Spend, Spend, Spend. Poi vediamo
“Spend, spend, spend,” dice Mette Frederiksen, primo ministro danese, con l’entusiasmo di chi ha appena scoperto che i soldi si possono stampare. “È la cosa più importante”. Quasi a voler rassicurare gli europei: non temete, i vostri governanti sanno esattamente cosa stanno facendo.
La Commissione Europea, con Ursula von der Leyen in prima fila, ha deciso di aprire il portafoglio—e poco importa se è il nostro. 800 miliardi per la difesa, una cifra talmente astronomica che a Bruxelles si preferisce definirla “altamente teorica.” Un modo elegante per dire che nessuno ha ancora capito dove trovare questi soldi. Nel frattempo, i governi si danno pacche sulle spalle, congratulandosi a vicenda per una decisione storica: spendere montagne di denaro senza un piano chiaro.
Dove li prendiamo, allora, questi miliardi? 150 dovrebbero arrivare da un nuovo schema di prestiti, garantiti dai “fondi inutilizzati” nel bilancio UE—perché, si sa, ogni budget nasconde qualche miliardino dimenticato in un cassetto. Gli altri 650 miliardi? Un po’ di “flessibilità” nelle regole fiscali, ovvero un modo burocratico per dire che i governi potranno indebitarsi ancora di più.
Nel frattempo, a Berlino si consuma il dramma della “frenata sul debito.” Il prossimo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, un tempo fustigatore della spesa pubblica, ora si scopre paladino del riarmo. Persino in Germania, dove fino a ieri i bilanci dovevano quadrare, si preparano a sacrificare il dogma dell’austerità sull’altare della nuova corsa agli armamenti.
“Bisogna rendere l’Europa più sovrana e autonoma,” proclamano i leader UE. Peccato che l’Europa non abbia neanche un esercito comune e che la “sovranità” di cui parlano somigli più a una lista della spesa che a una strategia militare.
C’è un grande assente in questo teatrino: il popolo europeo. Qualcuno ha chiesto ai cittadini se sono d’accordo nel dirottare somme colossali verso la difesa? No, ovviamente. L’unico dibattito pubblico si riduce a un coro di “bisogna fare di più,” senza che nessuno osi mettere in discussione la direzione presa.
E qui si torna al vero motivo di questa accelerazione. Non è l’improvvisa scoperta che l’Europa debba difendersi da sola, ma la paura che gli Stati Uniti di Trump voltino le spalle a Kiev. Così, nel panico generale, Bruxelles reagisce come sa fare meglio: lanciare soldi al problema e sperare che si risolva da solo.
Ma spendere miliardi in armamenti è una strategia o solo una pezza per guadagnare tempo? I leader europei sembrano più preoccupati di dimostrare fedeltà a Zelensky che di costruire una vera autonomia strategica. Intanto, mentre i governi promettono mari e monti, resta un dettaglio non trascurabile: queste armi chi le produce? Perché, a voler essere realisti, il comparto industriale europeo della difesa è incapace di reggere una produzione su vasta scala.
Così si torna al punto di partenza: l’Europa sogna la sovranità strategica, ma quando si tratta di tradurla in realtà, tutto si riduce a una montagna di miliardi teorici e una dipendenza cronica dai fornitori di sempre.
E poi c’è lui, Viktor Orbán, il guastafeste per eccellenza. Mentre gli altri leader firmano documenti altisonanti sulla necessità di sostenere l’Ucraina “a ogni costo,” il primo ministro ungherese rovina l’atmosfera ricordando che, alla fine, la guerra dovrà finire con un accordo. Un’eresia imperdonabile per l’Europa bellicista.
“Bisogna trattare con Putin,” scrive Orbán in una lettera che scatena indignazione a Bruxelles. E poco importa se nei corridoi della diplomazia tutti sanno che, prima o poi, qualcuno dovrà sedersi a quel tavolo.
A differenza di molti colleghi, il premier ungherese non ha fretta di allinearsi all’ennesimo “momento storico” della Commissione. Per questo, viene trattato da paria, mentre altri governi—Slovacchia in testa—trovano escamotage per fingere di essere d’accordo con l’ortodossia anti-russa senza crederci davvero.
Alla fine, l’Europa ha scelto la strada più semplice: moltiplicare le spese militari, senza avere una strategia chiara su cosa fare dopo. Se servirà davvero a costruire un’Europa più forte, nessuno lo sa.
Per ora, ciò che conta è dimostrare che Bruxelles non resta a guardare. Poco importa se, nel frattempo, i cittadini si ritrovano con un’Europa più indebitata e un futuro ancora più incerto.
L’importante è spendere. Poi, si vedrà.