Travaglio

Non ci sono parole per denunciare il vile agguato subìto da Alain Elkann sul treno Italo Roma-Foggia. È lui stesso a narrarne le drammatiche sequenze in un “breve racconto d’estate” che, visto l’autore (il padre del padrone) e soprattutto la prosa (notevoli le virgole tra soggetti e verbi), Repubblica ha collocato in Cultura sotto lo straziante titolo “Sul treno per Foggia con i giovani ‘lanzichenecchi’”. L’orda barbarica che ha proditoriamente funestato il suo viaggio in prima classe era composta dal vicino, “un ragazzo di 16-17 anni, T-shirt bianca con scritta colorata, pantaloncini corti, zainetto verde e iPhone con cuffia per ascoltare musica”; e, nelle altre file, da “altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo… Alcuni avevano in testa (anziché su un ginocchio o su un gomito, ndr) il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi” e, quel che è peggio, “avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi”. Un dress code premeditato con cura dai manigoldi per molestare l’Elkann, che indossava, “malgrado il caldo, un vestito stazzonato di lino blu e una camicia leggera”. E portava una curiosa “cartella di cuoio marrone” (il cuoio di solito è viola a pois fucsia) “dalla quale ho estratto il Financial Times, New York Times e Robinson, l’inserto culturale di Repubblica” (La Stampa no: ci scrive da trent’anni, ma non la legge). Ma pure “il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust”, che “stavo finendo di leggere in francese” (anziché nella comoda traduzione in foggiano). Ma le estrazioni non sono finite: “Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica” (non con quella di un altro, o con un più pratico stiletto acuminato per tavolette cerate sumere).

Che faceva intanto l’orda lanzichenecca al cospetto di cotanto intellettuale in lino blu? Si raccoglieva in religioso silenzio sbirciando di straforo il Financial Times o la Recherche? Magari: “Erano totalmente indifferenti alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente” (strano, un tipo così alla mano). E “parlavano ad alta voce”: non dei listini di Borsa o de l’amour de Swann, ma “di calcio” e “ragazze” da “cercare in spiaggia” o “nei night” (ma noi giureremmo che abbian detto “tabarin” e “café chantant”). Dicevano financo “parolacce” e “nessun passeggero diceva nulla”, forse per “paura di quei ragazzi tatuati”, ergo capaci di tutto. Lui, riavutosi dalla scoperta scioccante che “per andare a Foggia bisogna passare per Caserta e Benevento”, anziché da Chamonix, è sceso a Foggia. E “nessuno mi ha salutato”. Ma lui, furbo, “non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani ‘lanzichenecchi’ senza nome”. Tiè: così imparano.

Il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2023

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