Nell’ultimo decennio, il mondo ha assistito a una trasformazione profonda e accelerata nei rapporti di forza geopolitici ed economici. Da una parte, l’Occidente, storicamente dominato dalle potenze del G7, sembra avviarsi verso un progressivo declino, segnato da una crescita economica stagnante, divisioni interne e un’incapacità di adattarsi ai cambiamenti globali. Dall’altra, i BRICS+ – una coalizione di economie emergenti come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, a cui si sono recentemente uniti paesi come Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto ed Etiopia – stanno rapidamente guadagnando terreno. Le previsioni economiche per il 2024 tracciate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) sono lampanti: i paesi BRICS+ crescono a ritmi sostenuti, mentre i membri del G7 arrancano, evidenziando un futuro in cui l’Occidente potrebbe non essere più al centro del potere globale.
I numeri della crescita economica: il divario tra BRICS+ e G7
Le previsioni del FMI per il 2024 parlano chiaro: i paesi BRICS+ sono destinati a registrare tassi di crescita economica ben superiori a quelli del G7. La Cina, con una crescita del PIL reale stimata al 4,6%, e l’India, che si appresta a raggiungere un impressionante +6,8%, continuano a spingere l’economia globale in avanti. A queste due superpotenze emergenti si aggiungono paesi come Etiopia (+6,2%), Emirati Arabi Uniti (+3,5%) e Iran (+3,3%), che riflettono una vitalità economica diffusa nel Sud globale. Anche la Russia, che nonostante le sanzioni continua a mantenere una crescita prevista al +2,8%, dimostra la resilienza di questi paesi nel contesto attuale.
Al contrario, i paesi del G7 sembrano bloccati in una spirale di stagnazione. Gli Stati Uniti, pur registrando una crescita modesta del +2,7%, non riescono a mantenere il ritmo dei BRICS+, mentre economie come quella tedesca (+0,2%) e britannica (+0,5%) sembrano ormai sull’orlo di una recessione cronica. Paesi come l’Italia (+0,7%) e il Giappone (+0,9%) non fanno eccezione, dimostrando una difficoltà generalizzata a rilanciare le proprie economie. La differenza tra i due blocchi è evidente e rappresenta un segnale inequivocabile che la centralità economica e politica del G7 sta venendo rapidamente meno.
I BRICS+ e la de-dollarizzazione: un sistema economico autonomo
Uno dei temi più significativi e strategici che stanno emergendo nei rapporti tra BRICS+ e G7 è il processo di de-dollarizzazione. Per decenni, il dollaro è stato la valuta dominante nelle transazioni globali, conferendo agli Stati Uniti un potere economico e geopolitico senza precedenti. Questo ha permesso a Washington di esercitare un controllo sugli scambi internazionali, con strumenti quali sanzioni, embargo e restrizioni finanziarie per punire i paesi che si discostano dalle politiche volute dagli Stati Uniti.
Durante il recente vertice BRICS a Kazan, la questione della de-dollarizzazione ha assunto un ruolo centrale. Il blocco BRICS+ ha discusso dell’introduzione di nuovi meccanismi di pagamento alternativi, e persino di una valuta comune, in grado di liberare i paesi emergenti dalla dipendenza dal dollaro. Il discorso di Vladimir Putin, in particolare, ha sottolineato come il dollaro sia diventato uno strumento di coercizione economica, utilizzato per destabilizzare intere nazioni. La Russia, che continua a subire sanzioni economiche, è diventata un esempio di resistenza a queste pressioni, cercando attivamente alternative economiche che non facciano leva sulla valuta statunitense.
La proposta di creare una piattaforma d’investimento BRICS per sostenere le economie emergenti e una borsa dei cereali per garantire la sicurezza alimentare, rappresentano iniziative concrete che segnano un distacco progressivo dalle istituzioni finanziarie dominate dall’Occidente. La creazione di una borsa dei cereali, in particolare, avrebbe effetti rilevanti per i paesi in via di sviluppo, che attualmente dipendono dai mercati occidentali per l’importazione di beni primari. Questo strumento consentirebbe di ridurre le disuguaglianze globali e rendere le economie emergenti meno vulnerabili alle fluttuazioni imposte dalle potenze occidentali.
BRICS+: un’alternativa all’egemonia del G7
I BRICS non sono più un progetto in fase di sviluppo, ma una realtà consolidata che sta assumendo proporzioni sempre più influenti. L’allargamento del gruppo a paesi come Iran, Egitto ed Emirati Arabi Uniti non è solo un’espansione geografica, ma una dichiarazione politica. Questi paesi non vogliono più essere subalterni a un sistema internazionale che li ha esclusi dai processi decisionali globali per troppo tempo. Il sostegno dei BRICS all’ingresso della Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite è un chiaro esempio di come questo blocco non sia interessato solo alla crescita economica, ma anche a promuovere una visione del mondo multipolare e più equa.
La questione palestinese è stata a lungo trascurata dall’Occidente, dove spesso ha prevalso il pragmatismo politico rispetto ai diritti dei popoli. Tuttavia, la decisione dei BRICS di sostenere la Palestina va oltre la retorica diplomatica: si tratta di una sfida diretta all’egemonia occidentale e al suo controllo sulle organizzazioni internazionali. Il riconoscimento della Palestina all’ONU, se mai avverrà, non cambierà solo la situazione nel Medio Oriente, ma potrebbe segnare una svolta più ampia nei rapporti di forza globali.
