Sembra un romanzo di spionaggio, di quelli in cui gli alleati più stretti si rivelano in realtà i nemici più subdoli. Ma non c’è niente di fittizio nelle rivelazioni esplosive che collegano il Center for Countering Digital Hate (CCDH), un’organizzazione britannica teoricamente votata al contrasto dell’odio online, con un piano di interferenza nelle elezioni presidenziali americane del 2024. Se vi aspettavate che il prossimo scandalo di intromissioni straniere venisse dall’est, vi sbagliate di grosso. Non è Mosca a tramare dietro le quinte questa volta, ma Londra.
E lo fa con una precisione chirurgica, con la faccia tosta di chi si presenta come il cavaliere bianco della morale digitale, e con una determinazione da far invidia ai più famigerati manipolatori del consenso. Al centro di questo intrigo internazionale c’è Morgan McSweeney, l’eminenza grigia dietro il Primo Ministro britannico Keir Starmer, che ha fondato il CCDH come veicolo politico per eliminare chiunque osi dissentire dalle narrative ufficiali. E quando dico “eliminare”, non intendo fisicamente — non siamo nei romanzi di Le Carré — ma digitalmente, cosa che nel 2024 può essere ancora più letale. La missione del CCDH è chiara: “Kill Musk’s Twitter”. Lo ripetono come un mantra nei loro incontri, come dimostrano i documenti trapelati che delineano un piano dettagliato per soffocare una delle poche piattaforme ancora semi-liberali.
Twitter, o X come si chiama adesso, è diventato il simbolo della libertà di espressione incontrollata da quando Elon Musk l’ha acquisito. Musk, con il suo approccio più permissivo alla moderazione dei contenuti, ha messo i bastoni fra le ruote a chi, come il CCDH, vorrebbe che la conversazione online fosse regolamentata da manualetti del politically correct. E McSweeney, il geniale burattinaio che ha orchestrato la vittoria di Starmer su Jeremy Corbyn, non vuole che la piattaforma diventi un palco per voci dissidenti, siano esse di destra o di sinistra.
Nel mirino di McSweeney c’è proprio la capacità di Musk di permettere il libero fluire delle informazioni senza la supervisione di burocrati digitali. L’uomo che ha creato la fortuna di Starmer, stroncando la fazione radicale del Partito Laburista britannico, ora vuole esportare il suo modello di censura anche negli Stati Uniti. Il piano del CCDH è un manuale di manipolazione elettorale: demonetizzare, deplatformare, e regolamentare fino a ridurre al silenzio qualsiasi voce scomoda. E non agiscono da soli.
Il piano occulto: McSweeney e il Partito Democratico
Negli Stati Uniti, il CCDH non si limita a una timida presenza simbolica. È direttamente collegato alla campagna di Kamala Harris, che ha accettato di buon grado i consigli strategici di McSweeney e della sua cricca. Una connessione inquietante, se pensiamo che il CCDH, nel frattempo, sta spingendo per una regolamentazione stringente delle piattaforme digitali, come emerge dai documenti che parlano di “sessanta incontri al Congresso” per promuovere il loro STAR framework. Questo quadro normativo prevede la creazione di un regolatore indipendente che avrebbe il potere di sanzionare piattaforme come Twitter se ospitano contenuti considerati “dannosi”. In altre parole, vogliono il bavaglio.
Il loro progetto non si limita a “regolamentare” ma punta esplicitamente a far fuori Twitter, come hanno già tentato con altre piattaforme critiche negli Stati Uniti e nel Regno Unito. The Canary, Zero Hedge, The Federalist: tutte testate o piattaforme che hanno subito pressioni economiche o minacce dirette sotto forma di campagne di boicottaggio degli inserzionisti orchestrate dal CCDH. Il messaggio è chiaro: se non ti conformi alla loro narrativa, ti tolgono l’ossigeno, ti soffocano, ti fanno sparire.
