Bob Marley, un rivoluzionario musicale e politico

Avrebbe compiuto 80 anni il 6 febbraio 2025. Bob Marley, la star mondiale del reggae, ha diffuso un messaggio politico che resta più attuale che mai. L’artista giamaicano era un militante profondamente impegnato.

di Anne Bernas

«Non voglio cambiare la mia isola, voglio cambiare il mondo.» Bob Marley morì l’11 maggio 1981, all’età di 36 anni. In meno di due decenni di carriera, Robert Nesta Marley non solo portò il reggae in ogni angolo del pianeta, ma diffuse anche un messaggio politico di portata universale, che continua a ispirare tutti coloro che lottano per la giustizia, l’uguaglianza e contro l’oppressione dei popoli.

Un uomo politico suo malgrado

La sua storia personale è il filo conduttore della sua carriera. Nato nel 1945, figlio di un ricco padre inglese bianco – scomparso presto dalla sua vita – e di una madre giamaicana nera e povera, cresce nella miseria della campagna giamaicana, circondato da afro-discendenti privati delle loro radici. Successivamente, sua madre lo porta a Trenchtown, un ghetto di Kingston, dove trascorre l’adolescenza immerso nella povertà assoluta delle baraccopoli. Il giovane Robert è testimone diretto delle ingiustizie e della sofferenza vissute dai suoi concittadini neri di fronte ai bianchi benestanti, un sistema che in seguito definirà il «Babylon System». È consapevole anche delle lotte della comunità nera negli Stati Uniti e ascolta alla radio il messaggio rivoluzionario delle Black Panthers. In lui si risveglia un vento di ribellione, che si trasforma in una lotta lunga diciannove anni, combattuta con la potenza della musica.

Fin dal 1962, anno dell’indipendenza della Giamaica, Bob Marley – che aveva lasciato la scuola a 14 anni – decide di scrivere canzoni impegnate per raccontare la sua verità al mondo. «Io vengo dalla Giamaica, un paese del Terzo Mondo, ma devo parlare a Babilonia, dirle ciò che vogliamo». Nel 1965, pubblica Simmer DownCalmatevi»), che non è ancora reggae, ma ska: il suo primo successo. Nel 1973, lancia il celebre Get up, Stand upAlzati, tieniti in piedi»), una canzone in cui denuncia il razzismo e l’oppressione subita dalle comunità afro-discendenti in Giamaica. Nello stesso anno, con Slave Driver, spiega di non essere più incatenato dalla schiavitù, ma dalla povertà.

Bob Marley, però, rifiuta qualsiasi coscienza politica: considera i politici degli impostori. E ne ha ben donde. Negli anni ’70, i due principali leader giamaicani, Michael Manley e Edward Seaga, trasformano la politica in una guerra di bande, creando delle vere e proprie mafie armate. Nei ghetti, i morti si contano a decine. Entrambi – uno socialista, l’altro conservatore – suscitano profonda diffidenza nell’artista.

Lo stesso Bob Marley è vittima di un tentato omicidio nel 1976. Il movente non sarà mai del tutto chiarito, ma l’ipotesi di un’operazione della CIA viene spesso evocata. Eppure, Marley non si lascia intimorire: continua a salire sul palco, si aggrappa alla sua fede e si sente protetto da essa. Vuole diffondere un messaggio di unità e pace. E afferma: «Le persone che cercano di rendere il mondo peggiore non si prendono mai una vacanza, quindi perché dovrei farlo io?»

«Bob Marley non voleva schierarsi da una parte o dall’altra. Voleva la riconciliazione di una Giamaica letteralmente divisa in due, piagata dalla violenza e dalla corruzione. Lui si vedeva piuttosto come un intermediario della classe politica. Il suo obiettivo era far funzionare meglio la Giamaica, voleva elevare le coscienze attraverso le sue canzoni», spiega il giornalista Mathieu Méranville, autore di Bob Marley est toujours vivant.

Nel 1978, durante il celebre concerto One Love Peace a Kingston, Marley riesce a far stringere la mano, in un gesto storico, ai due rivali politici dell’isola, Michael Manley ed Edward Seaga. Un modo, suo malgrado, di prendere parte a un gioco politico in cui non crede. E infatti non si sbaglia, perché dopo quel concerto simbolico, la violenza continua inesorabilmente. Durante l’evento, Marley canta War, un’ode alla pace, ispirata al discorso pronunciato il 6 ottobre 1963 dall’ex imperatore d’Etiopia Haïlé Sélassié I di fronte alle Nazioni Unite. Una figura considerata dai rastafariani come il «legittimo sovrano della Terra» e il Messia.

Bob Marley e i The Wailers, a Londra nel 1973
Bob Marley e i The Wailers, a Londra nel 1973

L’influenza del rastafarianesimo

I concerti di Bob Marley iniziano sempre con un saluto a colui che considera il Profeta: «Greetings in the Name of His Imperial Majesty Emperor Haile Selassie the First, Jah Rastafari» («Saluti nel nome di Sua Maestà Imperiale Haïlé Sélassié I, dio dei rastafariani.»)

Il messaggio che Bob Marley, profondamente legato alle sue origini nere in un paese dominato dai bianchi, ha trasmesso al mondo non sarebbe stato lo stesso senza il rastafarianesimo. Questo movimento religioso, culturale e spirituale, nato in Giamaica negli anni ’30, ha profondamente influenzato il suo pensiero e la sua musica. «Bob Marley ha vissuto dal lato sbagliato della barriera, pur essendo meticcio», sottolinea Mathieu Méranville. «Ha vissuto l’ingiustizia sulla propria pelle. Il rastafarianesimo gli ha permesso di dare una dimensione più profonda e consapevole a questa esperienza

Il movimento rasta predica la resistenza alla schiavitù e alla colonizzazione. Fortemente impregnato di cultura biblica, rivendica l’orgoglio dei popoli neri e proclama la loro redenzione attraverso il ritorno in Africa.

