La detenzione degli immigrati negli Stati Uniti

Il conduttore di Last Week Tonight, John Oliver, analizza la campagna di Trump per la "più grande operazione di deportazione" e le condizioni pericolose dei centri di detenzione per immigrati.

John Oliver non si limita a criticare: affonda il coltello nella piaga. Il sistema di detenzione degli immigrati negli Stati Uniti è una vergogna mondiale, ma a quanto pare a nessuno dei diretti interessati importa davvero.

Il conduttore di Last Week Tonight smonta pezzo per pezzo la narrazione trumpiana sui rimpatri di massa e i raid dell’ICE, l’agenzia federale per l’immigrazione. Trump li ha messi al centro della sua presidenza e ora promette quella che definisce “l’operazione di deportazione più grande della storia americana”. Come se fosse una conquista.

Il problema è che, per realizzarla, non sa neppure dove mettere tutta questa gente. Così è partita la pesca a strascico per trovare luoghi di detenzione: Costa Rica, Panama, Guantánamo Bay. Proprio il carcere offshore simbolo dell’arbitrio legale, quello che Oliver definisce “un buco nero giuridico dove la Costituzione va a morire”. Ma anche lì i posti scarseggiano e, nel frattempo, l’unica opzione rimane quella di stipare i migranti nei centri di detenzione americani, che lo scorso anno hanno ‘ospitato’ 260.000 persone.

La legge dice che la detenzione “non deve essere una punizione”, ma Oliver liquida questa ipocrisia con una battuta: è come dire che “l’oceano non è bagnato o che il film Wicked non durava almeno mezz’ora di troppo”.

Dalla Casa Bianca provano a difendere l’indifendibile. La portavoce di Trump sostiene che tutti questi immigrati sono “criminali”, ma, dettaglio trascurabile per l’amministrazione, essere irregolari è una violazione civile, non un reato penale. Oliver ribatte con un colpo basso: “Trump dovrebbe saperlo, lui li ha commessi entrambi”.

Il 50% di chi si trova nei centri di detenzione sta semplicemente chiedendo asilo. E il trattenimento dovrebbe essere usato solo in casi estremi, dato che la maggioranza dei migranti si presenta regolarmente alle udienze. Invece, gli Stati Uniti hanno trasformato questo sistema in un colosso della reclusione amministrativa, il più grande del mondo. Un primato da Guinness dell’orrore.

La permanenza media è di 44 giorni, ma molti restano per oltre un anno, senza una data certa di rilascio. E la parte più grottesca? Il 90% delle strutture è in mano a compagnie private, che fanno affari d’oro con il business della disperazione. L’ICE subappalta a loro il ‘problema’, e le società incassano senza dover rendere conto a nessuno.

Funziona alla grande. Per loro. Molto meno per chi finisce dentro. I centri sono spesso in zone remote, lontane da avvocati e da occhi indiscreti. La trasparenza è un concetto inesistente: chi gestisce queste strutture decide cosa si può vedere e cosa no.

E non finisce qui. I detenuti devono cucinare e pulire da soli, venendo pagati fino a… un dollaro al giorno. Un’offerta irrifiutabile, perché chi rifiuta può vedersi negare il cibo o finire in isolamento. Oliver snocciola i numeri: in cinque anni, l’isolamento è stato usato 14.000 volte. Alcuni ci sono rimasti per 27 giorni, ben oltre il limite di 15 giorni stabilito dall’ONU, oltre il quale si parla ufficialmente di tortura.

Nel 2024, 70 immigrati sono morti nei centri di detenzione. E il 95% dei decessi poteva essere evitato, se solo l’ICE avesse fornito cure adeguate. Ma a chi interessa?

Oliver mostra il video di un ex direttore dell’ICE che si chiede: “Perché siamo in questo business?”. La risposta arriva secca: “Il fatto che sia un business è parte del problema”.

Lo è. E sotto Trump sarà peggio. Ha già ampliato ulteriormente la detenzione obbligatoria, senza preoccuparsi di alternative.

“Dal punto di vista federale, per i prossimi anni siamo fottuti”, dice Oliver, senza giri di parole. Ma alcuni stati stanno provando a mettere qualche argine, vietando la privatizzazione dei centri.

“Il governo Trump farà di tutto per essere il più spietato possibile nei prossimi quattro anni” conclude. “Dovremo reagire con tutta la forza possibile a livello statale e locale contro chi usa una popolazione vulnerabile come merce di scambio politico”.

E nel frattempo, l’industria della detenzione privata continua a macinare profitti. Perché quando la giustizia diventa un affare, la disumanità è solo una voce di bilancio.

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