E non è finita qui. Un altro nome che emerge dalla fitta rete di influenze è quello della senatrice Amy Klobuchar, che ha presentato numerose proposte di legge per regolamentare la disinformazione online. Il CCDH ha collaborato con il suo ufficio, alimentando il dibattito su come “proteggere” il pubblico dai contenuti nocivi. Ma, come sanno bene quelli che osservano con attenzione, quando i politici cominciano a parlare di protezione, di solito stanno pianificando di toglierti qualche diritto.
Interferenza elettorale: il nuovo “UKgate”
La rivelazione che un’organizzazione britannica, in combutta con una campagna presidenziale americana, stia lavorando per alterare il panorama delle informazioni negli Stati Uniti ha scatenato una furia comprensibile. Si è già iniziato a parlare di “UKgate”, un termine coniato dai lettori indignati, che paragonano questa intromissione a uno scandalo di dimensioni epiche. Non si tratta di semplici accuse campate in aria: ci sono documenti, prove, email. C’è tutto, tranne il riconoscimento ufficiale da parte delle istituzioni, che fanno orecchie da mercante.
Un lettore ha sollevato l’allarme su quanto questa intromissione sia molto più seria di quanto sembri: “Questa dovrebbe essere una delle più grandi scandali nella storia delle elezioni americane”. E come dargli torto? Non c’è niente di più inquietante dell’idea che una potenza straniera stia cercando di mettere le mani sulle elezioni statunitensi, e lo stia facendo con la complicità silenziosa di alcuni settori politici. Lo stesso lettore ha suggerito che, se Trump dovesse vincere, dovrebbe immediatamente interrompere qualsiasi tipo di aiuto al Regno Unito e portare la questione davanti alle Nazioni Unite per interferenza elettorale. Un’affermazione forte, che però riflette il sentimento di una parte sempre più ampia dell’opinione pubblica.
E non è solo Trump a sentirsi minacciato. Il pericolo di una simile interferenza è avvertito anche da chi ha a cuore la libertà di espressione. Un altro lettore mette in luce un punto cruciale: “Questa guerra è, e lo è sempre stata, contro la coscienza umana”. Le sue parole suonano come un avvertimento: quello che stiamo osservando non è solo una lotta tra forze politiche, ma una battaglia per il controllo della mente collettiva. L’informazione è potere, e chi controlla il flusso di informazioni può modellare la percezione della realtà.
Un’imperdibile collusione: Hollywood, politica e dark money
C’è un altro elemento, meno apparente ma altrettanto inquietante, che emerge dalle rivelazioni su McSweeney e il CCDH: il legame tra la politica, il mondo dell’intrattenimento di Hollywood e il cosiddetto dark money. Da quanto si evince dai documenti trapelati, una buona parte dei fondi del CCDH proviene da donatori segreti, tra cui alcune figure di spicco di Hollywood. La parte più scioccante di questa vicenda? Il fatto che dietro il CCDH ci siano star del calibro di Mark Ruffalo e la sua agente, Aleen Keshishian, che avrebbe donato oltre 1 milione di dollari per finanziare le attività dell’organizzazione.
Perché mai una star del cinema dovrebbe investire così tanto denaro in un’operazione di censura politica? La risposta risiede nel crescente legame tra i grandi del mondo dell’intrattenimento e le élite politiche di sinistra, entrambe motivate dal desiderio di mantenere il controllo del discorso pubblico e delle narrative culturali. Selena Gomez, un’altra cliente di Keshishian, sarebbe anch’essa una sostenitrice segreta del CCDH, contribuendo in modo significativo al suo budget milionario.
Questi dettagli dipingono un quadro allarmante: la censura non è solo un affare di politici e burocrati, ma coinvolge anche i colossi dell’intrattenimento, che vedono nella regolamentazione dei social media un modo per proteggere i loro interessi e mantenere la loro posizione di autorità morale. Secondo un commento postato su Racket News, la pubblicazione che ha contribuito a far emergere lo scandalo, “Hollywood sta usando il CCDH come leva per zittire chiunque critichi la loro agenda.” Un’affermazione pesante, ma che trova conferme nelle dinamiche di censura che già si sono viste in azioni mirate contro i giganti mediatici alternativi come Substack.
