La realtà storica di “Madame Bovary”

Madame Bovary nacque da persone e luoghi reali in Normandia, ma Flaubert usò il genio creativo per trasformarli in arte, traendo ispirazione e dettagli autentici.

Forse più d’uno fra i lettori dell’immortale romanzo di Gustavo Flaubert, di questo capolavoro che costò all’autore anni ed anni di indicibili fatiche (durate con una tenacità che fa della Correspondance, in cui esse sono rivelate, un monumento unico di educativa probità letteraria), e dal quale l’autore non trasse che la somma derisoria di ottocento franchi, si sarà domandato se il Flaubert abbia costruito la sua narrazione su elementi reali, o non piuttosto l’abbia creata tutta con uno sforzo d’ingegno. E forse, nella mancanza di dati, sarà stato proclive a concludere per la seconda ipotesi, poiché la vita cenobitica condotta dal terribile lavoratore di Croisset sembra non propizia a fornire di documenti umani il suo lavoro; d’altra parte, le evocazioni perfette del mondo antico in Salammbô, nella Tentation de Saint-Antoine, in Hérodias dicono come egli potesse vedere con gli occhi dell’immaginazione la realtà ideale, compiuta e perfetta in tutti i suoi particolari, e ritrarla come se l’avesse viva dinanzi.

Ma le pagine che un critico d’arte francese, Gerôme Doucet, ha dedicato ad una nuova edizione del romanzo, che si può dire definitiva, procurata dall’editore Ferroud ed illustrata religiosamente con disegni dei personaggi e dei luoghi dal pittore A. De Richemont, vengono a sciogliere il nostro dubbio mostrandoci i personaggi mortali di cui il Flaubert trasse i tipi della sua immortale creazione.

«Gli amici ed i contemporanei del Flaubert — dice il Doucet — sono pressoché tutti discesi nella tomba: Bouilhet, il conte d’Osmoy, Daudet, Zola, per non citare che i più notevoli. Solo, fra i grandi di cui il Flaubert godè l’amicizia letteraria, rimane il Tolstoi, ma vivono ancora parecchie altre persone di molto minor fama che il Flaubert conobbero e praticarono, e che ci offrono ricordi preziosi e curiosi che è bene raccogliere».

Per comprendere interamente la splendida verità di Madame Bovary occorre essere vissuti in Normandia. Appare allora in tutta la sincerità delle pitture di cui il Flaubert arricchì i suoi romanzi: si possono apprezzare anche i suoi meriti in veste di storico locale, di pittore di costumi, di evocatore di ambiente.

Soltanto i conoscitori della Normandia possono ricordare M. Lapierre, il direttore del Nouvelliste de Rouen, che fu amico di Flaubert e che «creò», per così dire, Maupassant, fornendogli la maggior parte degli argomenti delle sue novelle e spronandolo come un fanciullo nelle ore difficili della sua vita; Georges Dubosc, l’allievo di Noël; Emilio Deshays, tipografo e collezionista; Pinchon, acuto cronista degli aneddoti normanni; bisogna aver percorso le strade fiancheggiate dai meli, fra le ammirevoli praterie del paese; bisogna aver sofferto nella sontuosa città di Rouen della mediocrità provinciale di cui Flaubert fu il martire ribelle, per ben comprendere ed analizzare la sua magistrale Madame Bovary.

«L’anima di Flaubert si dilatava con gioia dinanzi alle meraviglie del passato della sua città, per ricadere ferita dalla goffaggine borghese. Flaubert ebbe l’odio del popolo di Rouen, di quei borghesi che avrebbe voluto mettere “in salamoia”, e che cercava di esasperarlo indossando stravaganti calzoni messicani».

«Nelle sue lettere, il Flaubert discorre spessissimo di Madame Bovary, dipingendo le torture sopportate nello scrivere quelle trecento pagine, la lentezza con la quale ne copiava e ricopiava i capitoli per castigare il suo stile, per mettersi al livello morale della creatura che aveva scelta a protagonista, egli, il poeta di Salammbô! Vi si legge che il “soggetto è fuori della sua anima, che non mai la sua personalità gli è stata più inutile”. Ciò ne indica che lo ha visto intorno a sé e che non si è piegato per forza alla verità ed alla vita. Dice ancora: «Conservo nei miei cassetti frammenti di stile, contenenti processi verbali così atroci, che ho paura di aprirli».

