A Nuuk, tra influencer che diventano politiche, pressioni americane sempre più sfacciate e l’eterno dilemma sull’indipendenza da Copenaghen, il voto di martedì sembra il più importante della storia recente dell’isola.
Se ne occupa persino Qupanuk Olsen, 39 anni, la più seguita influencer groenlandese, che ha deciso di candidarsi con il partito indipendentista Naleraq. “È un momento storico,” dichiara con enfasi, “Sento che stiamo finalmente votando sull’indipendenza.” Più che un’analisi politica, un post motivazionale. Ma è evidente che qualcosa sta cambiando, anche perché gli Stati Uniti hanno ricominciato a mettere gli occhi sulla Groenlandia, nel solito modo brutale e spiccio.
Tutto è partito da un vecchio pallino di Donald Trump, che già nel 2019 aveva provato a “comprare” la Groenlandia da Copenaghen con l’argomento irresistibile di un “real estate deal”. Lo aveva detto con lo stile diplomatico di un palazzinaro in saldo, scatenando ovviamente reazioni furiose da parte di danesi e groenlandesi.
Adesso che Trump è tornato sulla scena con le sue velleità imperiali, l’idea ha ripreso quota. Ha persino mandato il figlio Donald Jr in visita ufficialmente “privata”, in realtà una mossa propagandistica per mostrare qualche groenlandese con cappellini MAGA e fingersi paladino della libertà dell’isola. Peccato che, come ha rivelato la stampa danese, alcuni di quei groenlandesi sarebbero stati pagati per indossare il berretto rosso.
Trump, però, non molla: “Penso che la prenderemo. In un modo o nell’altro.” Non proprio la dichiarazione di un leader democratico, ma il linguaggio tipico di chi è abituato a conquistare le cose come se fossero trofei personali.
La Groenlandia, con i suoi 56.000 abitanti, è tecnicamente un territorio autonomo danese dal 1979, ma rimane fortemente dipendente economicamente da Copenaghen, che ogni anno le versa un sussidio da 570 milioni di dollari. L’indipendenza è il sogno di quasi tutti i partiti locali, ma il problema è capire come sostituire quei soldi senza finire sotto una nuova colonizzazione, stavolta a stelle e strisce.
Mute B. Egede, il premier e leader del partito democratico-socialista Inuit Ataqatigiit, ha chiarito la sua posizione già nel discorso di Capodanno: “Dobbiamo decidere con chi collaborare e con chi commerciare. Non possiamo farlo sempre e solo attraverso la Danimarca.” Traduzione: il legame con Copenaghen si allenta, ma non significa che ci si voglia buttare tra le braccia di Washington.
L’idea di un referendum sull’indipendenza entro quattro anni circola ormai da tempo. I sondaggi dicono che i groenlandesi non vogliono diventare americani e che la maggioranza sostiene la separazione dalla Danimarca. Il problema è che il 70% dei danesi, in caso di secessione, vuole interrompere il “block grant”, ovvero la manna dal cielo economica che mantiene la Groenlandia a galla.
Maria Ackren, professoressa di scienze politiche all’Università della Groenlandia, smorza gli entusiasmi: “Non credo che l’indipendenza arriverà presto. È sempre stata una questione centrale nelle elezioni groenlandesi, ma non accadrà rapidamente. Forse tra 20 o 30 anni.” Il che significa che anche stavolta si parlerà molto e si farà poco.
Per gli Stati Uniti, la Groenlandia è un asset strategico fondamentale nell’Artico, sia per le sue immense risorse minerarie (terre rare, petrolio, gas) sia per il suo valore militare. La base statunitense di Thule è già un pezzo del dominio americano nella regione, ma la Casa Bianca vorrebbe allargare la presenza.
Jorgen Boassen, groenlandese filo-Trump, ha persino fondato un’organizzazione chiamata American Daybreak per spingere l’influenza statunitense. “Non voglio che la Groenlandia diventi uno Stato americano,” giura, “ma serve una maggiore presenza militare.” Tradotto: ci servono gli americani per non dover dipendere dai danesi.
Il primo ministro danese Mette Frederiksen, dal canto suo, ripete come un mantra che il destino della Groenlandia spetta solo ai groenlandesi. Che è un modo elegante per dire: fate pure come volete, ma poi non venite a chiederci soldi.
E mentre gli influencer si candidano, Trump sogna di annettere il Polo Nord e la Groenlandia si interroga sul suo futuro, l’impressione è che, ancora una volta, alla fine tutto rimarrà congelato.