Fabrizio De André – Un Giudice

Un giudice è uno dei brani più incisivi di Fabrizio De André, tratto dall’album Non al denaro, non all’amore né al cielo (1971), ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

Fabrizio De André
Un Giudice

[Strofa 1]
Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura
Ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente
O la curiosità d’una ragazza irriverente
Che vi avvicina solo per un suo dubbio impertinente
Vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani
Che siano i più forniti della virtù meno apparente
Fra tutte le virtù la più indecente

[Strofa 2]
Passano gli anni, i mesi e se li conti anche i minuti
È triste trovarsi adulti senza essere cresciuti
La maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo
Fino a dire che un nano, è una carogna di sicuro
Perché ha il cuore troppo troppo vicino al buco del culo

[Strofa 3]
Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore
Che preparai gli esami, diventai procuratore
Per imboccar la strada che dalle panche d’una cattedrale
Porta alla sacrestia, quindi alla cattedra d’un tribunale
Giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male
E allora la mia statura non dispensò più buonumore
A chi alla sbarra in piedi mi diceva “Vostro Onore”
E di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio
Prima di genuflettermi nell’ora dell’addio
Non conoscendo affatto la statura di Dio

* * *

“Un giudice” è uno dei brani più incisivi di Fabrizio De André, tratto dall’album Non al denaro, non all’amore né al cielo (1971), ispirato all’Anthology of Spoon River di Edgar Lee Masters. In questa canzone, De André esplora la figura di Selah Lively, il giudice nano, e con essa la natura umana corrotta dal risentimento e dal potere.

Il brano racconta la parabola di un uomo che, schernito e umiliato per la sua bassa statura, trasforma il dolore dell’emarginazione in una sete insaziabile di rivalsa. Il giudice è vittima di una società crudele che stigmatizza il diverso, il cui giudizio si esprime in malelingue, battute e curiosità morbose. De André dipinge un quadro vivissimo di questa oppressione sociale, che permea ogni aspetto della vita del protagonista, portandolo a vedere il mondo attraverso il filtro del rancore.

La sua scelta di studiare giurisprudenza “nelle notti insonni vegliate al lume del rancore” segna il punto di svolta. Non è un percorso di crescita personale, ma una reazione al veleno seminato dagli altri. Il potere giudiziario diventa per lui il mezzo per ribaltare i ruoli, per imporre timore a coloro che prima lo deridevano. È qui che emerge uno dei temi principali: il riscatto come vendetta, un circolo vizioso che perpetua la cattiveria invece di superarla.

Il giudice, divenuto “arbitro in terra del bene e del male,” esercita il suo potere in modo spietato, con una soddisfazione quasi sadica: “di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio.” Non è un giudice mosso da un senso di giustizia o equità, ma da un desiderio personale di rivalsa. La sua statura, che un tempo era motivo di derisione, diventa un dettaglio irrilevante: ora è lui che domina, che guarda dall’alto chi è costretto alla sbarra.

De André evidenzia con grande maestria la distorsione morale generata dal potere, soprattutto quando viene usato come compensazione per ferite personali. Il protagonista, anziché liberarsi dalla prigionia del giudizio altrui, vi si aggrappa, trasformandolo in strumento di oppressione.

Il finale del brano, con il giudice che si inginocchia “nell’ora dell’addio,” introduce un contrasto affascinante. Pur avendo esercitato un potere quasi divino sugli uomini, il giudice si trova di fronte all’ignoto: “non conoscendo affatto la statura di Dio.” Questa frase è un capolavoro di ambiguità: da un lato, potrebbe riflettere la sua incapacità di concepire una dimensione superiore, avendo misurato tutto nella vita con i parametri del rancore e del potere; dall’altro, potrebbe suggerire la presunzione che perfino Dio, nella sua onnipotenza, possa essere “basso” come lui.

L’inginocchiarsi potrebbe essere letto come un gesto di resa, ma anche come un atto sarcastico, ultimo residuo di una vita in cui il giudice non ha mai saputo riconoscere grandezze diverse dalla propria, misurate in termini di dominio.

Come in molti brani di De André, la storia del giudice si trasforma in una riflessione universale. Il brano esplora come la sofferenza, se non compresa e accettata, possa degenerare in odio e come l’invidia possa plasmare un’esistenza intera. Il giudice, vittima trasformata in carnefice, è l’emblema di una società che non offre strumenti per superare il dolore, ma che alimenta il ciclo della cattiveria.

De André non condanna il giudice, ma lo osserva con la lente della compassione e dell’ironia. Evidenzia il potere del giudizio, il suo ruolo nel plasmare o annientare identità e il limite di applicare criteri umani anche al divino.

Un giudice è una parabola sulla condizione umana, sull’ossessione per il potere e sul fallimento di chi, pur dominando gli altri, non riesce mai a liberarsi da sé stesso.

* * *

IL GIUDICE SELAH LIVELY

Fate conto di essere alti meno di un metro e sessanta,
di aver cominciato facendo il garzone di un droghiere
e di essere diventato avvocato studiando legge
a lume di candela.
E poi, fate conto di diventare, mettendoci un grande impegno, e frequentando assiduamente la chiesa,
il legale di Thomas Rhodes,
che riscuote cambiali e ipoteche
e rappresenta le vedove nelle cause
di successione e affidamento. E nonostante tutto quelli
ti sbeffeggiano per la statura, ridono di come ti vesti
e dei tuoi stivali sempre tirati a lucido. E poi fate conto
di diventare giudice provinciale.
E che Jefferson Howard e Kinsey Keene,
e Harmon Whitney, e tutti quegli altri giganti
che ti hanno sempre canzonato, siano costretti a starti in piedi
davanti al banco e a chiamarti “Vostro onore” –
non pensate che sia naturale
che gli abbia dato del filo da torcere?

