Giorgio Agamben, Homo sacer, 1995

La politicizzazione della vita

I Greci distinguevano zoé (vita biologica) e bios (modo di vivere). La modernità ha politicizzato la zoé, creando la biopolitica e il controllo dei corpi.

Il concetto di vita nella cultura greca classica non era espresso con un unico termine, ma con due distinti: zoé e bios. Il primo indicava il semplice fatto di vivere, comune a uomini, animali e dèi, mentre il secondo designava una forma qualificata di esistenza, un particolare modo di vivere proprio di un individuo o di una collettività. Questo dualismo semantico riflette una distinzione fondamentale nella filosofia greca e, più in generale, nel pensiero politico occidentale.

Platone e Aristotele adottarono questa distinzione per delineare diversi modi di vita. Nel Filebo, Platone menzionava tre generi di vita, mentre Aristotele, nell’Etica Nicomachea, contrapponeva la vita contemplativa del filosofo (bios theorèticós) alla vita di piacere (bios apolaustikós) e alla vita politica (bios politikós). In nessuno di questi casi avrebbe avuto senso parlare di zoé, poiché il discorso non riguardava il mero vivere biologico, ma esistenze caratterizzate da una forma specifica. La lingua greca non prevedeva nemmeno il plurale per zoé, il che suggerisce che questa condizione fosse percepita come un dato di fatto unitario e indifferenziato, mentre bios assumeva forme plurali, poiché le modalità di vita potevano variare.

Aristotele, tuttavia, riconosceva un valore alla semplice vita naturale. Nella Politica osservava che, sebbene il fine della città fosse il vivere secondo il bene, gli uomini si univano in comunità anche per il solo vivere, riconoscendo una certa positività nella nuda esistenza. Tuttavia, la zoé restava confinata all’oíkos, lo spazio domestico della riproduzione e della sussistenza, distinto dalla polis, il luogo della vita qualificata. Aristotele ribadiva questa gerarchia separando nettamente il despótes, che gestiva la sfera privata della necessità, dal politico, che operava nella dimensione pubblica. Quando definiva la città come nata per il semplice vivere (to zen), ma esistente per il vivere bene (to eu zen), indicava una subordinazione della mera vita biologica a una forma superiore di esistenza.

Questa concezione aristotelica influenzò profondamente la tradizione politica occidentale. Il celebre passo in cui Aristotele definisce l’uomo politikón zóon (animale politico) non attribuisce alla politica una funzione esclusivamente biologica, bensì la identifica come il tratto distintivo dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi. È la capacità di articolare concetti di giusto e ingiusto che separa la politica umana da quella di altri animali sociali, come le api o le formiche.

L’idea che la zoé fosse esclusa dalla polis e relegata alla sfera privata rimase dominante fino alla modernità. Michel Foucault, nella Volontà di sapere, descrive il passaggio epocale in cui la politica cominciò a incorporare la vita biologica nei suoi calcoli, trasformandosi in biopolitica. Per Aristotele, l’uomo era un animale vivente che partecipava alla politica, ma con la modernità l’uomo divenne un essere in cui la politica riguardava direttamente la sua esistenza biologica. Secondo Foucault, la soglia della modernità si situa nel momento in cui la vita naturale diventa oggetto delle strategie politiche e della governance statale. Dallo Stato territoriale si passò allo Stato della popolazione, in cui la salute e la regolazione dei corpi divennero questioni fondamentali del potere sovrano.

Questa trasformazione implicò una duplice dinamica. Da un lato, il potere disciplinare plasmò corpi docili, necessari allo sviluppo del capitalismo, che senza tale controllo non avrebbe potuto trionfare. Dall’altro, l’inclusione della zoé nella politica portò all’espansione delle scienze umane e sociali, capaci di controllare la vita e, al contempo, di autorizzare il suo sacrificio. In questa prospettiva, lo sterminio sistematico non era più un’anomalia, ma una possibilità interna alle logiche del potere.

