Opinioni

Tajani e l’Italia al servizio di Netanyahu: silenzio, armi e sostegno al genocidio

di Alessandro Orsini Oggi Antonio Tajani, il braccio destro di Netanyahu in Europa, è chiuso a nel suo ufficio. Si sta scervellando per capire quale altra decisione dovrà prendere per aiutare Netanyahu nel genocidio del popolo palestinese. Se il sistema dell’informazione in Italia non fosse corrotto dalla testa ai piedi, Tajani verrebbe continuamente criticato per la sua condotta inqualificabile contro i bambini palestinesi. Ma questo non accade perché l’informazione sulla politica internazionale in Italia funziona come nelle dittature. La sua funzione è di coprire le malefatte dei governanti invece di denunciarle. Il 28 ottobre 2023, quando Netanyahu radeva al suolo Gaza, Tajani si è rifiutato di votare in favore di una tregua umanitaria all’Onu per interrompere i bombardamenti. In quell’occasione, Tajani ha dichiarato, per bocca dell’ambasciatore italiano all’Onu: “Sempre solidali con Israele; la sicurezza d’Israele non è negoziabile”. A dicembre 2023 e gennaio 2024, Tajani ha dato a Netanyahu bombe, granate, siluri, mine, missili, cartucce e altre munizioni, proiettili e loro parti, per un valore di 730.869,5 euro a dicembre 2023, quasi raddoppiati a 1.352.675 euro a gennaio 2024. L’11 gennaio 2024, quando la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha avviato il processo contro Israele per genocidio, Tajani si è schierato al fianco di Netanyahu contro il Sudafrica. Il 10 maggio 2024 Tajani si è rifiutato di votare in favore di un seggio a pieno titolo per lo Stato palestinese all’Onu. Il 19 maggio 2024, quando il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha chiesto un mandato d’arresto contro Netanyahu, Tajani ha definito la richiesta “del tutto inaccettabile”. Il 19 settembre 2024 Tajani si è rifiutato di votare in favore di una risoluzione Onu che chiede a Israele di porre fine all’occupazione dei territori palestinesi. Una delle attività principali di Tajani consiste nel fare pressioni per impedire qualunque indagine sui crimini di Netanyahu a Gaza. Nell’ultimo MeD9 a Cipro, l’11 ottobre 2024, Meloni e Tajani sono riusciti a impedire l’inserimento di un brano contro la vendita di armi a Israele – sollecitato da Macron e Sanchez – nella nota con cui Francia, Italia e Spagna hanno condannato l’attacco israeliano contro Unifil in Libano. Il 22 ottobre 2024 a Gerusalemme, quando i palestinesi uccisi erano 43.000, Tajani ha incontrato Netanyahu che ha dichiarato: “Il bombardamento di Gaza è necessario per difendere il diritto d’Israele a difendersi”. Tajani ha detto: “Ho assicurato [a Netanyahu] il sostegno dell’Italia al diritto di Israele di difendersi”. Tajani si è sempre opposto a qualunque sanzione o misura punitiva contro Netanyahu. Tajani è il braccio destro di Netanyahu in Europa. Parla di “campagne d’odio” mentre sostiene un governo radicato nell’odio e nel razzismo. Ben Gvir, ministro della sicurezza nazionale, è un ammiratore del terrorista Baruch Goldstein, il colono autore della strage contro la moschea di Hebron del 25 febbraio 1994. Ben Gvir ha sfoggiato la gigantografia di Goldstein nel salone della sua abitazione per anni. Tutte le decisioni assunte da Tajani a Palazzo Chigi, all’Onu e nell’Unione europea non lasciano dubbi sulla sua opposizione alla nascita dello Stato di Palestina per compiacere Netanyahu.

