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Palestinesi ingrati!

La Notizia, 19 settembre 2024. Caro Di Mizio, Con quale coraggio Israele stermina i palestinesi, donne, bambini, neonati, e poi accusa le vittime di essere “terroristi”? È un’infamia. Grazia Costa via email   Gentile lettrice, lei parla così perché non conosce i palestinesi. Dio solo sa cosa non farebbero per diffamare Israele. Per esempio, lo Stato ebraico blocca per mesi l’acqua potabile e il cibo a Gaza, toglie la corrente elettrica, distrugge tutti gli ospedali, impedisce l’ingresso di medicinali di base (e non parliamo di quelli non di base), e che cosa fanno i palestinesi in cambio? Si ammalano di poliomielite! Mostri! Ingrati! E ancora: appena atterra su Gaza un missile o una bombetta da mezza tonnellata, loro muoiono a centinaia. Lo fanno apposta. E i sopravvissuti accendono subito i telefonini per riprendere in video i bambini sfigurati, senza testa, senza braccia, senza gambe. Qualche giorno fa ho visto i soccorritori che estraevano dalle macerie una bambina di 11 anni uccisa da una bomba: mentre un uomo la tirava su, l’osso del braccio fuoriusciva dalla spalla, la testa ciondolava di qua e di là come in un pupazzo rotto, metà della faccia mancava (al suo posto c’era una caverna vuota) e i capelli intrisi di polvere di cemento sembravano finti come quelli di una bambola. E quei mostri dei palestinesi hanno fatto subito circolare il video su Whatsapp, Facebook, Messenger, Instagram, tutti strumenti di proprietà di un noto benefattore ebreo americano. Che canaglie! E lui, il povero benefattore, non riesce a bloccarli tutti. Ogni dieci video che cancella, uno gli sfugge e fa il giro del mondo. Ecco perché la gente odia lo Stato ebraico e i suoi governanti.