Un esempio è la campagna del CCDH contro Substack, accusata di ospitare figure come Alex Berenson e Dr. Joseph Mercola, noti critici della narrazione ufficiale sui vaccini contro il COVID-19. La reazione di Substack è stata inaspettata e coraggiosa: l’azienda ha essenzialmente detto al CCDH di “andare al diavolo”, rifiutandosi di rimuovere i contenuti incriminati. Ma non tutte le piattaforme hanno la stessa forza finanziaria e morale per resistere a questo tipo di pressioni.
McSweeney e la demolizione dei rivali politici: la formula inglese per il successo
Ciò che rende la figura di Morgan McSweeney così rilevante in questa vicenda non è solo la sua posizione strategica, ma il metodo con cui è riuscito a consolidare il potere per Keir Starmer nel Regno Unito. Il modus operandi di McSweeney è chiaro: attaccare i rivali politici con accuse di bigottismo, antisemitismo e, ovviamente, disinformazione. La sua abilità nel manovrare la comunicazione politica è stata lodata da molti osservatori, ma è stata altrettanto criticata come una forma subdola di eliminazione politica. In altre parole, non c’è spazio per il dibattito o il dissenso: chi non si allinea viene semplicemente fatto sparire dai radar.
Nel Regno Unito, McSweeney ha utilizzato queste tattiche per mettere a tacere le critiche provenienti dall’ala sinistra del Partito Laburista, in particolare quelle vicine a Jeremy Corbyn, con il risultato di un partito sempre più monolitico e allineato ai dettami neoliberali. Come sottolinea un commento di Paul Harper, che riflette una crescente sfiducia nel sistema, “Questa è una campagna di eliminazione delle voci dissidenti, travestita da lotta alla disinformazione. McSweeney sta replicando esattamente ciò che ha fatto nel Regno Unito, e lo sta esportando in America.” Una chiave di lettura interessante, che collega la situazione americana con quella britannica, dimostrando come le tattiche di censura non abbiano confini nazionali.
L’assalto alla libertà di espressione non si limita però solo alla sinistra o alla destra politica. I bersagli di McSweeney e del CCDH sono trasversali, andando a colpire chiunque non si conformi alle narrative politiche dominanti. In questo senso, le loro azioni assomigliano a quelle di un’operazione segreta volta a manipolare l’opinione pubblica in modo invisibile, agendo dietro le quinte mentre, in superficie, la retorica della difesa del “bene comune” maschera l’eliminazione delle voci alternative.
Il STAR Framework: un’agenda per la censura a livello globale?
Non possiamo comprendere appieno la portata di questo complotto senza esaminare il STAR framework, la vera arma segreta del CCDH. Questo schema normativo non è altro che un tentativo di imporre in America quello che già esiste in Europa: una regolamentazione draconiana dei contenuti digitali sotto la supervisione di autorità indipendenti, che avrebbero il potere di decidere quali contenuti siano dannosi e quali no. L’introduzione di questo sistema negli Stati Uniti rappresenterebbe un attacco senza precedenti al Primo Emendamento, ma per McSweeney e i suoi alleati, è la chiave per creare un mondo in cui la conversazione pubblica sia completamente controllata da pochi burocrati digitali.
I documenti trapelati mostrano chiaramente come il CCDH stia cercando di promuovere il STAR framework al Congresso, in collaborazione con legislatori come Amy Klobuchar. L’obiettivo non è semplicemente quello di regolamentare i contenuti, ma di mettere nelle mani di pochi il potere di decidere cosa possa essere detto e cosa debba essere censurato. Il parallelo con l’Europa è chiaro: come il Digital Services Act europeo impone regole severe sulle piattaforme digitali, così il STAR framework tenterebbe di fare lo stesso negli Stati Uniti, ma in un contesto dove la libertà di espressione è, teoricamente, più protetta.
Un lettore di Racket News sintetizza la questione con tagliente lucidità: “Se il STAR framework venisse adottato, il Primo Emendamento sarebbe letteralmente carta straccia. Non ci sarebbe più dibattito pubblico, ma solo un monologo controllato da chi decide cosa è sicuro e cosa non lo è.” E questo è il vero pericolo: non si tratta solo di mettere a tacere Elon Musk o Twitter, ma di erodere gradualmente i diritti fondamentali su cui si basa la democrazia americana.
