In Siria, ignorare le tribù è come costruire una casa senza fondamenta. È una mossa suicida che prima o poi porta al crollo di ogni struttura di potere. Ma Bashar al-Assad, con un’arroganza degna dei peggiori autocrati, ha pensato di poter ignorare questa realtà con una disinvoltura disarmante. La storia recente della Siria è la cronaca di questa illusione: un governo che ha trascurato l’antico tessuto tribale, e ora si ritrova a raccogliere i cocci di una nazione frantumata.
La Siria stratificata: tra Stato, tribù e famiglia
La Siria non è mai stata una nazione uniforme. È un mosaico complicato dove la lealtà si distribuisce su diversi livelli di potere. Al vertice di questa piramide ideale dovrebbe esserci lo Stato, ma nella pratica lo Stato viene dopo la famiglia e la tribù. Gli arabi, prima di sentirsi siriani, si riconoscono nella loro famiglia, che è l’unità di base della società. Da questa famiglia si sviluppa la tribù, una grande famiglia di famiglie, dove i legami di sangue e gli interessi comuni creano una rete solidissima di solidarietà e protezione reciproca.
Questa rete tribale è il vero motore delle dinamiche sociali e politiche in Siria. Le tribù rappresentano il potere invisibile ma tangibile che controlla il territorio. Assad avrebbe dovuto sapere che governare la Siria significa governare con le tribù, non contro di loro. Un leader capace avrebbe trovato il modo di bilanciare gli interessi dello Stato con quelli delle tribù, di integrare i leader tribali nel sistema politico e di assicurarsi che nessuna tribù si sentisse esclusa o tradita.
L’illusione della pacificazione
Negli anni di apparente pacificazione, Assad si è convinto che il problema tribale fosse stato risolto. Il rumore delle armi si era attenuato, e le tribù sembravano accettare la supremazia del governo centrale. Ma questa era solo una tregua temporanea. Le tribù non erano scomparse, si erano solo messe in attesa. Erano come vulcani dormienti, pronti a eruttare non appena le circostanze fossero cambiate. Il governo siriano ha interpretato questo silenzio come un segnale di sottomissione, senza capire che le tribù stavano semplicemente aspettando il momento opportuno per agire.
Quando la guerra civile è esplosa, le tribù hanno rivelato il loro vero potere. Molte hanno deciso di non sostenere Assad, altre si sono schierate apertamente con i ribelli o con i gruppi jihadisti. Il motivo? La mancanza di rispetto e considerazione da parte del governo centrale. Durante gli anni di relativa calma, Assad non ha fatto nulla per rafforzare i legami con le tribù. Ha preferito rafforzare il controllo burocratico e militare, credendo che questo bastasse a garantire la stabilità. È stata una scommessa persa in partenza.
Il peso degli accordi non scritti
Nel mondo arabo, i patti tribali sono sacri. Sono accordi non scritti ma inviolabili, che regolano la convivenza tra le diverse componenti della società. Assad ha ignorato questi accordi, cercando di imporre un’autorità centralizzata senza rispettare l’autonomia e l’orgoglio delle tribù. Ha nominato funzionari che non avevano alcun legame con il territorio, ha favorito alcune tribù a scapito di altre e ha cercato di governare con la forza piuttosto che con il consenso.
Questa strategia ha creato un risentimento profondo. Le tribù si sono sentite tradite e umiliate. In una società dove l’onore è più importante della vita stessa, un simile affronto non poteva rimanere impunito. Quando le milizie ribelli hanno cominciato a marciare, molte tribù hanno visto in loro un’occasione per ristabilire il proprio potere e punire un regime che le aveva disprezzate.
L’esercito in fuga: un segnale di collasso sociale
L’avanzata dei gruppi armati in Siria è avvenuta spesso senza combattimenti. Le basi militari venivano abbandonate senza sparare un colpo. Questo non è solo un segno di debolezza militare, ma un sintomo di un problema più profondo: l’esercito siriano non ha più legami con il tessuto sociale del paese. I soldati, spesso provenienti da famiglie e tribù emarginate, non vedono alcun motivo per rischiare la vita per un regime che ha ignorato i loro bisogni e tradito i loro leader.
Un esercito senza motivazione è un esercito già sconfitto. E Assad, con la sua politica miope, ha creato le condizioni perfette per questa disfatta. Ha dimenticato che in Siria i soldati combattono non solo per lo Stato, ma per la tribù a cui appartengono. Se la tribù non sostiene il governo, l’esercito non ha alcuna intenzione di combattere.
Il nuovo Medio Oriente: un puzzle di tribù e potenze straniere
La Siria di oggi è un campo di battaglia frammentato, dove le tribù giocano un ruolo decisivo. Alcune sono alleate con i jihadisti, altre con i curdi, altre ancora con potenze straniere come la Turchia e l’Iran. Ogni tribù cerca di ritagliarsi un pezzo di potere in un paese che non riconosce più l’autorità centrale. Il risultato è un caos controllato, dove gli interessi locali e internazionali si intrecciano in una spirale senza fine.
Assad ha fallito perché ha dimenticato una lezione fondamentale del Medio Oriente: il potere non si impone, si negozia. Le tribù sono il cuore pulsante della Siria, e ignorarle significa condannare il paese alla frammentazione e al conflitto permanente. Ora, mentre il regime si sgretola, le tribù stanno riprendendo il controllo del territorio, decidendo il futuro della Siria lontano dai palazzi di Damasco.