Complicità sul campo: l’Italia si piega a Israele anche durante la farsa della partita

Il vero scandalo non è stato il fischio d’inizio della partita Italia-Israele, ma il vergognoso teatrino messo in scena dall’Italia, che si è rivelata disposta a chiudere entrambi gli occhi pur di non perdere una comoda posizione di servilismo. Mentre in Medio Oriente si consuma uno dei capitoli più sanguinosi della storia recente, con migliaia di civili uccisi, molti dei quali bambini, il governo italiano sceglie di stringere mani insanguinate e fare affari con chi quelle morti le ha provocate. Non ci sono giustificazioni, solo ipocrisia travestita da pragmatismo politico. Alberto Rimedio, al microfono della RAI, ha pensato bene di “non stigmatizzare”. Un gesto di codardia travestito da imparzialità, un tentativo maldestro di evitare una presa di posizione chiara mentre la realtà imponeva tutt’altro. Ma cosa c’è da non stigmatizzare in un Paese che ha portato avanti una campagna di sterminio sistematico, che in un solo anno ha causato la morte di oltre 43.000 persone, di cui un terzo bambini? Forse si pensa che, commentando una partita di calcio, si possa ignorare la guerra, ma ignorarla non significa farla sparire. Il sangue resta lì, visibile anche fuori dallo stadio. Israele non è un Paese come gli altri, non si può ignorare la sua condotta. Eppure, mentre altrove si chiederebbe giustizia, l’Italia si dimostra pronta a far finta di niente, a voltare la testa dall’altra parte in nome di interessi economici e di alleanze geopolitiche. Fischi? Non sono abbastanza. Israele non merita di essere fischiato, ma condannato e isolato. È impensabile che un Paese responsabile di tali crimini possa continuare a partecipare a competizioni internazionali, sportive o di altro genere. Ma il mondo, e in particolar modo l’Italia, sembra più che disposto a chiudere gli occhi, a sacrificare la morale sull’altare del potere. Il problema non è solo sportivo, ovviamente. È molto più ampio e riguarda la scelta deliberata di un governo di schierarsi dalla parte sbagliata della storia. Giorgia Meloni, che ama esibirsi come “madre cristiana”, sembra più preoccupata di mantenere il suo ruolo sulla scena internazionale che di difendere i valori che tanto sbandiera. Il suo sorriso mentre stringe la mano di Netanyahu, come se nulla fosse, è un’offesa non solo per chi crede nella giustizia, ma anche per quei bambini che hanno perso la vita sotto le bombe israeliane. Nessuna croce al collo potrà mai redimere quella complicità. La questione, tuttavia, non riguarda solo la politica, ma anche l’informazione. La RAI, con la sua decisione di trasmettere la partita e il modo in cui è stata commentata, ha dimostrato una volta di più quanto profondamente sia compromessa la sua imparzialità. Rimedio non è stato un telecronista neutrale, è stato un complice del silenzio. Un silenzio che fa rumore, che grida l’assenza di coraggio, la mancanza di etica, l’ipocrisia di un’informazione che si è ridotta a megafono di interessi superiori. Non si può commentare una partita tra Italia e Israele come se fosse un evento sportivo qualsiasi, non quando le strade di Gaza sono macchiate dal sangue dei suoi abitanti. La vergogna non è limitata al governo o alla stampa, ma investe anche una parte degli italiani che preferisce restare in silenzio, complice di un sistema che premia chi uccide e punisce chi resiste. Non ci sono scuse per chi, in nome di un finto pragmatismo, sceglie di non prendere posizione. L’indifferenza è una forma di colpevolezza. Eppure, molti sembrano più preoccupati di non disturbare gli equilibri del potere che di difendere i valori di umanità e giustizia. Israele continua a massacrare, e l’Italia continua a far finta di niente. L’impunità di cui gode Israele a livello internazionale è uno schiaffo in faccia a chiunque creda nella giustizia. La Russia è stata esclusa da ogni competizione sportiva per l’invasione dell’Ucraina, ma Israele partecipa tranquillamente a eventi internazionali senza subire alcuna conseguenza per le sue azioni. Qual è la differenza? Perché due pesi e due misure? La risposta è semplice: Israele è protetta da alleati potenti, come gli Stati Uniti, e da un’Europa debole, che non osa opporsi. L’Italia, ovviamente, non fa eccezione e si allinea docilmente a questa linea di condotta vergognosa. Mentre Gaza continua a essere bombardata, mentre le case vengono rase al suolo e le famiglie cancellate, l’Italia si preoccupa di apparire “responsabile” agli occhi dei potenti. Il governo Meloni non solo non condanna Israele, ma lo supporta indirettamente, stringendo accordi commerciali e militari che fanno solo da carburante a una macchina di morte. Questo governo, che tanto si vanta di difendere i “valori cristiani”, ha perso ogni credibilità. È difficile immaginare come Meloni possa guardare negli occhi sua figlia, sapendo che ha stretto la mano di un uomo responsabile di uccisioni di massa. Il problema, però, non è solo di chi governa. È di tutti noi. Gli italiani, un tempo pronti a scendere in piazza per difendere i diritti e la libertà, sembrano oggi indifferenti a ciò che accade nel mondo. Dove sono finite le proteste? Dove è finita quella coscienza collettiva che rifiutava l’ingiustizia? Siamo diventati un popolo anestetizzato, che si accontenta di seguire le partite in TV, mentre altrove si consumano massacri in nome della “sicurezza” e della “legittima difesa”. Ma questa difesa è legittima solo per chi ha il potere di dettare le regole. Non è troppo tardi per invertire la rotta. Il silenzio, però, non è più un’opzione. Ogni giorno che passa senza una presa di posizione è un giorno in cui ci rendiamo complici di ciò che accade. Israele deve essere condannato per i suoi crimini, e l’Italia deve smettere di prostrarsi davanti a interessi che vanno contro ogni principio di umanità. Se vogliamo ancora definirci una nazione civile, è ora di alzare la voce, di reagire, di chiedere giustizia per chi non ha voce. Oggi è il momento di decidere da che parte stare. Non possiamo più fingere di non vedere. Ogni stretta di mano, ogni sorriso diplomatico, ogni parola non detta è una scelta di campo. E l’Italia, con il suo silenzio, ha già scelto.

