Gli esclusi
di Salvatore Cannavò
L’offensiva spietata degli Stati Uniti contro l’Unione europea fa muovere i dirigenti di quest’ultima come topini impazziti. Come giudicare altrimenti la decisione di Emmanuel Macron di convocare un vertice “d’emergenza” sulla questione ucraina limitato a otto paesi – Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Danimarca, Olanda, Polonia più presidenza Ue, Commissione e Nato – escludendo gli altri 19 membri dell’Unione? A cosa serve allora la Ue? La situazione è alquanto bizzarra, segno di un disorientamento a cui la Francia vorrebbe reagire, come dimostrerebbero i venti minuti di dialogo “franco” tra Macron e Donald Trump.
Prima del vertice, infatti, si è svolta una telefonata animata tra i due presidenti che aiuta a capire il fallimento del vertice. Trump, infatti, con il suo stile padronale ha presentato la lista delle richieste alla Ue in termini di dispositivi militari, uomini e mezzi per garantire un accordo di pace in Ucraina. Macron ha invece chiesto il concreto appoggio statunitense e quindi il loro pieno coinvolgimento in una missione da far scattare dopo la possibile tregua. Ma dentro al vertice ha dovuto poi fare i conti con una scarsa e per nulla convinta reazione europea alla strategia offensiva degli Stati Uniti. Anche in otto, gli europei si sono divisi.
Il premier inglese, Keir Starmer, inglobato in questa mini-Ue d’assalto, si è presentato proponendo la leadership britannica di una eventuale forza armata – Macron la definisce “forza di assicurazione” e dovrebbe contare 25-30 mila soldati – che garantisca la possibile pace russo-ucraina (al momento trattata solo da Usa e Russia) ed è quindi il più entusiasta perché la Ue si schieri con l’elmetto ai confini russi. Ma a questa proposta hanno risposto abbastanza seccamente sia il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che lo spagnolo Pedro Sánchez. Per entrambi è “troppo presto” per discutere ora di soldati da schierare e di missioni di peacekeeping. Scholz, in particolare, ribadisce che “Ue e Usa devono agire insieme” e quindi non ci sta ad accollare alla Ue, e in gran parte alla Germania quindi, i costi e il peso della “missione di pace”. Ora, si badi che i tre sono tutti esponenti del socialismo europeo, forza politica che in serata ha diramato una nota per sostenere i risultati di questo vertice e per ribadire la propria linea di assoluta fedeltà all’Ucraina finalizzata a non “premiare la Russia”.
Ma va segnalato anche l’intervento critico del presidente di turno del semestre europeo, il polacco Donald Tusk, che si è detto del tutto contrario a una presenza polacca sul confine russo-ucraino – per quanto la Francia abbia specificato che si tratterebbe di stare dietro le linee e non proprio sul confine – ed è tornato a ribadire la necessità di una maggiore spesa in armamenti e quindi di attrezzarsi di più per la sfida contro la Russia. Ma è l’effettivo presidente della Ue, Antonio Costa, ad aver riproposto quell’atteggiamento al limite dell’autolesionismo che caratterizza la dirigenza europea. Noi possiamo anche farci carico di una presenza in Ucraina, di uomini e mezzi – dice Costa – ma solo se “verremo coinvolti nell’architettura della pace”. Si tratta, molto probabilmente, del vero obiettivo di Trump che potrebbe tranquillamente rivedere la decisione di non coinvolgere gli europei una volta avuta la garanzia che questi si accolleranno i costi della “pace” da lui definita con Putin.
In questo senso andrebbe l’ipotesi di un “inviato europeo per l’Ucraina” che possa partecipare ai colloqui come richiesto da Volodymir Zelensky secondo cui il problema principale resta comunque la minaccia della Russia verso tutta l’Europa, che sarebbe aggredita se Mosca avesse il via libera in Ucraina. Ipotesi surreale, ma a cui la Unione europea intende credere. Oggi intanto Ursula von der Leyen vede l’inviato Usa per l’Ucraina, Keith Kellogg.
Il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2025