Hannah Arendt, già alla fine degli anni cinquanta, aveva analizzato la crescente centralità della vita biologica nella politica moderna. In The Human Condition, identificava nell’homo laborans, figura della pura sopravvivenza, il protagonista della modernità. L’affermarsi della zoé come nucleo della politica determinò, secondo Arendt, la decadenza dello spazio pubblico, riducendo la politica a una mera amministrazione della vita. Eppure, il suo lavoro non influenzò Foucault, il quale esplorò la biopolitica senza mai fare riferimento alle sue riflessioni.

Foucault non portò a termine il suo studio sulla biopolitica. La sua morte gli impedì di approfondire il concetto e di esaminarne le implicazioni nei regimi totalitari. Nei suoi corsi al Collège de France dal 1977, aveva già iniziato a studiare il passaggio dallo Stato territoriale allo Stato biopolitico, mostrando come la gestione della vita fosse diventata un problema centrale del governo. Nonostante il suo interesse per le tecniche di controllo, non si spinse a investigare le loro applicazioni nei campi di concentramento e negli stati totalitari del Novecento, che pure rappresentavano l’esito più radicale della biopolitica moderna.

L’evento decisivo della modernità è proprio l’ingresso della zoé nella sfera della polis. La politicizzazione della nuda vita segna una trasformazione radicale delle categorie politiche classiche. Se la politica attraversa una crisi profonda, è perché non ha saputo confrontarsi con questo evento fondativo. Le categorie della modernità, come destra e sinistra, pubblico e privato, democrazia e assolutismo, stanno sfumando, entrando in una zona di indistinzione che solo un’indagine biopolitica può chiarire.

Foucault abbandonò i modelli tradizionali del potere, basati sulla sovranità e sul diritto, per studiare il modo in cui il potere si inscrive nei corpi e nelle vite. Negli ultimi anni, si concentrò su due direttrici: da una parte, le tecniche politiche attraverso cui lo Stato assume il controllo della vita naturale; dall’altra, le tecnologie del sé, che modellano il soggetto, legandolo alla propria identità e al potere. In questo intreccio tra individualizzazione e totalizzazione si colloca la struttura più profonda del potere moderno.

Questa analisi presenta, tuttavia, una lacuna: Foucault non identificò il punto in cui le due dinamiche del potere convergono. La sua ricerca si sviluppò come un’indagine priva di un centro unificatore, lasciando irrisolta la questione dell’articolazione tra zoé e politica.

La politica occidentale si fonda su un’esclusione inclusiva della nuda vita. La polis non è solo il luogo del vivere bene, ma anche quello in cui la semplice esistenza viene esclusa e insieme presupposta. Questo è il nodo che lega il pensiero aristotelico alla modernità. La separazione tra bios e zoé ha sempre retto l’ordine politico, ma oggi questa distinzione si sta dissolvendo. La modernità ha riportato alla luce il vincolo segreto tra sovranità e nuda vita, un legame antico quanto la politica stessa.

Nel Novecento, questo processo si è reso visibile nel trionfo della biopolitica. Il totalitarismo ha fatto della decisione sulla nuda vita il fulcro della sovranità, mentre la democrazia ha preteso di emancipare la zoé senza accorgersi della sua complicità con il suo avversario. La società dello spettacolo ha assorbito questo paradosso, trasformando la vita in merce e il politico in intrattenimento.

Il problema fondamentale della politica occidentale è il suo rapporto con la nuda vita. Foucault e Benjamin hanno suggerito che questo nodo deve essere interrogato, ma il pensiero contemporaneo continua a eluderlo. Se la politica moderna sembra incapace di affrontare le proprie contraddizioni, è perché non ha ancora compreso che il vero campo di battaglia è la zoé. Finché non si elaborerà una politica che non si fondi sulla nuda vita come eccezione, l’orizzonte resterà chiuso, e la euèmeria della vita sarà concessa solo attraverso il dominio o l’insensatezza del consumo.

Per approfondire: Giorgio Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi 1998

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