La giornata nera di Wall Street e le conseguenze sull’economia globale

La giornata sui mercati si è chiusa con un segnale chiaro: le politiche commerciali dell’amministrazione Trump stanno avendo un impatto immediato e devastante sulla fiducia degli investitori.

L’economia americana nel vortice del protezionismo

di Giulio Ravera

La giornata di ieri potrebbe passare alla storia come il momento in cui i mercati hanno smesso di illudersi su Trump 2.0. Dopo settimane di volatilità contenuta e tentativi di minimizzare l’impatto delle nuove tariffe, la realtà ha presentato il conto: l’S&P 500 ha perso l’1,2%, cancellando di fatto tutti i guadagni post-elettorali, mentre il Bloomberg Dollar Index ha subito la peggiore flessione dai giorni successivi all’insediamento. Il messaggio è chiaro: la Casa Bianca non è intenzionata a fermarsi, e gli investitori iniziano a scontare il rischio di una recessione autoindotta.

Le misure annunciate ieri non lasciano spazio a interpretazioni: tariffe del 25% su tutte le importazioni da Canada e Messico, raddoppio dei dazi sui prodotti cinesi al 20%. Il risultato è stato immediato: vendite su tutto il comparto manifatturiero, crollo delle azioni delle principali case automobilistiche e segnali di stress sul mercato obbligazionario. Il rendimento del Treasury decennale ha inizialmente toccato un minimo del 4,10%, segno che gli investitori cercano rifugio, mentre la curva dei rendimenti si è ulteriormente invertita, prezzando un rallentamento della crescita.

Il settore automobilistico è tra i più colpiti. General Motors e Ford hanno chiuso rispettivamente a -1,7% e -0,9%, mentre Tesla ha ceduto il 3,6%. Il motivo è semplice: l’80% delle componenti auto importate dagli Stati Uniti proviene da Canada e Messico. Questi dazi non riportano la produzione in patria, ma fanno lievitare i costi di produzione, con il rischio di una spirale inflattiva che colpirà i consumatori proprio quando il potere d’acquisto sta già calando.

Anche il retail lancia l’allarme. Brian Cornell, CEO di Target, ha dichiarato che gli americani vedranno aumenti di prezzo su “una vasta gamma di prodotti, dalla frutta all’elettronica, già nei prossimi giorni”. Walmart, dal canto suo, ha evidenziato segnali di stress finanziario tra i consumatori, con sempre più famiglie che esauriscono i risparmi prima della fine del mese. L’analisi è confermata dal balzo dei rendimenti sui bond high-yield, segno che gli investitori vedono un aumento del rischio di credito tra le aziende più esposte ai consumi interni.

Nel settore energetico, i trader iniziano a prezzare un aumento del prezzo del carburante. Il 10% di dazi sul petrolio canadese porterà a un incremento stimato tra 20 e 40 centesimi al gallone nei prossimi due mesi, con impatti diretti su logistica, trasporto e inflazione.

Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. Justin Trudeau ha definito i dazi statunitensi “una dichiarazione di guerra economica”, annunciando tariffe ritorsive da 25% sull’energia esportata negli Stati Uniti e restrizioni sugli appalti pubblici per le aziende americane. Il premier dell’Ontario, Doug Ford, ha minacciato di interrompere l’export di elettricità verso Minnesota, Michigan e New York, tre stati chiave che potrebbero subire blackout parziali se il conflitto commerciale dovesse degenerare.

Il Messico, più cauto, ha evitato un’escalation immediata, con la presidente Claudia Sheinbaum che ha annunciato misure di ritorsione per domenica. Tuttavia, il peso messicano ha chiuso la giornata con una perdita dell’1,5%, segnale che i mercati si aspettano una risposta decisa da parte di Città del Messico.

Anche la Cina ha reagito. Oltre a inserire dieci aziende statunitensi nella blacklist commerciale, ha imposto dazi mirati su prodotti agricoli americani, cercando di colpire settori cruciali per la base elettorale di Trump. “Stiamo valutando ulteriori misure”, ha dichiarato un portavoce del Ministero del Commercio di Pechino, lasciando intendere che il peggio potrebbe ancora venire.

Gli analisti iniziano a rivedere al ribasso le stime di crescita. Secondo BMO Capital Markets, il PIL degli Stati Uniti potrebbe subire un taglio di almeno 0,4 punti percentuali nel 2025, mentre l’inflazione core PCE, l’indicatore chiave monitorato dalla Fed, potrebbe salire al 2,7%, rispetto al 2,4% atteso prima dei dazi.

Parallelamente, i futures sui Fed Funds prezzano ora tre tagli dei tassi per il 2025, segnale che il mercato vede un rallentamento economico tale da costringere la Federal Reserve a intervenire.

Kathy Bostjancic, capo economista di Nationwide, sintetizza così la situazione: “L’impatto dei dazi va oltre i meri numeri: sta erodendo la fiducia di imprese e consumatori. Il rischio è che questo freni gli investimenti e i consumi, con conseguenze negative a cascata sull’occupazione e sulla crescita”.

Il protezionismo di Trump ha sempre avuto una componente politica. Con le elezioni del 2028 già in vista, la sua amministrazione punta a consolidare il consenso tra gli elettori della Rust Belt, presentando le tariffe come una difesa della manifattura americana. Tuttavia, i primi effetti economici suggeriscono che questa strategia potrebbe avere un effetto boomerang.

Se l’obiettivo era riportare la produzione negli Stati Uniti, la realtà è che le aziende stanno già cercando vie alternative per evitare l’impatto delle tariffe. Stanley Black & Decker ha annunciato una strategia per ridurre a “quasi zero” le importazioni dalla Cina, mentre i produttori automobilistici stanno valutando fornitori europei e asiatici.

Nel frattempo, il malcontento cresce tra gli alleati di Washington. L’Europa osserva con attenzione, consapevole che dopo Messico, Canada e Cina potrebbe essere la prossima a finire nel mirino di Trump. Se gli Stati Uniti dovessero effettivamente imporre dazi del 25% sulle importazioni dall’UE, il rischio di una guerra commerciale su scala globale diventerebbe sempre più concreto.

Il messaggio arrivato dai mercati è inequivocabile: la fiducia sta calando, e gli investitori iniziano a temere che l’amministrazione Trump stia giocando una partita pericolosa.

La Casa Bianca continuerà su questa linea, ignorando il malumore di Wall Street, delle aziende e dei partner internazionali? Oppure assisteremo a un parziale dietrofront, magari con qualche concessione tattica a Canada e Messico per evitare il peggio?

Per ora, la sensazione è che Trump stia tirando la corda, confidando nel fatto che gli effetti più gravi di queste misure si faranno sentire solo nei prossimi mesi, quando la sua rielezione sarà ormai consolidata. Ma se la giornata di ieri è stata un’anticipazione di ciò che verrà, i mercati potrebbero non avere la pazienza di aspettare.

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