Mappa dell'Ucraina, maggio 2014

Ucraina: Autogoverno o guerra civile

Dopo i referendum di Luhansk e Donetsk, Mosca prende tempo. Il vero obiettivo del Cremlino non è l’annessione delle due regioni, ma la federalizzazione dell’Ucraina

di Neil MacFarquhar, The New York Times, Stati Uniti

Dopo i referendum di Luhansk e Donetsk, Mosca prende tempo. Il vero obiettivo del Cremlino non è l’annessione delle due regioni, ma la federalizzazione dell’Ucraina

Dopo i referendum sull’autodeterminazione organizzati dai separatisti nelle regioni russofone di Luhansk e Donetsk, nell’Ucraina sudorientale, Mosca ha deciso di non riconoscere esplicitamente il voto. Si è invece limitata a usare i risultati come pretesto per intensificare le pressioni finalizzate a ottenere una più forte autonomia per l’est dell’Ucraina. Subito dopo la proclamazione dei risultati, il leader dei separatisti dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pušilin, ha annunciato che la regione vuole unirsi alla Russia. Ma Mosca non sembra d’accordo.

A quanto pare la Russia non reagirà al voto di Donetsk con la stessa risolutezza usata dopo il referendum del 16 marzo in Crimea. In quell’occasione il presidente Vladimir Putin aveva immediatamente dichiarato l’annessione della penisola dell’Ucraina meridionale, un tempo parte della Russia. Questa volta, invece, il Cremlino ha diffuso un comunicato in cui afferma di “rispettare la volontà della popolazione delle regioni di Donetsk e Luhansk” e sottolinea che la crisi dovrà essere risolta attraverso un dialogo tra i rappresentanti dell’Ucraina orientale e il governo di Kiev.

Il governo russo, insomma, ha evitato di riconoscere ufficialmente i risultati del voto, che le autorità di Kiev e i paesi occidentali hanno dichiarato illegale fin da subito. Secondo i separatisti che hanno organizzato lo scrutinio, l’89 per cento degli elettori della regione di Donetsk e il 96 per cento di quelli di Luhansk hanno votato per una maggiore autonomia. Ma gran parte dei cittadini favorevoli all’unità dell’Ucraina ha preferito non andare alle urne.

Secondo Pušilin, tuttavia, i risultati dimostrano che il popolo vuole unirsi alla Russia. “Chiediamo a Mosca di prendere in considerazione l’ipotesi dell’ingresso della Repubblica popolare di Donetsk nella Federazione Russa”, ha detto durante una conferenza stampa trasmessa in tv. “Il popolo di Donetsk ha fatto sempre parte del mondo russo, indipendentemente dalle etnie. La storia della Russia è la nostra storia”. Pušilin ha assecondato la linea di Mosca, secondo cui l’attuale governo di Kiev è composto da nazisti. Poi ha affermato che i militari ucraini hanno provocato centinaia di morti nei recenti scontri, anche se non ci sono prove che confermino questi dati. Infine ha detto che le regioni orientali non parteciperanno alle elezioni presidenziali previste per il 25 maggio, aprendo così un altro fronte di tensione.

Da Mosca, invece, non sono arrivate reazioni dirette. Subito dopo l’annuncio di Pušilin, il ministero degli esteri ha rilasciato un’altra dichiarazione che ripete più 0 meno quanto il ministro Sergej Lavrov aveva precedentemente affermato, e cioè che la crisi in Ucraina deve essere risolta con un dialogo tra Kiev e i separatisti dell’est.

La reazione più significativa è stata forse quella di Rinat Akhmetov, l’oligarca più ricco dell’Ucraina e il maggior datore di lavoro nelle regioni industriali dell’est, il Donbass. Akhmetov ha spiegato che il suo obiettivo principale è instaurare un clima di fiducia in cui lo sviluppo dell’economia generi occupazione. “Sono profondamente convinto che il Donbass può essere felice solo in un’Ucraina unita”, ha detto Akhmetov, che in precedenza aveva assunto una posizione più ambigua. “Sono a favore di un Donbass forte in un’Ucraina forte”.

