Il mito di Orfeo ed Euridice raccontato da Virgilio nelle Georgiche
IL MITO Il mito di Orfeo ed Euridice è una delle storie più affascinanti e struggenti della mitologia greca, spesso interpretata come una riflessione sull’amore, la perdita e l’impossibilità di sfuggire al destino. Orfeo, figlio della musa Calliope e del re tracio Eagro (secondo altre versioni, del dio Apollo), era un poeta e musicista di straordinario talento. Con la sua lira, donatagli proprio da Apollo, era in grado di incantare animali, piante e persino pietre con la bellezza della sua musica. La sua amata Euridice, una ninfa, morì tragicamente poco dopo il loro matrimonio, morsa da un serpente mentre fuggiva dalle avances di Aristeo. Disperato, Orfeo decise di scendere negli Inferi per riportarla nel mondo dei vivi, compiendo un’impresa che nessun mortale aveva mai osato tentare. Grazie alla sua musica, Orfeo riuscì a commuovere le divinità dell’oltretomba: Ade e Persefone gli concessero il permesso di riportare Euridice sulla Terra, ma a una condizione severa. Durante il cammino di ritorno, Orfeo non doveva voltarsi a guardare Euridice fino a quando non fossero completamente usciti dagli Inferi. Col cuore colmo di speranza, Orfeo iniziò il difficile viaggio, ma, proprio quando stavano per raggiungere la superficie, il dubbio e la paura presero il sopravvento: temendo di essere stato ingannato e che Euridice non lo stesse seguendo, si voltò per guardarla. In quell’istante, la ninfa fu risucchiata indietro nel regno dei morti, questa volta per sempre. Il mito si conclude con un Orfeo inconsolabile, incapace di vivere senza la sua amata. Nelle versioni più antiche della storia, si narra che Orfeo, incapace di amare di nuovo, venne dilaniato dalle Menadi, le seguaci di Dioniso, arrabbiate per il suo rifiuto di onorare il dio e per il suo distacco dal mondo. Il mito di Orfeo ed Euridice è stato interpretato in vari modi nel corso dei secoli. Alcuni lo vedono come una metafora dell’amore impossibile, altri come un commento sulla fragilità dell’essere umano di fronte alla potenza del fato. La musica di Orfeo, che supera i confini della vita e della morte, è stata spesso vista come un simbolo dell’arte stessa, capace di toccare l’animo umano nei suoi aspetti più profondi e misteriosi. * * * IL MITO RACCONTATO DA VIRGILIO Nelle Georgiche, Virgilio racconta il viaggio di Orfeo negli Inferi per recuperare Euridice, che è stata morsa da un serpente e portata nel regno dei morti. Come nel racconto più noto, Orfeo riesce a commuovere Plutone e Proserpina con la sua musica, ottenendo il permesso di riportarla indietro, a patto che non si volti a guardarla finché non saranno usciti dall’Ade. Tuttavia, Orfeo infrange questa condizione e perde Euridice per sempre. * * * Nel brano che segue, siamo di fronte al drammatico epilogo del mito di Orfeo ed Euridice. La storia si concentra sul momento in cui Orfeo, dopo aver ottenuto il permesso di riportare Euridice dal regno dei morti, sta per compiere il suo ritorno verso la luce del mondo dei vivi. Le condizioni poste per riavere Euridice sono semplici: durante tutto il tragitto Orfeo non deve mai voltarsi a guardarla. Mentre sono in cammino, con Euridice che lo segue da vicino, qualcosa lo assale. Orfeo, quasi vinto da un’irresistibile ansia e amore, si volta verso la sua amata proprio quando sono a un passo dalla salvezza. Ecco che si infrange la legge “del duro tiranno” Plutone, signore dell’Ade. Euridice si accorge subito della follia del suo sposo e, con dolcezza, lo rimprovera. Dice che ormai il “fato avverso” la sta richiamando, e che il sonno della morte la trascina di nuovo nelle tenebre. Nel momento in cui tende le mani verso di lui, svanisce come fumo nell’aria, lasciando Orfeo con la disperazione di non poterla più raggiungere. Il traghettatore dell’Ade non gli concede più il passaggio, e lui resta impotente davanti all’acqua dell’Inferno, con la consapevolezza di averla persa per sempre. Orfeo si abbandona a un dolore inconsolabile, simile a quello di un usignolo che piange i suoi piccoli strappati da un crudele aratore. Per mesi, sette lunghi mesi, Orfeo vaga, senza pace, lungo le rive del fiume Strimone, in un paesaggio desolato. Le sue sofferenze arrivano a tal punto che persino le tigri e gli alberi sembrano commuoversi al suono del suo canto. Il dolore di Orfeo, tuttavia, non si placa e lo spinge a vagare per terre sempre più lontane, persino verso i freddi ghiacci boreali. Orfeo continua a lamentarsi, invocando invano Euridice e maledicendo il suo destino. Il mito termina con un ulteriore tragico epilogo: le donne dei Ciconi, risentite dal rifiuto di Orfeo verso l’amore e la vita, lo fanno a pezzi durante i riti di Bacco. Anche la sua testa, staccata dal corpo, continua a chiamare Euridice, persino mentre viene portata via dal fiume Ebro. Persino le rive del fiume ripetono il nome della sfortunata Euridice, risuonando in un’eco perpetua di dolore. * * * E subito dal più profondo Erebo, commosse dal canto, ombre venivano leggere e parvenze di morti: a migliaia, quasi stormi di uccelli che si posano tra le foglie, quando la sera o l’aspra pioggia d’inverno li caccia giù dai monti; donne e uomini, e corpi475 di magnanimi eroi morti, e fanciulli e fanciulle, e giovani arsi sul rogo davanti ai genitori. E ora il fango nero e la squallida canna del Cocito, e la palude lurida con la sua acqua pigra li stringe d’intorno, e lo Stige con nove giri li rinserra.480 Stupirono le case di Lete e i luoghi più remoti del Tartaro, e le Eumenidi dai capelli azzurri di serpi; e Cerbero restò muto con le tre bocche aperte, e la ruota d’Issione si fermò insieme al vento. E già Orfeo tornava, vinto ogni pericolo,485 ed Euridice veniva verso la luce del cielo seguendolo alle spalle (così impose Proserpina), quando una follia improvvisa lo travolse, da perdonare, certo, se i Mani sapessero perdonare. Orfeo già presso la luce, vinto d’amore,490 la sua Euridice si voltò a guardare. Così fu rotta la legge del duro tiranno, e tre volte