In questo contesto, non si può ignorare che i BRICS stanno costruendo un’alternativa al G7 in quasi tutti i settori. Non solo nell’ambito economico, con la creazione di nuovi meccanismi di pagamento e valute alternative, ma anche politico, attraverso un dialogo costante tra paesi emergenti e in via di sviluppo. La cooperazione tra i BRICS, basata su un modello di governance meno gerarchico rispetto a quello del G7, è una delle chiavi del loro successo. I paesi BRICS+ non cercano di imporre la propria visione al resto del mondo, ma stanno lavorando per costruire un sistema internazionale più inclusivo.
Le debolezze del G7: stagnazione e declino economico
Se i BRICS stanno crescendo, il G7, d’altro canto, appare sempre più prigioniero delle proprie debolezze strutturali. Le previsioni di crescita economica del FMI per il 2024 sono sconfortanti per molti paesi occidentali. La Germania, con una crescita stimata dello 0,2%, rappresenta l’esempio più evidente di come l’Europa sia ormai entrata in una fase di stagnazione prolungata. La crisi energetica, l’aumento dell’inflazione e la mancanza di innovazione sono solo alcuni dei fattori che stanno affossando l’economia tedesca, un tempo locomotiva dell’UE. Anche il Regno Unito, con una crescita dello 0,5%, si trova in una situazione di declino post-Brexit, incapace di riposizionarsi efficacemente sullo scacchiere globale.
Le difficoltà non riguardano solo l’Europa. Gli Stati Uniti, nonostante una crescita prevista del 2,7%, continuano a lottare con problemi interni come il debito pubblico crescente, le disuguaglianze sociali e un sistema politico profondamente polarizzato. Il modello neoliberale, che ha guidato la crescita occidentale per decenni, sembra ormai incapace di rispondere alle sfide del XXI secolo. La pandemia di COVID-19 ha messo in luce le fragilità strutturali delle economie del G7, rivelando un’incapacità di reagire rapidamente e in modo efficace alle crisi globali.
Il ruolo della Turchia: un ponte tra Occidente e BRICS
Un altro elemento chiave in questo nuovo ordine mondiale è il ruolo della Turchia, paese membro della NATO ma che da anni cerca di tracciare una rotta indipendente dalle tradizionali alleanze occidentali. La recente domanda di adesione ai BRICS avanzata da Ankara durante il vertice di Kazan rappresenta un passo decisivo per Erdogan, che negli ultimi anni ha coltivato relazioni sempre più strette con Mosca e Pechino. Questo avvicinamento ai BRICS, tuttavia, non è esente da tensioni. Ogni qualvolta la Turchia si è spinta troppo lontano dalle linee tracciate dagli Stati Uniti e dalla NATO, ha subito destabilizzazioni interne e attacchi terroristici, come l’ultimo attentato all’agenzia aerospaziale ad Ankara.
L’Occidente guarda con sospetto a questo crescente avvicinamento della Turchia ai BRICS, vedendo nella mossa di Erdogan una minaccia alla coesione della NATO e alla stabilità nel Mediterraneo. Tuttavia, la realtà è che Ankara non può più essere considerata un alleato incondizionato dell’Occidente. Erdogan sta cercando di posizionare la Turchia come un attore autonomo sulla scena globale, e l’adesione ai BRICS potrebbe fornirgli nuovi strumenti economici e politici per rafforzare la propria posizione.
La ffida del mondo multipolare
La competizione tra BRICS e G7 non è solo una questione di crescita economica o di politica monetaria. È una battaglia per l’anima dell’ordine mondiale. Da un lato, i BRICS rappresentano una visione del mondo che rifiuta le logiche colonialiste e imperialiste dell’Occidente, basandosi su un modello di cooperazione tra pari e su una governance meno gerarchica. Dall’altro, il G7 continua a promuovere un sistema internazionale che mantiene le disuguaglianze globali e si fonda sulla supremazia delle potenze occidentali.
Questa lotta tra due visioni contrapposte è destinata a plasmare il futuro dell’ordine mondiale nei prossimi decenni. Se il G7 non riuscirà a riformarsi e ad accettare il passaggio a un sistema multipolare, rischia di essere relegato a un ruolo marginale nelle future decisioni globali. I BRICS, con la loro crescita economica, il loro peso politico e la loro capacità di attrarre nuovi membri, sono già in procinto di ridefinire le regole del gioco.
Il vertice di Kazan potrebbe essere ricordato come il momento in cui il mondo ha iniziato a riconoscere che la supremazia occidentale non è più inevitabile. I BRICS stanno costruendo un nuovo ordine mondiale, e il G7 deve decidere se adattarsi o soccombere. La partita è ancora aperta, ma il tempo per l’Occidente si sta rapidamente esaurendo. Se non accetterà la realtà di un mondo in cui non è più il protagonista indiscusso, rischia di assistere al proprio declino irreversibile, mentre i BRICS continuano a crescere e a plasmare il futuro dell’economia globale.