di Alessandro Parente
Kharkiv. Dopo tre anni di frenetica attenzione internazionale, Kharkiv sembra essere tornata a una specie di calma. Sono diminuite le auto di organizzazioni internazionali o le tv occupate nel filmare ogni angolo della città. Resta la presenza militare e i gruppi di reclutatori che basta fare un viaggio in metro per incontrarsi alle uscite.
“Una volta sono stato accerchiato da cinque soldati, stavano già deviando la mia traiettoria” racconta un giornalista assunto da un battaglione per curarne la comunicazione, “solo che non sono ucraino e neanche posso sembrarlo, e poi, ero vestito in uniforme” dice ridendo, poi ci racconta di quando ha fatto scappare un giovane dai reclutatori, accorrendo al tavolo del bar dove era seduto e convincendo i militari che lavorasse per lui come guida.
Ci racconta del suo battaglione, dove il morale è basso e si crede che se verrà la pace non sarà quella che piace agli ucraini. “Temo che se Zelensky farà il gioco di Trump, ai militari, quelli di professione, non piacerà e potrebbero opporsi. Si sono battuti e hanno visto cadere compagni, per poi non ottenere niente”. Gli chiedo se si riferisca alla possibilità di un colpo di Stato, “non saprei, ma ci sono battaglioni con molti soldi, armi e sostegno popolare”, risponde.
Ci troviamo in uno dei bar del centro, dove il giorno seguente incontriamo Irina, una donna la cui famiglia è radicata a Kharkiv da generazioni. Anche lei ci racconta di essersi battuta per liberare un giovane dai reclutatori, “se lo stavano portando con la scusa che era passato con il rosso, ho visto che litigavano e volevano portarlo al centro di reclutamento, ma che c’entra con il semaforo?”. Oleksandra dice che nessun altro si è intromesso per aiutare, “qui basta che fai una critica e dicono che sei filorussa, le persone hanno paura” ha aggiunto, poi ci ha raccontato la sua storia. Quando i russi hanno occupato il nord dell’Oblast di Kharkiv, suo figlio era lì con la sua ragazza, la quale, in quanto russa, è andata a Belgorod. Anche lui avrebbe potuto, ma aveva paura di essere mobilitato da Putin ed è riuscito a rientrare a Kharkiv. Ora si trova in città, e avendo subito delle operazioni alla colonna vertebrale, sarebbe esente dalla leva. Potrebbe però non pensarla così il medico della commissione militare, dove dovrebbe recarsi secondo quanto gli notifica l’app reserve+. Lui però ha deciso di non andare, ma di darsi alla renitenza.
Renitente è anche un amico di Oleksandra. Partito con 200 commilitoni, si è salvato insieme a un pugno di compagni. Ha deciso così di disertare. La preoccupazione dell’amica era che lo andassero a cercare a casa, ma niente. “Lui crede, e forse ha ragione, che nessuno lo abbia riportato come disertore perché qualcuno si sta prendendo il suo stipendio” commenta, “è tutta una questione di soldi, se ti prendono e hai qualcuno che porta circa 4.000 dollari in contanti sul posto ti lasciano andare, ma possono sempre riprenderti”. Attualmente la stretta sulla mobilitazione sta esasperando gli ucraini, che non vedono risultati sul campo di battaglia, non sperando più nella vittoria e hanno iniziato a disilludersi anche su una pace giusta. Seppur contenute, le proteste hanno portato nei giorni scorsi il Parlamento a modificare la legge per evitare che l’arruolamento diventi un business, ma non si conoscono i dettagli.
Il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2025