Verso un nuovo totalitarismo digitale?
Le implicazioni di questa vicenda sono enormi. Se il CCDH, McSweeney, e i loro alleati americani riuscissero a imporre il loro modello di controllo dell’informazione, ci troveremmo di fronte a un nuovo tipo di totalitarismo, in cui il potere non è esercitato apertamente con la forza, ma attraverso il silenzio e la cancellazione. La censura non avverrebbe tramite arresti o persecuzioni fisiche, ma con la semplice rimozione dal discorso pubblico. E questo è, in un certo senso, ancor più pericoloso.
L’idea di un mondo in cui poche persone decidano cosa è vero e cosa è falso, cosa è sicuro e cosa è pericoloso, è una prospettiva che dovrebbe far rabbrividire chiunque abbia a cuore la libertà di pensiero. Tuttavia, come dimostrano i documenti del CCDH, questo è esattamente ciò che McSweeney e i suoi alleati stanno cercando di realizzare.
Il ruolo di Elon Musk: un ostacolo alla censura
Il fatto che il CCDH abbia messo Elon Musk al centro del suo mirino non è affatto casuale. Musk rappresenta un’anomalia nel panorama delle grandi piattaforme tecnologiche: un imprenditore che non solo ha il controllo di Twitter (ora X), ma che non si conforma alle regole non scritte imposte dalle élite politiche e mediatiche. Il suo approccio meno restrittivo alla moderazione dei contenuti lo ha reso un nemico naturale del CCDH e delle istituzioni che puntano a mantenere un controllo stretto sul discorso pubblico. Da quando Musk ha preso il controllo di Twitter, la piattaforma ha permesso un ritorno di utenti e contenuti che erano stati banditi sotto la precedente gestione, inclusi personaggi controversi come Donald Trump, una mossa che ha scatenato reazioni furiose nei circoli progressisti.
Il punto di frizione è chiaro: Musk difende la libertà di espressione come un diritto fondamentale, anche a costo di ospitare contenuti che potrebbero essere considerati offensivi o non conformi alle narrative dominanti. Questo è esattamente ciò che il CCDH e i suoi alleati non possono tollerare. La loro strategia è quindi semplice: se non possono controllare direttamente Twitter, allora devono distruggerlo. Da qui la campagna “Kill Musk’s Twitter”, che non è solo una frase ad effetto, ma un vero e proprio piano d’azione per erodere il potere della piattaforma.
Il primo passo di questo piano consiste nel colpire Twitter dal punto di vista finanziario, come hanno già fatto con altri bersagli. Come dimostrano i documenti trapelati, il CCDH ha orchestrato campagne per convincere gli inserzionisti a ritirare il loro supporto dalla piattaforma, minacciando di boicottarli pubblicamente se non si fossero conformati. Questa tattica, usata con successo contro piattaforme come The Federalist e Zero Hedge, cerca di soffocare le risorse economiche delle piattaforme non allineate, costringendole a cambiare rotta o, in alternativa, a sprofondare in una crisi finanziaria.
Un aspetto chiave è che Musk, a differenza di molte altre figure, ha la capacità economica e la determinazione per resistere a queste pressioni. Non è un CEO che può essere facilmente intimidito o manipolato dai grandi capitali pubblicitari. E proprio per questo, McSweeney e i suoi compari vedono in lui un nemico ancora più pericoloso. Se Twitter (o X) riuscisse a resistere a queste pressioni, rappresenterebbe un precedente disastroso per chi vorrebbe controllare il flusso di informazioni. La paura è che altre piattaforme, vedendo che Musk può sfuggire alla censura, possano seguire lo stesso percorso, indebolendo ulteriormente il potere delle élite.