JUDGE SELAH LIVELY

Suppose you stood just five feet two,
And had worked your way as a grocery clerk,
Studying law by candle light
Until you became an attorney at law?
And then suppose through your diligence,
And regular church attendance,
You became attorney for Thomas Rhodes,
Collecting notes and mortgages,
And representing all the widows
In the Probate Court? And through it all
They jeered at your size, and laughed at your clothes
And your polished boots? And then suppose
You became the County Judge?
And Jefferson Howard and Kinsey Keene,
And Harmon Whitney, and all the giants
Who had sneered at you, were forced to stand
Before the bar and say “Your Honor” —
Well, don’t you think it was natural
That I made it hard for them?

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, 1916

* * *

Analisi del testo: “Il Giudice Selah Lively”

Il testo è tratto dall’Anthology of Spoon River di Edgar Lee Masters, un’opera che rappresenta una galleria di epitaffi immaginari pronunciati dai defunti di un piccolo villaggio americano. Ogni voce racconta una storia personale che illumina le dinamiche umane di un’intera comunità. In questo caso, Selah Lively, un giudice provinciale, riflette sulla propria vita, offrendo uno spaccato di riscatto personale misto a rivalsa.

Analisi tematica

1. Emarginazione e pregiudizio sociale Il protagonista, Selah Lively, è caratterizzato sin dall’inizio dalla sua bassa statura (“meno di un metro e sessanta”), una condizione che lo rende bersaglio di derisione. La società di Spoon River è implacabile nel giudicare e ridicolizzare chi si discosta dai canoni comuni: l’altezza diventa il simbolo di una condizione di inferiorità percepita. I riferimenti agli abiti modesti e agli stivali “sempre tirati a lucido” enfatizzano il disprezzo ricevuto da chi si attiene a un’etichetta di sobrietà e impegno, ma non riesce a sfuggire all’ostilità dei suoi concittadini.

2. La rivalsa attraverso il potere La parabola di Selah Lively è una storia di riscatto sociale che non si ferma a una semplice ascesa. Partendo dal ruolo di garzone, Selah compie un percorso di crescita personale straordinario, diventando avvocato e infine giudice. Tuttavia, il raggiungimento del potere non lo libera dal rancore accumulato. Quando costringe gli stessi uomini che lo avevano deriso a rivolgersi a lui chiamandolo “Vostro Onore”, Selah ribalta i ruoli, ma non trascende la dinamica di oppressione: si limita a riprodurla con lui nel ruolo dominante. Il potere, dunque, non guarisce le ferite personali ma ne diventa strumento di rivalsa.

3. La fragilità della morale individuale La frase conclusiva, “non pensate che sia naturale che gli abbia dato del filo da torcere?”, introduce una riflessione morale. Selah non cerca giustificazione per il proprio comportamento, anzi, lo presenta come inevitabile. La vendetta diventa per lui una risposta automatica alle umiliazioni subite, sottolineando l’incapacità dell’essere umano di emanciparsi dalla spirale di violenza psicologica e pregiudizio. La domanda retorica, posta al lettore, non cerca empatia ma quasi approvazione, segnalando la profonda amarezza che ancora lo guida.

Analisi formale

1. Lo stile diretto Il testo utilizza un tono colloquiale e un registro semplice. La ripetizione dell’espressione “fate conto” invita il lettore a immedesimarsi, rendendo la narrazione personale e coinvolgente. Questo approccio crea un dialogo immaginario con chi legge, portandolo a riflettere sul tema della rivalsa e delle sue implicazioni.

2. La struttura in crescendo Il testo segue una progressione che accompagna la parabola ascendente del protagonista. Dalla condizione iniziale di garzone, si passa al ruolo di avvocato, fino a raggiungere la carica di giudice. La crescita professionale è parallela al crescere del conflitto interiore: la rivalsa non si traduce in serenità, ma in un desiderio di umiliare i suoi oppressori. La struttura culmina nella domanda finale, che chiude con un tono tagliente e definitivo.

3. Il contrasto tra grandezza e piccolezza La descrizione di Selah mette in scena un contrasto ironico: fisicamente piccolo, ma dotato di una determinazione che lo rende “gigante” agli occhi di chi lo aveva sminuito. Tuttavia, questa grandezza è più apparente che reale, poiché il rancore personale lo limita moralmente, impedendogli di distaccarsi da ciò che lo aveva ferito.

Interpretazioni educative

Questo testo offre molteplici spunti per una riflessione critica con gli studenti:

  1. La costruzione dell’identità sociale: Il testo mostra come i pregiudizi sociali influenzino la percezione di sé e degli altri. La statura fisica di Selah diventa un simbolo della sua emarginazione, ma anche della sua forza interiore.
  2. Il rapporto tra potere e moralità: La figura del giudice provinciale solleva una domanda complessa: il potere può essere utilizzato per superare le ingiustizie o rischia di trasformarsi in uno strumento di vendetta?
  3. Il ciclo della cattiveria: La storia di Selah Lively è un esempio di come il rancore possa perpetuare dinamiche di conflitto, anche quando il contesto sociale sembra mutare.
  4. Il linguaggio come strumento di coinvolgimento: Lo stile diretto di Edgar Lee Masters rappresenta un modello narrativo efficace per trasmettere emozioni e idee complesse con semplicità.

Conclusione. “Il Giudice Selah Lively” è un testo che esplora le dinamiche sociali e psicologiche della rivalsa, mostrando i limiti e i pericoli insiti nell’utilizzo del potere come compensazione per i traumi subiti. La sua forza narrativa risiede nella capacità di coinvolgere il lettore e di porre domande aperte sulla moralità umana, rendendolo un brano ideale per un percorso di studio critico e interdisciplinare.

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