«Consta infatti che la signora Flaubert, madre di Gustavo, lo rimproverò di aver in Madame Bovary scritto la storia della moglie di un amico di suo padre. Il Flaubert, per non addolorare la madre, che adorava, negò, ma la somiglianza era troppo precisa ed evidente; la signora Flaubert poté anche riconoscere nel romanzo il proprio marito, che il Flaubert presentò epicamente nella nobile figura del vecchio dottore».

«Il padre del Flaubert era infatti medico a Rouen e medico stimato. La famiglia abitava in un sobborgo di Rouen, in un sito detto La croix de Jonville, da cui Flaubert trasse il nome di Jonville da lui dato al paese del romanzo. Ma in realtà questo villaggio è quello di Ry, situato poco lungi da Rouen e poco conosciuto. Ry corrisponde esattamente al villaggio del libro. Vi si trovano «la chiesa e il piccolo cimitero che la circonda, chiusa da un muro ad altezza d’uomo»; i mercati coperti da un «tetto di tegole sostenuto da una ventina di pali», il municipio fatto «su disegno di un architetto di Parigi», l’unica via, lunga un «tiro di fucile», la farmacia di Homais e l’albergo situato di fronte ad essa.

«Il farmacista, morto qualche anno fa, era il figlio di colui che il Flaubert mise in caricatura nell’immortale Homais: è da lui che ho sentito il racconto di quella Delphine D… che fu l’originale di Emma Bovary. Egli mi mostrò anzi il piccolo armadio e la fiala d’arsenico con l’etichetta rossa con su scritto Veleno, che Emma prese per avvelenarsi.

«Il farmacista si ricordava della scena: Emma si torceva dai dolori, e non voleva dire ciò che avesse ingoiato. Il farmacista Homais andò a cercare il bambino per interrogarlo e farle confessare, non senza difficoltà, che aveva ingoiato arsenico.

«Egli mi indicò anche il piccolo cimitero e la tomba di Madame Bovary, sulla quale il marito pianse. Mi indicò la prima casa abitata dai Bovary, che l’apertura di una nuova strada ha fatto scoprire. Ne rimane ancora il giardinetto con «la scalinata di pietra, che conduce al ruscello, che Emma attraversava sopra il ponticello dello stagno, per andare alla Huchette». Mi mostrò anche la casa ove morì Emma, e mi condusse presso il «père Thérain», l’antico conduttore della diligenza di Rouen. Flaubert lo dipinse sotto il nome di Hivert, che è quasi Hìnaert, anagramma di Thérain.

«Questo sistema di composizione dei nomi ha servito a Flaubert anche per il fiume. Egli lo disse La Rieule. Ora al termine di Ry scorre la Lieure: Flaubert ne fece Rieule.

«Il nome di Bovary non fu preso dal luogo. Flaubert aveva conosciuto al Cairo un albergatore detto Boveret. Questo nome lo aveva colpito, ed egli disse spesso che l’utilizzerebbe in un libro, e di Boveret e Ry fece Bovary.

«Il père Thérain è morto testè a novant’anni. Egli si ricordava di aver condotto più volte Emma Bovary a Rouen. Del resto, la suocera di Delphine D… madre di Eugenio D…, era molto intima della signora Flaubert madre. Ella si recava spesso dalla Flaubert per raccontarle gli intrighi amorosi della nuora, e Flaubert, fanciullo, udì cento volte la storia di colei che doveva poi essere Madame Bovary.

«Il Thérain si ricordava di aver conosciuto spesso anche il Flaubert da Rouen. Raccontava, egli, grande chiacchierone, con una certa amarezza, che Flaubert era di poche parole. Thérain ricordava pure Léon, divenuto notaro, e mi mostrò l’alloggio di Binet, che torniva i passatovaglie, e quello dell’abate Bouruisien. Egli mi raccontò che Rodolphe, che si disse imbarazzato quando la Bovary gli domandò denaro, finì poi di rovinarsi completamente. Emigrò in America, poi ritornò a Parigi, dove si uccise in pieno boulevard

Il Doucet assicura che tutti i personaggi del romanzo erano facilmente identificabili con abitanti di Ry. Sembra persino che una specie di sentimentalità borghese si instillasse nelle anime delle buone donne del paese, più che non comporti abitualmente l’ambiente di provincia; credità psicologica di quella che visse o morì oscuramente, per rivivere immortale nelle pagine del romanzo famoso.»

Y.

La Stampa, 1 aprile 1906

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