Scuola, ecco come viene costruita la «fabbrica» dei precari

di  Marta Camilla Foglia, Milena Gabanelli e Francesco Tortora Tutti i governi sono sempre stati d’accordo: il futuro di un Paese si costruisce sull’istruzione e quindi è indispensabile investire in una scuola che accompagni gli studenti verso la conoscenza e premi il merito. Ma si fa il contrario: rispetto alla media dei Paesi Ue siamo sotto quasi di un punto di Pil. E ogni anno all’apertura delle scuole scoppia puntuale la crisi degli insegnanti precari: dalle primarie alle superiori mancano i docenti. A pagare il prezzo sono gli studenti, ai quali è negata la possibilità di avere riferimenti fissi nel percorso di crescita. Non ci si mette d’accordo neppure sui numeri. Sul portale unico della scuola si legge che su 943 mila docenti in servizio sono 234 mila quelli con un contratto a termine. I sindacati delineano un quadro ancora più fosco: «Quest’anno – taglia corto Flc Cgil – avremo ben 250 mila precari». Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara bolla come «fake news» gli allarmi e riduce le cattedre vacanti «a 165 mila». Punto uno: 165 mila è comunque un numero enorme. Punto due: quel numero il ministro lo ricava probabilmente contando solo le cattedre coperte da supplenti con incarichi annuali, escludendo dal conteggio i precari con contratti non a orario pieno. E tutto questo è in contrasto con le promesse fatte nell’ultimo decennio. In Italia gli insegnanti restano precari, in media, fino a 45 anni e sono tra i più anziani d’Europa: oltre metà del corpo docente ha più di 50 anni, contro il 37% della media dell’area Ocse. La procedura d’infrazione Dal 2019 siamo sotto procedura di infrazione della Ue per uso prolungato e sistematico dei contratti a tempo determinato, in violazione delle direttive sul lavoro che impongono la stabilizzazione dopo 3 anni di servizio. Per tentare di archiviare la procedura il governo Meloni a inizio settembre ha inserito nel decreto «Salva-infrazioni» un indennizzo da 4 a 24 mesi a favore dei precari storici della pubblica amministrazione (qui art.12). Se questa «toppa» sarà accettata a Bruxelles è tutto da vedere. Ma come abbiamo fatto ad accumulare un numero così alto di precari? Per capirlo bisogna analizzare il sistema italiano di assunzione dei professori. Sembra studiato apposta per sconsigliare questa professione. Come ostacolare l’aspirante prof L’assunzione a tempo indeterminato passa dal concorso pubblico che può essere: a) Ordinario: aperto a chi possiede la laurea magistrale, dai 30 ai 60 Crediti Formativi Universitari (CFU), e un tirocinio pratico. b) Straordinario: riservato a docenti con almeno 3 anni di servizio e l’abilitazione all’insegnamento. Gli ultimi concorsi straordinari sono stati fatti nel 2021 con la ministra Azzolina. Chi supera i concorsi entra in una graduatoria a scorrimento. Le nomine sono su base nazionale quindi se accetti di insegnare nelle regioni del Nord, dove ci sono molti più posti disponibili, è più facile ottenere la cattedra. E poi dipende da «cosa» insegni. Un insegnante di matematica o di inglese avrà meno difficoltà ad avere il posto fisso rispetto a un collega di musica o di educazione fisica, perché dovendo coprire un numero maggiore di ore su tutte le classi, servono più docenti. c) Un altro modo per essere assunti è far parte delle «Graduatorie ad esaurimento» lista di precari storici con alle spalle decenni di insegnamento, chiusa nel 2007. E poi ci sono le Graduatorie che servono a tappare i buchi: quelle Provinciali (GPS) utilizzate per assegnare le supplenze annuali (un anno qui, e uno là) e le Graduatorie d’Istituto per le supplenze brevi (un mese qui, e tre settimane là). Il Pnrr Scuola e i nuovi concorsi Per ridurre il precariato, il governo in accordo con la Commissione europea ha introdotto il Decreto PNRR Scuola che ha fissato l’obiettivo di assumere 70 mila docenti a tempo indeterminato entro giugno 2026. Però la procedura è quella di indire nuovi concorsi, aperti a tutti i laureati e precari. Il primo è stato fatto a fine 2023, e da settembre a fine dicembre saranno immessi in ruolo 44 mila docenti. Tra i vincitori però solo chi ha già l’abilitazione ottiene subito la cattedra a tempo indeterminato. Chi non ce l’ha, è assunto a tempo determinato con l’obbligo di conseguire entro un anno i 30 o 60 crediti formativi universitari richiesti e di svolgere un tirocinio formativo, anche coloro che a scuola insegnano già da diversi anni. E chi fornisce le abilitazioni? Le università tradizionali e telematiche, e costano fino a 2.500 euro. Più altri 150 euro per l’esame finale. Chi alla fine rispetta i tempi ottiene finalmente il posto fisso, chi invece non ce la fa, è fuori. Per l’inizio del nuovo anno scolastico, a fronte dei 64.156 posti disponibili, il Ministero ha autorizzato solo 45.124 nuove assunzioni. Il governo infatti ha deciso di accantonare 18.561 posti per un secondo concorso Pnrr che sarà bandito tra ottobre e novembre. Significa che i vincitori dei concorsi Pnrr monopolizzeranno le immissioni in ruolo di quest’anno. E qui scoppia il finimondo perché il decreto ministeriale n. 158 parla chiaro: priorità di assunzione per gli insegnanti delle graduatorie a esaurimento (la famosa lista chiusa nel 2007), per chi ha superato i precedenti concorsi del 2016, 2018 e 2020 e sta ancora aspettando, e infine i vincitori del concorso 2023. Ma cosa c’è che non va? Un dettaglio non da poco, e riguarda i 30 mila insegnanti risultati idonei al Concorso Ordinario 2020, che sono già abilitati, e dovevano essere immessi in ruolo proprio quest’anno. Ebbene questi 30 mila si vedono scavalcati dai vincitori del concorso 2023 e passeranno in coda. Motivo? Chi ha passato il concorso Pnrr deve essere assunto subito altrimenti si rischia di perdere l’ultima rata da 24 miliardi del piano europeo. La carenza degli insegnanti al Nord Questo caos si innesta su una carenza cronica di insegnanti al Nord, perché il costo della vita mal si adatta a uno stipendio di ingresso per un professore delle superiori di 1.460 euro, con la prospettiva di restare precario per qualche decennio. Resta alta invece l’offerta al Sud: spesso gli insegnanti preferiscono rimanere supplenti piuttosto che prendere un contratto stabile al Nord dove si è liberata una cattedra. E chi sceglie di spostarsi dopo tre anni, può chiedere il trasferimento. Criteri prioritari per avere il cambio di sede sono il ricongiungimento familiare o i benefici