Nel 1980, pochi mesi prima di morire, Bob Marley afferma:
«La verità è che Dio dona la vita all’uomo e gli dice di vivere. Ma la politica uccide gli uomini, li divide. Non sono più uniti. E quello che succede è che gli uomini si uccidono tra loro per delle idee politiche. Io credo che senza la politica, le persone vivrebbero più libere

«Bob Marley aveva un lato profondamente spirituale, e per lui era un dovere innalzarsi contro l’oppressione. Era qualcosa di quasi divino», analizza Mathieu Méranville. «Era il suo destino. Lo si definiva spesso un profeta, ma io credo che fosse piuttosto un uomo abitato da una missione, un combattente che doveva portare avanti la sua battaglia in ogni caso. E questa battaglia continua ancora oggi

Marley la porterà avanti fino alla fine, con determinazione, lavorando instancabilmente con disciplina. «So che il mio cuore può essere duro come la pietra e dolce come l’acqua», afferma l’artista, che metterà piede tre volte nel continente africano per sostenere la lotta per l’emancipazione dei popoli: dal pellegrinaggio in Etiopia alla sua consacrazione in Zimbabwe, passando per il Gabon.

Nel 1978, Marley dedica un intero album all’Africa: Survival, pubblicato nel 1979, considerato il suo lavoro più maturo e impegnato, quasi un manifesto politico. Il brano Zimbabwe diventa l’inno dei ribelli della Rhodesia del Sud, tanto che Marley si reca nel paese a proprie spese per tenere due concerti storici.

In Babylon System, l’artista dichiara:
«Rifiutiamo di essere ciò che volevate che fossimo. Siamo ciò che siamo. E non sarà altrimenti, se ancora non lo sapete. Non potete educarci senza darci le stesse opportunità. Parlando della mia libertà. Della libertà del popolo e del suo libero arbitrio

Quell’anno, Bob Marley riceve la medaglia d’oro per la pace delle Nazioni Unite, «a nome di 500 milioni di africani».

Bob Marley al Rainbow Theatre di Londra alla fine del suo Exodus Tour, il 4 giugno 1977
Bob Marley al Rainbow Theatre di Londra alla fine del suo Exodus Tour, il 4 giugno 1977

Un rivoluzionario nell’anima

«All’inizio era solo un piccolo cantante giamaicano», racconta Mathieu Méranville. «Poi divenne famoso in Inghilterra, poi negli Stati Uniti. In Africa, la sua notorietà crebbe progressivamente.» Fu con il brano Zimbabwe che il continente africano iniziò davvero a interessarsi a lui, non solo come fenomeno artistico, ma quasi come fenomeno politico. «Era visto come un fratello che ci difendeva, come parte della diaspora. E questo si ricollega un po’ alla lotta di figure come Senghor, Césaire o Gontran Damas. In un certo senso, Marley si è inserito in questo contesto. Lo ha capito, alla fine lo ha compreso

Durante l’apartheid in Sudafrica, alcune radio locali, nel ricevere i dischi di Bob Marley, li distruggono incidendo i solchi con una lama di rasoio, una forma di censura che dimostra ulteriormente quanto il suo messaggio si stesse diffondendo tra le popolazioni locali. Bob Marley si trasforma così in un fenomeno politico, un militante artistico della causa nera, al pari di Malcolm X, attivista radicale, e di Martin Luther King, difensore della lotta non violenta. Tutti e tre condividono lo stesso obiettivo: ottenere l’uguaglianza dei diritti nei confronti del potere dominante. Marley si definisce un rivoluzionario, convinto di dover aiutare le persone a lottare per i propri diritti.

«Era un pragmatico. Lavorava per il bene comune. Capì molto presto che il suo messaggio poteva avere un impatto», analizza Mathieu Méranville. «Si è spesso detto che fosse la prima star del Terzo Mondo. In realtà, voleva anche trasmettere un messaggio per il Terzo Mondo: smettere di essere vittime, alzarsi e rivendicare i propri diritti

Ancora oggi, la battaglia di Bob Marley sopravvive e non sembra destinata a spegnersi. Il suo messaggio ha ormai una portata universale, una dimensione che lui stesso rivendicava. A 35 anni, Marley dichiarava:

«Il colore della pelle di un uomo non ha più importanza del colore dei suoi occhi. Non penso che il colore sia una cosa essenziale. Ciò che conta davvero è quello che un uomo ha nella testa. Questa è la realtà

Dall’ANC di Nelson Mandela alle lotte del MPLA (Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola), dai rivoluzionari tunisini del 2011 agli oppressi palestinesi, ottant’anni dopo la sua nascita, Bob Marley continua ad alimentare e ispirare uno spirito di ribellione pacifica, basato su un concetto chiave: la redenzione.

«Emancipatevi dalla schiavitù mentale, nessun altro se non noi stessi può liberare la nostra mente», proclama in Redemption Song, l’ultima traccia del suo ultimo album, considerata il suo testamento musicale.

Se Bob Marley non è riuscito a cambiare l’ordine del mondo, almeno, al di là della morte, ha trovato il modo di consolarlo.

Bob Marley il 27 novembre 1979
Bob Marley il 27 novembre 1979

RFI, 6 gennaio 2025

 

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