La Supergiùliola | di Marco Travaglio

di Marco Travaglio Tutti sanno con quale trasporto seguiamo Alessandro Giuli nella sua resistibile ascesa politica (dal Foglio al museo Maxxi al ministero della Cultura), accademica (l’esame di Teoria delle dottrine teologiche, 30 sine laude) e pure tricologica (i favoriti alla Asimov). Ma ci era sfuggita la sua audizione alla Camera, dove ha illustrato da par suo le linee guida della Cultura nell’Era Post-Sangiuliana: un prezioso scampolo di prosa recitata che dobbiamo al collega collezionista Felice Florio di Open ed è già reperto d’epoca. Acchittato con tanto di panciotto, il Giuli avverte gli astanti che sarà “un po’ teoretico”. In senso anafestico, direbbe il conte Lello Mascetti, suo spirito-guida. Infatti parte il tarapia tapioco con scappellamento a destra: “La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero. Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni”. Come fosse Antani, appunto. “Di fronte a questo cambiamento di paradigma – la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale – il rischio che si corre è duplice e speculare”. E cum fuochi fatui, peraltro: “L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese (sic, ndr) come minaccia”. Non sia mai. Qui il Giuli si fa una domanda: “Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?”. E, mentre i deputati superstiti trattengono il fiato, si dà subito una risposta: “No”. Ah, meno male, sennò erano cazzi. “Fare cultura è pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’uomo… non l’algoritmo… In questa prospettiva è un’illusione ottica pensare a una distinzione di categoria o, peggio, a una contrapposizione tra culture scientifiche e umanistiche. Come in una disputa tra un fronte culturale progressista e uno conservatore. Dialettica errata”. E qual è quella giusta? “Si tratta di pensare Pitagora, Dante, Petrarca, Botticelli, Verdi, insieme con Leonardo da Vinci e Galilei, Torricelli, Volta, Fermi, Meucci e Marconi”: un bel frullato per “rifarsi a questa concezione circolare”. Alla parola “circolare”, torna in mente il vigile urbano di Amici miei, che tentava di multarli e gli altri per abuso di clacson, finché il Mascetti lo neutralizzò con la supercazzola brematurata. Ignaro del fatto che, un giorno, sarebbe diventato ministro. E avrebbe fatto rimpiangere Sangiuliano. Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2024