Spese militari in aumento, italiani in difficoltà: la democrazia funziona così

di Giuseppe Salamone Esattamente mentre Tajani annuncia l’invio di un altro sistema missilistico Samp-T per Zelensky del costo di circa un miliardo di euro, crolla il sostegno degli italiani per quanto riguarda gli aiuti militari da spedire a Zelensky. Dopo oltre due anni il consenso degli italiani sugli aiuti militari a Kiev è in forte calo. Secondo un sondaggio fatto da Demos, solo il 29% degli italiani è favorevole al sostegno militare. Lo scorso anno era al 47% (almeno così ci raccontavano) mentre due anni fa ci dicevano fosse ancora più alto. La realtà è che è sempre stato basso il consenso per fare della Costituzione carta straccia, solo che adesso non si può più nascondere il sole con un dito. Altro dato importantissimo arriva invece sulla questione relativa all’aumento delle spese militari, dove solamente il 19% degli italiani è favorevole. Quindi oltre otto italiani su dieci non sono d’accordo sul buttare soldi per ingrassare il complesso militare a stelle e strisce e per tutelare i loro interessi attraverso le bombe. L’anno scorso erano d’accordo il 33% degli italiani. Questa è la dimostrazione del malessere che affligge l’Italia, perché da nord a sud l’effetto della guerra per procura tra Nato e Russia e le conseguenti sanzioni suicide hanno portato al collasso un intero continente, tra cui in prima fila l’Italia. C’è gente che non riesce a fare la spesa e piccole aziende che abbassano a migliaia al giorno la saracinesca. Ma a reti unificate si narra un miracolo economico. Incredibile! A fronte di tutto ciò la politica del governo e di buona parte delle opposizioni con in prima fila il PD che sembra essere più realista del Re, prevede armi a Kiev senza fine e aumento delle spese militari. Addirittura tra le fila dei “democratici” c’è chi muore dalla voglia di bombardare la Russia con armi italiane… Dite la verità: non è spettacolare questa democrazia che lor signori dicono di voler difendere?

Hamas, il grande inganno

Hamas è un partito politico-confessionale, al quale si affianca un’ala militare, una formazione di partigiani che combatte contro la potenza occupante, cioè Israele.

Aggressori e aggrediti

di Carlo Rovelli Nel 1999, la NATO ha bombardato Belgrado per 78 giorni con l’obiettivo di smembrare la Serbia e dare vita a un Kosovo indipendente, oggi sede di una delle principali basi NATO nei Balcani. Nel 2001, gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan, provocando 200.000 morti, un Paese devastato e nessun risultato politico. Nel 2002, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dal Trattato sui missili anti-balistici, nonostante le strenue obiezioni della Russia, aumentando drasticamente il rischio nucleare. Nel 2003, gli Stati Uniti e gli alleati della NATO hanno rinnegato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite entrando in guerra in Iraq con un pretesto. L’Iraq è ora devastato, non è stata raggiunta una vera pacificazione politica e il parlamento eletto ha una maggioranza pro-Iran. Nel 2004, tradendo gli impegni presi, gli Stati Uniti hanno proseguito con l’allargamento della NATO, questa volta con l’ingresso degli Stati baltici, dei Paesi della regione del Mar Nero (Bulgaria e Romania) e dei Balcani. Nel 2008, nonostante le pressanti e strenue obiezioni della Russia, gli Stati Uniti si sono impegnati ad allargare la NATO alla Georgia e all’Ucraina. Nel 2011, gli Stati Uniti hanno incaricato la CIA di rovesciare il governo siriano di Bashar al-Assad, alleato della Russia. La Siria è devastata dalla guerra. Gli Stati Uniti non hanno ottenuto alcun vantaggio politico. Nel 2011, la NATO ha bombardato la Libia per rovesciare Moammar Gheddafi. Il Paese, che era prospero, pacifico e stabile, è ora devastato, in una guerra civile ed in rovina. Nel 2014, gli Stati Uniti hanno cospirato con le forze nazionaliste ucraine per rovesciare il presidente Viktor Yanukovych. Il Paese si trova ora in un’aspra guerra. Nel 2015, gli Stati Uniti hanno iniziato a piazzare i missili anti-balistici Aegis in Europa orientale (Romania), a breve distanza dalla Russia. Nel 2016-2020, gli Stati Uniti hanno sostenuto l’Ucraina nel minare l’accordo di Minsk II, nonostante il sostegno unanime da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Paese si trova ora in un’aspra guerra. Nel 2021, la nuova amministrazione Biden ha rifiutato di negoziare con la Russia sulla questione dell’allargamento della NATO all’Ucraina, provocando l’invasione. Nell’aprile 2022, gli Stati Uniti invitano l’Ucraina a ritirarsi dai negoziati di pace con la Russia. Il risultato è l’inutile prolungamento della guerra, con un aumento del territorio conquistato dalla Russia. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno cercato e cercano tuttora, senza riuscirci e fallendo costantemente, un mondo unipolare guidato da un’egemonia statunitense, in cui Russia, Cina, Iran e altre grandi nazioni devono essere sottomesse. In questo ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti (questa è l’espressione comunemente usata negli Usa), gli Stati Uniti e solo gli Stati Uniti hanno diritto di determinare l’utilizzo del sistema bancario basato sul dollaro, il posizionamento delle basi militari all’estero, l’estensione dell’adesione alla NATO e il dispiegamento dei sistemi missilistici statunitensi, senza alcun veto o voce in capitolo da parte di altri Paesi. Questa politica estera arrogante ha portato a guerre continue, paesi devastati, milioni di morti, una crescente rottura delle relazioni tra il blocco di nazioni guidato dagli Stati Uniti – una piccola minoranza nel pianeta e ora nemmeno più economicamente dominante – e il resto del mondo, un’impennata globale delle spese militari e ci sta lentamente portando verso la terza guerra mondiale. Il saggio e decennale sforzo europeo di coinvolgere Russia e Cina in una collaborazione strategica economica e politica, sostenuto con entusiasmo dalla leadership russa e cinese, è stato infranto dalla feroce opposizione degli Stati Uniti, preoccupati che ciò avrebbe potuto minare il dominio statunitense. È questo il mondo che vogliamo?