Il Donbass non è la Crimea

Gli osservatori sostengono da tempo che, a differenza di quanto accaduto in Crimea, Mosca non è disposta a sostenere il costo, in termini di denaro e di vite umane, di un’annessione delle regioni orientali, per non parlare delle sanzioni economiche che ne deriverebbero. Se tuttavia Kiev dovesse cercare di soffocare gli indipendentisti con la forza, la Russia si riserverebbe comunque il diritto di intervenire militarmente. “Mosca non considera il referendum una base legale per ottenere la secessione di parte dell’Ucraina”, ha detto il politologo Fëdor Lukjanov. “La Russia lo considera piuttosto uno strumento per costringere le altre parti del conflitto ad accettare i separatisti al tavolo dei negoziati”.

Un’altra mossa per esercitare pressioni su Kiev è stata quella di Gazprom, l’azienda energetica russa controllata dallo stato, che il 13 maggio ha inviato all’Ucraina una fattura di acconto per le consegne di gas del prossimo giugno. Il presidente del consiglio di amministrazione di Gazprom, Aleksej Miller, in precedenza aveva affermato che avrebbe inviato la bolletta il 16 maggio, ma il primo ministro Dmitrij Medvedev ha anticipato la consegna. Di recente la Russia ha aumentato a più riprese l’importo che, a sua detta, l’Ucraina le deve, portandolo a circa 20 miliardi di dollari contro i due miliardi reclamati all’inizio di marzo. Mosca ha minacciato di tagliare le forniture se Kiev non pagherà, cosa che potrebbe avere ripercussioni anche sulle esportazioni all’Europa.

Le paure di Bruxelles

La Russia ha espresso la sua posizione sul referendum nel momento in cui l’Europa intensificava i suoi sforzi per trovare una soluzione diplomatica alla crisi in Ucraina e per consentire lo svolgimento delle presidenziali del 25 maggio con il consenso di Mosca. Dopo aver incontrato Putin il 7 maggio, il presidente svizzero Didier Burkhalter, attuale presidente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), ha prospettato ai ministri degli esteri dell’Unione europea, riuniti a Bruxelles, una possibile road map per una soluzione pacifica della crisi. “Siamo arrivati a un momento cruciale, per l’Ucraina come per l’Europa”, ha detto. “Lo spiraglio che si apre sarà probabilmente di breve durata”. Burkhalter ha discusso con i governi europei i possibili meccanismi di una mediazione. In questa situazione, il ruolo dell’Osce è centrale, perché l’organizzazione include sia gli stati dell’Unione europea sia i paesi dell’ex Unione Sovietica, tra cui la Russia e l’Ucraina.

Le dichiarazioni del Cremlino sul referendum sono sulla stessa lunghezza d’onda della posizione assunta negli ultimi giorni da Putin, che il 7 maggio ha aperto a una soluzione negoziata. “Tutte le iniziative di mediazione finalizzate a stabilire un tale dialogo saranno benvenute, comprese quelle avviate dall’Osce”, recita il comunicato del Cremlino.
A Kiev, intanto, il presidente ad interim Oleksandr Turčinov ha liquidato il voto nelle regioni orientali come una farsa illegale. Ma Turčinov ha ripetuto di essere disponibile a dialogare con i separatisti dell’est “che non hanno le mani sporche di sangue e sono pronti a difendere i loro obiettivi in modo legittimo”.

Con la rimozione del presidente ucraino Viktor Janukovič, il 21 febbraio, la Russia ha perso il suo principale alleato a Kiev. Anche se la sua opposizione iniziale alle elezioni presidenziali si è ammorbidita, Mosca ha comunque continuato a spingere per una federalizzazione del paese, che le consentirebbe di mantenere nella sua orbita d’influenza le regioni sudorientali.