La collaborazione transatlantica: un’agenda comune
Un’altra componente fondamentale di questo complotto riguarda la collaborazione tra le élite politiche britanniche e americane. L’intromissione del CCDH non è un’iniziativa isolata, ma fa parte di un piano più ampio, che coinvolge figure centrali della politica statunitense, come la già menzionata senatrice Amy Klobuchar. I documenti trapelati dimostrano che il CCDH ha tenuto ripetuti incontri con i membri del Congresso americano, durante i quali ha spinto per l’adozione del STAR framework — un quadro normativo che darebbe a un regolatore indipendente il potere di controllare e censurare i contenuti digitali su scala nazionale.
Questa stretta collaborazione tra McSweeney, il CCDH e alcuni membri del Partito Democratico evidenzia un allineamento ideologico transatlantico che non è certo nuovo, ma che in questo caso ha assunto un volto particolarmente inquietante. L’obiettivo comune è chiaro: eliminare qualsiasi piattaforma che non si conformi alle regole stabilite dalle autorità politiche, utilizzando come pretesto la lotta alla disinformazione e all’odio. Tuttavia, il confine tra protezione del pubblico e censura politica è sempre più sottile, e i documenti del CCDH lo dimostrano in maniera inequivocabile.
La domanda che emerge spontaneamente è: cosa guadagna il Regno Unito da tutto questo? Perché un’organizzazione britannica dovrebbe essere così interessata a influenzare il panorama digitale americano? La risposta potrebbe essere tanto semplice quanto cinica: il Regno Unito, sotto la guida del Partito Laburista di Keir Starmer, vede nella politica americana un modello da plasmare a sua immagine e somiglianza. Il desiderio di McSweeney di esportare la sua formula di successo — censura e delegittimazione degli avversari politici — in un contesto così cruciale come quello delle elezioni presidenziali americane dimostra una volontà espansionistica delle élite neoliberali britanniche.
Un pericolo globale: il totalitarismo digitale
Il vero pericolo di tutta questa vicenda non riguarda solo gli Stati Uniti. Quello che stiamo osservando è il tentativo di instaurare una forma di totalitarismo digitale su scala globale. Se le forze dietro il CCDH riuscissero nel loro intento, assisteremmo a un progressivo soffocamento della libertà di espressione, non solo in America, ma in tutto il mondo occidentale. Il modello che McSweeney e i suoi alleati stanno cercando di implementare non si limita a censurare singoli individui o gruppi, ma mira a costruire una nuova architettura del controllo dell’informazione, in cui poche figure politiche e burocratiche decidono cosa può essere detto e cosa no.
Questo approccio riflette una crescente tendenza nelle democrazie occidentali, dove la libertà di espressione viene progressivamente sacrificata in nome della “sicurezza” o della “protezione” dalle minacce digitali. Ma chi decide cosa costituisce una minaccia? E, soprattutto, chi controlla i controllori? Il STAR framework non è altro che un passo in più verso una regolamentazione totale del discorso pubblico, che potrebbe finire per eliminare completamente qualsiasi forma di dissenso.
Un commentatore su Racket News, che ha seguito da vicino lo sviluppo dello scandalo CCDH, ha scritto una frase emblematica: “Questa non è più democrazia. Questa è una forma di fascismo digitale, mascherata da progressismo.” E in effetti, quando il potere di decidere cosa è vero e cosa è falso, cosa è permesso e cosa è vietato, viene concentrato nelle mani di poche élite, non c’è altro modo per definire questa dinamica.
Verso una resistenza?
Nonostante la portata inquietante di questa vicenda, non tutto è perduto. L’esistenza di piattaforme come Racket News dimostra che c’è ancora una resistenza all’imposizione di questo nuovo ordine. L’emergere di queste rivelazioni ha scosso profondamente l’opinione pubblica, provocando un dibattito acceso su quale sia il futuro della libertà di espressione in America e nel resto del mondo. Le reazioni del pubblico, furibonde e indignate, indicano che c’è ancora chi è disposto a lottare per difendere il diritto a parlare, a dissentire, a pensare liberamente.