La vittoria di Maduro e il copione imperialista: brogli e minacce di intervento

di Diego Fusaro Come sappiamo, la vittoria Maduro alle elezioni venezuelane recenti ha generato turbolenza e scontento presso i pretoriani dell’ordine mondiale liberal-atlantista. Che da subito hanno mobilitato la loro scontatissima narrazione secondo cui vi sarebbero stati i brogli elettorali in Venezuela, come del resto sempre accade, a giudizio dell’occidente, anzi dell’uccidente liberal-atlantista, quando a vincere le elezioni sono forze e partiti che non hanno giurato fedeltà al nuovo ordine mondiale che ha per capitale Washington, per moneta il dollaro e per visione del mondo quella mercatista. Ma Washington non si accontenta di gridare ai brogli e di non riconoscere come valida l’elezione del presidente Maduro. E ora precisa minacciosa quanto segue: “non escludiamo nulla per il futuro”. Che equivale ad ammettere più o meno apertamente che, all’occorrenza, sarà possibile per la civiltà dell’hamburger intervenire direttamente in Venezuela per rovesciare Maduro e istituire l’ordine desiderato, e cioè per insediare un governo fantoccio totalmente prono ai desiderata del global-liberismo a base imperialistica. Si tratta di un canovaccio che, dal 1989, abbiamo visto molte volte ripetersi (in realtà già dal 1973, con l’infame golpe Pinochet): la civiltà del dollaro crea la narrazione tesa a demonizzare il governo disallineato, presentandolo come dittatoriale e nemico dei diritti umani, per poi poterlo aggredire con il consenso dell’opinione pubblica millimetricamente manipolata. In tal guisa, l’aggressione imperialistica viene nobilitata come esportazione della democrazia e dei diritti umani. Accadrà anche questa volta con il Venezuela tutto questo? Non lo sappiamo, ma sappiamo che Washington ha già apertamente ammesso di essere pronta a farlo. E sappiamo anche che tanta acredine e tanto livore nei confronti di Maduro da parte della talassocrazia a stelle e strisce rivela che il Venezuela sta procedendo nella giusta direzione, secondo una traiettoria ostinatamente contraria al nuovo ordine mondiale liberal-atlantista.

Ucraina al fronte, Occidente in poltrona: chi paga davvero il prezzo della guerra?