Secondo molti osservatori, le presidenziali del 25 maggio possono dare all’Ucraina una nuova leadership che potrebbe negoziare un compromesso con le regioni separatiste. Da parte sua l’Unione europea cerca di ostacolare il sostegno russo ai separatisti, ma è anche preoccupata di mettere a rischio le relazioni economiche con Mosca, fonte importante delle sue forniture energetiche. Bruxelles ha annunciato nuove sanzioni contro i dirigenti russi accusati di alimentare la crisi. Ma il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha criticato la mossa affermando che “mina la fiducia” tra le parti. ♦ af

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L’opinione

Verso le elezioni

di Evgenij Magda, Unian, Ucraina

La leadership ucraina è sempre più debole e incapace di contrastare i separatisti dell’est

Il referendum per l’indipendenza delle regioni di Donetsk e Luhansk ha aggiunto un ulteriore elemento di assurdità a quanto succede in Ucraina. Alla campagna elettorale presidenziale che si sta svolgendo sullo sfondo dell’annessione della Crimea e delle pressioni esercitate dalla Russia, si è aggiunta ora la scimmiottatura dell’espressione della volontà popolare, priva di ogni minimo requisito di legalità (come la presenza di osservatori indipendenti o la segretezza del voto), accompagnata dagli abusi sempre più gravi dei filorussi.

Praticamente ogni giorno dal Donbass arrivano notizie di violenze. E ogni atto di violenza commesso dalle persone che indossano il nastro di san Giorgio (cioè i filorussi) diminuisce la possibilità che il referendum sia considerato legittimo. Perfino Vladimir Putin, che non si può certo definire un osservatore neutrale, ha preferito prendere le distanze dal referendum.

Allo stesso modo, l’operazione antiterrorismo del governo di Kiev, quand’anche riesca a dare qualche risultato, non ha l’appoggio dell’opinione pubblica. Gli scarni commenti che il ministro dell’interno Arsen Avakov pubblica sui social network non bastano a convincere gli ucraini che lo stato è in grado di riportare l’ordine in una parte significativa del paese. L’Ucraina sta nuovamente perdendo la guerra dell’informazione con la Russia e il fatto che a Kiev la torre della televisione sia rimasta senza elettricità proprio nel giorno in cui si celebra la vittoria contro il nazismo nella seconda guerra mondiale, il 9 maggio, non è certo imputabile a un’avaria, ma a un sabotaggio intenzionale compiuto nell’ambito di questa guerra. I leader ucraini faticano sempre più a nascondere la loro debolezza. Uno dei nuovi strumenti politici oggi a loro disposizione è la rimozione dei governatori regionali. A capo della nuova amministrazione regionale di Odessa è stato insediato Igor Palitsa. Ma quello che tutto il paese attende sono risultati delle indagini sulla tragedia del 2 maggio. Nemmeno le dimissioni del governatore regionale di Luhansk, Mikhail Bolotskij, riusciranno facilmente a cambiare la situazione nell’est dell’Ucraina.

I problemi del parlamento

Anche i partiti presenti in parlamento non sembrano interessati a mobilitarsi per risolvere i problemi del paese. Nella seduta a porte chiuse della rada suprema, il 6 maggio, l’intero gruppo parlamentare del Partito comunista è stato allontanato dall’aula perché accusato di sostenere i separatisti, e l’assemblea ha deciso di concedere al procuratore generale la facoltà di privare i deputati dell’immunità parlamentare. Tuttavia c’è poco da sperare che simili decisioni portino a risultati concreti. Con questa coalizione al potere, non sembra che la rada possa lavorare in modo efficace.

Intanto continua la campagna elettorale per le presidenziali del 25 maggio. Ma i dibattiti televisivi trasmessi dal primo canale pubblico difficilmente riusciranno a catturare l’attenzione degli spettatori. I favoriti rimangono gli stessi, anche se l’ultimo sondaggio dà l’ex vice primo ministro Sergij Tigipko in lieve vantaggio su Julija Timošenko. Il favorito è ancora saldamente l’oligarca Petro Porošenko. E al centro della campagna presidenziale rimangono due temi fondamentali: la lotta contro il potere degli oligarchi e quella contro il separatismo. ♦ af

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Da Varsavia

Una soluzione internazionale

di Bogusław Chrabota, Rzeczpospolita, Polonia

Per l’Ucraina la prospettiva più auspicabile, che per ora resta solo un sogno, è l’apertura di un negoziato in cui Kiev e i separatisti possano discutere della riforma della costituzione e di una maggiore autonomia per le regioni orientali. Ma dopo quello che è successo a Donetsk, Kramatorsk e Sloviansk, dopo la strage di Odessa e i morti di Mariupol, non sembra esserci la possibilità della pace. La tensione cresce e il numero dei morti rende più profonde le divisioni, alimentando l’odio.

