L’Ue si riarma (contro Mosca e Trump) su ordine di Parigi

Deterrenza o escalation? – Solo Orbán non firma. 26 via libera su 27 membri a Bruxelles. Berlino fa votare il vecchio Parlamento e non quello appena eletto

di Salvatore Cannavò

Sarà ricordato come il vertice che congela il Patto di stabilità in nome delle armi. Le conclusioni del Consiglio europeo straordinario ribadiscono “che l’Europa deve diventare più sovrana, più responsabile della propria difesa e meglio equipaggiata per agire e affrontare autonomamente le sfide e le minacce”. Per questo si aggira il Parlamento europeo mentre la Germania mette in mora il nuovo Bundestag eletto il 23 febbraio per modificare la Costituzione con il vecchio Parlamento. Il vertice fa propria la linea del sostegno a oltranza all’Ucraina, scontando però il veto ungherese di Viktor Orbán che impone una conclusione a 26. L’accoglienza a Volodymyr Zelensky, dopo lo scontro della Casa Bianca, è di rilievo: Costa e Von der Leyen si fermano a parlare con il presidente ucraino a beneficio di fotografi e tv.

Le conclusioni ufficiali sono orientate dunque al potenziamento dell’arsenale militare. Il Consiglio dà il via libera al piano Von der Leyen per un sistema da 800 miliardi di euro supplementari – tutti a debito – per sostenere le spese militari. Il ReArm Europe è stato contestato nel nome dalla presidente del Consiglio italiana preoccupata dell’impatto di nuovo debito sulla “percezione che gli investitori hanno del debito pubblico italiano”. Ma la sostanza rimane, il Consiglio europeo “sottolinea la necessità di continuare ad aumentare sostanzialmente la spesa per la sicurezza e la difesa dell’Europa” e quindi “accoglie con favore l’intenzione della Commissione di raccomandare al Consiglio l’attivazione, in modo coordinato, della clausola di salvaguardia nazionale prevista dal Patto di stabilità e crescita” anche se chiede di tenere conto della “sostenibilità del debito”. Prende poi “atto” dell’intenzione della Commissione di dare vita al nuovo strumento finanziario “volto a fornire agli Stati membri prestiti garantiti dal bilancio dell’Ue fino a 150 miliardi” e invita il Consiglio a “esaminare tale proposta con urgenza”. Lo si farà in sede di Consiglio economico finanziario anche per mettere a punto i dettagli sull’indebitamento (per l’Italia la palla passa quindi a Giancarlo Giorgetti).

Questo strumento sarà però attivato dall’articolo 122 del Trattato sul funzionamento della Ue (Tfeu) e quindi non ci sarà bisogno del voto del Parlamento europeo. Lo ha denunciato ieri Alleanza Verdi e Sinistra, con il suo responsabile Esteri, Giorgio Marasà, che ha annunciato un emendamento al Parlamento europeo dopo che analoga iniziativa era stata presa dal M5S nei giorni scorsi. Ma una scelta simile all’Ue si appresta a compierla la Germania che ha deciso di far approvare dal Parlamento uscente, e non da quello appena eletto dove manca la maggioranza dei due terzi, il piano di flessibilità fiscale per aumentare a debito le spese militari.

Le conclusioni del Consiglio Ue, poi, recepiscono le indicazioni della Commissione sulla necessità di un coordinamento industriale, sul “comprare insieme” facendo propria anche la lista delle priorità di spesa stilata da Von der Leyen (difesa aerea e missilistica; sistemi di artiglieria; missili e munizioni; droni e sistemi anti-droni; cyber; intelligenza artificiale e guerra elettronica). Nelle conclusioni si ribadisce l’importanza della Nato, di cui la Ue resta “complementare”, e di “collaborare con partner non Ue che condividono gli stessi ideali”. Nessun riferimento agli Usa, tanto meno per un incontro come voleva Giorgia Meloni. La quale si è detta “perplessa” sull’invio di truppe in Ucraina, tema che infatti nelle conclusioni a 26 non è citato. Si ribadisce la linea fin qui seguita di pieno supporto all’Ucraina, il sostegno a un piano di pace che preveda addirittura “l’integrità territoriale” di Kiev e che comunque la preveda al tavolo e si stabiliscono altri 30 miliardi di aiuti che si aggiungono a quelli recentemente definiti al G7. Per quanto riguarda l’invio di truppe se ne discuterà molto probabilmente in sedi non Ue, con Francia e Gran Bretagna in pole position.

Il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2025

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