di Silvio Dalla Torre L’Ucraina non si è mai ripresa dalla crisi determinata dal crollo dell’Unione sovietica. Già prima del colpo di stato di piazza Maidan la popolazione era diminuita di un quarto rispetto al 1989, la natalità era la più bassa d’Europa, le industrie erano state smantellate, la situazione finanziaria era precaria. È evidente che, in una guerra con una grande potenza come la Russia, il paese non avrebbe potuto resistere per più di due settimane con le sue sole forze. La guerra in corso, però, non vede contrapposte la Russia e l’Ucraina, ma la Russia e l’Occidente. È l’Occidente, infatti, che fornisce le armi, le informazioni e la logistica senza le quali il conflitto sarebbe da tempo finito e probabilmente non sarebbe mai cominciato. È l’Europa, anche se i suoi cittadini ne sono scarsamente consapevoli, che tiene in piedi l’apparato statale ucraino pagando ogni fine del mese lo stipendio ai dipendenti pubblici. Quanto agli ucraini, essi devono solo dare un’illimitata disponibilità a farsi ammazzare. Nella divisione internazionale del lavoro le oligarchie mondialiste hanno assegnato, con spietato cinismo, alle donne ucraine il ruolo di fattrici nelle gravidanze surrogate, di badanti e di prostitute; agli uomini quello di carne da cannone. Tutto questo i russi lo sanno bene. Essi sono perfettamente consapevoli che i loro veri nemici sono gli americani , gli inglesi e i loro vassalli europei. Fino ad ora, però, hanno fatto a finta di niente. C’era, probabilmente, la pressione di quella parte della classe dirigente russa che non vuole tagliare i ponti con l’Occidente e c’era, soprattutto, la consapevolezza che uno scontro diretto tra potenze nucleari avrebbe potuto avere esiti imprevedibili e molto spiacevoli. Oggi, però , Stati Uniti e Gran Bretagna minacciano di colpire il territorio russo con missili balistici (il fatto che ciò non avvenga direttamente, ma consegnandoli agli ucraini, è un puro “escamotage”). Putin ha già avvisato che considererà un evento del genere alla stregua di una dichiarazione di guerra. C’è da dargli credito? Io credo di sì. Un paese costantemente minacciato nelle sue infrastrutture, nel suo sistema produttivo, nei suoi centri di comando è un paese a perpetuo rischio di destabilizzazione. La Russia questo non lo può accettare ed è per evitare un’evenienza del genere che è iniziata l’operazione militare speciale. In caso di attacco in profondità c’è quindi da aspettarsi una qualche risposta. Dapprima sarà probabilmente indiretta (navi inglesi? basi militari americane? piattaforme svedesi?) e esornativa. Se poi la cosa andasse avanti, sarebbe arrivato il momento di fare gli scongiuri e , per chi è credente, di pregare Dio. Di fatto, la situazione non è mai stata tanto pericolosa. I popoli, storditi dalla propaganda, non ne sembrano consapevoli, ma le cose stanno così.

Il rasoio di Occam

Guglielmo di Occam, frate francescano vissuto tra il XIII e il XIV secolo, è noto soprattutto per aver sviluppato uno dei principi più influenti nella storia del pensiero filosofico e scientifico: il cosiddetto “rasoio di Occam”. Questo principio, che invita a non moltiplicare gli enti senza necessità, si è affermato come una linea guida nella ricerca della semplicità e nell’eliminazione di spiegazioni superflue nelle teorie. È un’idea tanto semplice quanto radicale nella sua portata, con implicazioni che attraversano campi disparati, dalla teologia alla filosofia, fino alla scienza moderna.   Occam proponeva, in sostanza, che la spiegazione più semplice – quella che introduce meno ipotesi non necessarie – è spesso la migliore. Questo non significa che la verità debba necessariamente essere semplice, ma che, in mancanza di prove sufficienti per teorie complesse, occorre limitarsi all’essenziale. In questo senso, il “rasoio di Occam” non era pensato per tagliare via la complessità fine a se stessa, ma per evitare inutili complicazioni concettuali.   Nel contesto del pensiero medievale, il rasoio di Occam rappresentava una sfida alle concezioni dominanti. Molti filosofi e teologi dell’epoca erano inclini a spiegare i fenomeni del mondo con una moltitudine di entità e categorie metafisiche. Occam, al contrario, riteneva che la maggior parte di queste categorie fosse non solo inutile, ma fuorviante, e che la realtà dovesse essere interpretata in modo più parsimonioso. Questa idea si allinea con un approccio empirico, che in seguito si sarebbe radicato nel metodo scientifico.   Il suo pensiero, inoltre, metteva in discussione l’autorità della ragione rispetto alla fede. Pur essendo un uomo di chiesa, Occam sosteneva che molte questioni di fede dovessero essere accettate per via dell’autorità divina e non tentate di spiegare con la ragione umana. Questo portò a tensioni con la Chiesa, che finirono con il suo allontanamento dall’ordine francescano e un periodo di vita in esilio.   La vera portata del rasoio di Occam si rivela però pienamente nel pensiero scientifico moderno. In ogni campo, dalla fisica alla biologia, i ricercatori cercano teorie che spieghino i fenomeni in modo semplice e diretto, rifuggendo dalle spiegazioni troppo complicate che, nella maggior parte dei casi, non aggiungono nulla di essenziale alla comprensione del mondo.

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