I referendum a Donetsk e Luhansk non fanno che accentuare queste spaccature. Gli abitanti delle due regioni ora penseranno che l’esito del voto gli darà la legittimazione morale e democratica per staccarsi da Kiev. Ma Kiev, ovviamente, non riconosce i referendum: una posizione che i separatisti considerano una manifestazione di cattiva volontà. Le conseguenze sono facili da immaginare: guerra civile, combattimenti, morti. E l’allargamento della rivolta ad altre zone del paese oltre al tracollo totale dello stato. Una situazione del genere non è nell’interesse né della comunità internazionale né dell’Ucraina e nemmeno di Putin. A questo punto, le opinioni pubbliche in tutto il mondo dovrebbero spingere i loro governi a una presa di responsabilità. Il governo di Kiev da solo non ce la può fare. Ma il coinvolgimento di leader come Barack Obama, Angela Merkel, François Hollande e David Cameron potrebbe portare a una soluzione pacifica grazie anche all’invio di forze internazionali. Non sarà facile. Le forze di pace, infatti, dovrebbero essere accettate da entrambi i protagonisti del conflitto, e Kiev non riconosce i separatisti come una parte in gioco. Inoltre, se l’occidente approvasse un intervento delle forze di pace, questo segnerebbe di fatto la divisione dello stato ucraino.

C’è anche un’altra soluzione: quella adottata in Kosovo. Una forza di polizia internazionale potrebbe intervenire per proteggere gli abitanti. In questo contingente, oltre a polacchi, francesi e tedeschi dovrebbero esserci anche i russi. È una soluzione morbida, ma più praticabile. Di certo non è una scelta facile, considerato che nessuno ormai crede nella buona volontà di Mosca. Ma è comunque il caso di provarci, perché dietro le mosse di Putin ci sono interessi e calcoli politici. Forse, quindi, qualcosa potrebbe costringere il leader russo ad accettare una soluzione simile. Bisogna crederci. Bisogna provarci. ♦ dp

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Da sapere
L’ultima settimana

8 maggio 2014 – I separatisti di Donetsk e Luhansk fanno sapere che il referendum sull’autodeterminazione si terrà nonostante il giorno prima il presidente russo Vladimir Putin avesse chiesto di rimandarlo.
9 maggio – Putin visita la Crimea in occasione dei festeggiamenti del giorno della vittoria. A Mariupol 21 militanti separatisti muoiono nei combattimenti con l’esercito di Kiev.
11 maggio – Nelle regioni di Luhansk e Donetsk si svolge il referendum sull’autodeterminazione.
12 maggio – Secondo i separatisti, a Donetsk l’89 per cento degli elettori ha votato a favore dell’autodeterminazione, e l’affluenza è stata del 75 per cento. Nella provincia di Luhansk i sì sono stati il 96 per cento, e l’affluenza è stata del 75 per cento. Il voto è bollato come “una farsa” dal presidente ucraino Oleksandr Turčinov e definito “illegale” e senza i minimi standard di correttezza e trasparenza anche da Stati Uniti e Unione europea. Dopo il voto, il leader dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pušilin, chiede l’annessione alla Russia. Il Cremlino non prende posizione.
13 maggio – L’Unione europea annuncia nuove sanzioni contro Mosca. Sei soldati ucraini sono uccisi in un’imboscata a Kramatorsk.
14 maggio – Kiev accetta di partecipare alla trattativa proposta dall’Osce per la concessione di maggiore autonomia alle regioni dell’est.

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