Anche lo stesso Elon Musk non sembra intenzionato a piegarsi. Le sue dichiarazioni pubbliche contro le pressioni politiche e i boicottaggi economici sono un chiaro segnale che il proprietario di Twitter è pronto a resistere a questo assalto coordinato. Musk, che ha già dimostrato di essere un imprenditore capace di sfidare lo status quo, potrebbe essere una delle poche barriere rimaste contro il dilagare di questo totalitarismo digitale. Tuttavia, la domanda rimane: quanto a lungo può resistere?
Il rischio della resa: le conseguenze della censura imposta
La resistenza di figure come Elon Musk, per quanto ammirevole, non è garantita per sempre. Il modello di censura digitale che il CCDH sta cercando di implementare è subdolo e pervasivo: non si basa su leggi draconiane apertamente imposte, ma sull’erosione progressiva della libertà, mascherata da nobili intenti come la protezione dalla disinformazione e dall’odio. Quella che sembra una battaglia tra un miliardario eccentrico e un gruppo di burocrati moralisti è in realtà un conflitto epocale per la libertà di espressione, il cui esito potrebbe ridefinire i confini del dibattito pubblico per le generazioni a venire.
Il pericolo più grande non è che Musk o altri imprenditori come lui cedano alle pressioni economiche, ma che il pubblico stesso accetti lentamente questo nuovo ordine senza rendersene conto. La strategia di attacco alle piattaforme alternative, basata sulla demonizzazione dei loro utenti e contenuti, ha già avuto successo in passato. In un mondo in cui la maggior parte delle persone ottiene le proprie informazioni attraverso un ristretto gruppo di piattaforme digitali, il rischio è che venga instaurato un pensiero unico, in cui le voci dissidenti non sono solo scoraggiate, ma attivamente eliminate.
L’interferenza del CCDH nel discorso politico non si limita a un attacco diretto contro Musk e Twitter, ma si estende al controllo delle narrazioni a livello globale. Questo è il punto focale che alcuni lettori hanno evidenziato nei loro commenti: il problema non è solo Musk o Twitter, ma un’intera struttura di potere che si sta consolidando attraverso la manipolazione dell’informazione. È in atto una lenta, ma efficace, omologazione del pensiero. E le persone che ne sono responsabili, come McSweeney, hanno affinato queste tecniche per anni, prima nel Regno Unito, e ora negli Stati Uniti.
La deriva del neoliberalismo tecnocratico
Un aspetto che non può essere ignorato in questa analisi è l’ideologia sottostante al progetto di McSweeney e del CCDH: il neoliberalismo tecnocratico. Questa corrente di pensiero, che domina gran parte delle istituzioni politiche e economiche occidentali, si basa sull’idea che le élite politiche e intellettuali siano le uniche a poter determinare cosa è giusto per il bene pubblico. La lotta alla disinformazione, dunque, diventa una scusa per imporre un controllo sempre più stringente sulle piattaforme digitali, presentato come un atto di protezione per la democrazia.
Ma in realtà, quello che stiamo vedendo è una forma di governo tecnocratico, dove il potere non è più esercitato attraverso il voto popolare o il dibattito pubblico, ma attraverso decisioni prese da una ristretta cerchia di esperti e burocrati, che decidono cosa è lecito e cosa è dannoso per la società. Il ruolo del CCDH in questo contesto è cruciale: è l’intermediario che permette a queste élite di manipolare il discorso pubblico senza sporcarsi direttamente le mani.
Il commento di Mike R, che ha parlato di una “guerra contro la coscienza umana”, riassume perfettamente questa dinamica. Il punto non è solo la censura di un contenuto o di un utente, ma il tentativo di plasmare la coscienza collettiva attraverso il controllo delle informazioni. È una battaglia per il controllo della percezione della realtà. E quando il pubblico non ha accesso a una pluralità di informazioni, ma solo a ciò che viene filtrato e approvato dalle autorità, non si può più parlare di una vera democrazia.