L’amico terrorista | di Marco Travaglio

di Marco Travaglio Chissà se le migliori gazzette d’Occidente noteranno la macabra comicità della nota emessa ieri dal Servizio segreto militare ucraino Gur insieme al video di un uomo che esplode per una bomba sotto la sua auto: “Il 4 ottobre, intorno alle 7 del mattino, nella zona temporaneamente occupata di Energodar, un’auto che trasportava un criminale di guerra, il ‘capo della sicurezza’ della centrale nucleare di Zaporizhzhia, Andriy Yuriyovych Korotkyy, è esplosa… Dopo la presa della centrale, Korotkyy ha collaborato volontariamente con gli invasori russi, ha fornito loro gli elenchi dei dipendenti della stazione con i loro dati personali, indicando i cittadini filoucraini. Ogni criminale di guerra riceverà una giusta punizione”. Più che una nota, un volantino di rivendicazione tipico delle organizzazioni terroristiche: solo che il Gur è un pilastro della celebre “democrazia” ucraina, addestrato, finanziato e armato da Usa, Nato e Ue per combattere al posto nostro il regime autocratico e terroristico di Russia in difesa del mondo libero e del diritto internazionale. La narrazione era già piuttosto ridicola fino all’altroieri, visti i dieci anni di guerra civile nel Donbass e soprattutto degli atti terroristici perpetrati dai Servizi e dagli squadroni della morte ucraini in giro per il mondo: l’esplosione dei gasdotti russo-tedeschi Nord Stream 1 e 2 a opera di un incursore ucraino ricercato da Berlino, fuggito in Polonia e di lì a Kiev su un’auto diplomatica dell’ambasciata a Varsavia; gli assassinii a Mosca di Darya Dugina, figlia di un filosofo filoputiniano (autobomba) e dell’ex deputato socialista ucraino Ilya Kiva, espulso e condannato per tradimento dopo aver criticato Zelensky anche per la tossicodipendenza (colpo alla testa); l’assassinio a San Pietroburgo del blogger ucraino filorusso Vladen Tatarsky (statuetta esplosiva); l’attentato allo scrittore e politico nazionalista russo Zakhar Prilepin, ferito e mandato in coma dall’esplosione della sua auto vicino Mosca; gli omicidi di giornalisti “propagandisti”, cioè sgraditi al regime, rivendicati a maggio dal capo del Gur Kyrylo Budanov; il sostegno a gruppi jihadisti legati a Isis e al Qaeda in Niger, Mali e Burkina Faso, vantato a luglio dal portavoce del Gur in funzione anti-Wagner. Ma i terroristi di Stato ucraini avevano sempre colpito oltre confine. Ora si fanno gli attentati in casa: anziché star lì a perder tempo per arrestare e processare i presunti collaborazionisti, li fanno esplodere direttamente. Fortuna che l’Ucraina sta con i Buoni e infatti entrerà nell’Ue e nella Nato, mentre la Russia capeggia i Cattivi e infatti il Parlamento europeo la definisce “Stato terrorista” e Putin ha un mandato di cattura internazionale. Sennò poi uno chissà cosa va a pensare. Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2024

Netanyahu tra ONU e realtà

Netanyahu ritira il cessate il fuoco, pressato dai suoi ministri. Israele vuole l’annessione senza compromessi, mentre Hezbollah resiste e l’ONU discute l’Iniziativa di Pace Araba.

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