Le complicità nascoste: dalla Casa Bianca a Hollywood
Uno degli aspetti più preoccupanti emersi dalle rivelazioni è la stretta connessione tra il CCDH e vari settori dell’establishment politico e culturale americano. Come già accennato, la collaborazione tra il CCDH e la campagna di Kamala Harris ha sollevato serie preoccupazioni sull’uso delle tecniche di censura come strumento elettorale. Ma la questione va oltre la politica: la partecipazione attiva di figure di Hollywood come Mark Ruffalo e Selena Gomez dimostra che questa rete di influenze si estende fino ai vertici dell’industria culturale.
Hollywood, con il suo enorme potere mediatico, è da tempo un alleato delle forze progressiste negli Stati Uniti. Ma l’impegno delle star in una campagna di censura organizzata come quella del CCDH solleva interrogativi su quanto lontano si spingeranno queste figure per proteggere la loro posizione di influenza. L’industria dell’intrattenimento, sempre più politicizzata, sta contribuendo attivamente a modellare le narrative che dominano il discorso pubblico, e lo sta facendo utilizzando le stesse tattiche di censura e demonizzazione che hanno portato al silenziamento di intere piattaforme.
Un lettore ha osservato con preoccupazione che Hollywood sembra utilizzare il CCDH come “leva” per controllare il dibattito pubblico, eliminando qualsiasi critica o narrazione alternativa che potrebbe minacciare la loro egemonia culturale. Questo porta a una domanda cruciale: quante delle iniziative “progressiste” promosse dalle celebrità e dalle élite culturali sono in realtà strumentalizzate per consolidare un potere invisibile, che si estende ben oltre lo schermo cinematografico?
Il futuro delle elezioni americane e il ruolo della censura
Guardando alle elezioni presidenziali del 2024, è difficile ignorare l’impatto che la censura digitale avrà sul processo democratico. La collaborazione tra il CCDH e il Partito Democratico, in particolare con la campagna di Kamala Harris, suggerisce che questa strategia di controllo dell’informazione non sarà un fenomeno temporaneo, ma diventerà una caratteristica permanente delle elezioni future. Se il CCDH riuscirà a imporre il STAR framework o altre forme di regolamentazione draconiana sui social media, il futuro delle elezioni americane potrebbe essere caratterizzato da una manipolazione sistematica del discorso pubblico.
Il pericolo è che, sotto il pretesto di combattere la disinformazione, si arrivi a un punto in cui qualsiasi critica alle élite politiche venga classificata come “dannosa” o “pericolosa”. A quel punto, l’elezione non sarà più una scelta tra candidati con visioni diverse, ma una farsa in cui solo una narrativa verrà autorizzata a circolare.
Come scrive Paul Harper, “Questa non è più una lotta contro l’odio o la disinformazione, ma una guerra contro la democrazia stessa”. Le sue parole riflettono una preoccupazione crescente tra coloro che hanno osservato il progressivo restringimento dello spazio per il dibattito libero negli ultimi anni. Se l’elezione del 2024 si svolgerà in un contesto in cui le piattaforme sociali sono completamente sotto il controllo delle autorità governative, possiamo davvero parlare di una democrazia?
Un futuro incerto per la libertà di espressione
Alla fine, la vera domanda è: fino a che punto siamo disposti a sacrificare la libertà di espressione in nome della sicurezza e della protezione dalla disinformazione? Se permettiamo che la censura digitale diventi la norma, come sta cercando di fare il CCDH, rischiamo di perdere non solo la capacità di esprimere opinioni alternative, ma anche la capacità di pensare liberamente. Questo non è solo un problema di Musk o di Twitter, ma una questione esistenziale per il futuro delle nostre società democratiche.
L’assalto alla libertà di parola, travestito da lotta contro l’odio, è una delle sfide più grandi che la nostra generazione dovrà affrontare. Se non agiamo ora per difendere il diritto al dissenso, rischiamo di svegliarci in un mondo in cui le voci indipendenti sono state messe a tacere, e il dibattito pubblico è diventato un monotono coro di approvazione per chi detiene il potere.
Forse non abbiamo ancora visto il culmine di questo conflitto, ma una cosa è certa: la battaglia per la libertà di espressione è appena cominciata. E se non ci rendiamo conto di quanto sia in gioco, potremmo non accorgerci nemmeno quando la perdiamo del tutto.
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